martedì 9 maggio 2023 - Phastidio

Ue: tutti per uno, ma non troppo

Si può certamente criticare l'arroganza finto unitaria di Macron, a patto di comprendere quali sono le ineliminabili dinamiche del processo decisionale europeo

 

Torniamo al caso delle singolari dichiarazioni di Emmanuel Macron, rilasciate ad alcuni giornalisti (due di Les Échos e uno di Politicoaudience molto differenti), sull’aereo presidenziale di ritorno dalla (al solito) solenne visita di stato in Cina. Tra i commenti, c’è chi ha detto che, al netto della retorica francese, i principi di Macron sono corretti ed applicabili all’intera Ue. C’è anche chi, con tenero romanticismo europeista, ha ipotizzato che solo un “capo” della Ue eletto direttamente dalle popolazioni della regione abbia legittimazione piena a portare avanti idee unitarie. Tutto molto irenico, come se gli stati nazionali cessassero di esistere.

La mia tesi la conoscete: la Ue è un gioco cooperativo e competitivo tra molti giocatori (oggi sono ventisette), impegnati in alleanze tattiche oltre che a perseguire interessi che restano nazionali. L’industria e il commercio estero sono la quintessenza di tali interessi nazionali.

Un soggetto esterno alla Ue, di dimensioni economiche e geopolitiche rilevanti, avrà sempre buon gioco a frantumare il campo, attirando a sé singoli stati attraverso la leva del loro interesse nazionale. Vale per gli Stati Uniti e vale per la Cina. Macron, con trasparente arroganza, declina il concetto di autonomia strategica Ue come leadership francese su Difesa e nucleare civile.

LO STRUMENTO ANTI-BULLISMO

Ma che accade, quando la Ue decide di agire come una sola entità nel campo del commercio internazionale, proprio per perseguire la cosiddetta autonomia strategica? Che parte il dialogo tra euro-sordi. Prendiamo il caso del cosiddetto “strumento anti-coercizione” (Anti Coercion Instrument, ACI), creato per proteggere singoli paesi Ue dalle azioni di “bullismo commerciale” adottate da paesi terzi.

Lo strumento nasce anche in conseguenza del pesante boicottaggio economico che la Cina sta applicando nei confronti della Lituania, “colpevole” di aver permesso a Taipei di aprire a Vilnius un ufficio di rappresentanza usando il nome Taiwan, azione che per Pechino è tabù. La ritorsione cinese avviene mediante una leva molto potente: le cosiddette regole di origine. Che portano Pechino a rifiutare le importazioni contenenti parti provenienti dalla Lituania. Mettendo quindi a rischio intere catene del valore europee.

Forte pressione è poi esercitata dalla Cina sulle multinazionali europee per cessare di approvvigionarsi in Lituania. Puntuali, i tedeschi girano la pressione su Vilnius, minacciando di lasciare il paese baltico se non troverà soluzione alla crisi, magari facendo rimuovere il nome Taiwan alla rappresentanza diplomatica.

A questo punto, maturano i tempi per una iniziativa comune dell’Unione, a difesa di singoli paesi bullizzati da potenze esterne. Un tempo ci si sarebbe rivolti all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), ma quella è morta da tempo, caduta vittima del sovranismo americano di Donald Trump ma in essenza ribadito anche dall’Amministrazione Biden.

Ursula von der Leyen prepara un progetto di strumento anti-bullismo che assegna alla Commissione poteri autonomi e decisivi di ritorsione contro stati che esercitino forme di ricatto e pressione indebita contro singoli paesi Ue. Giunti al punto, alla Commissione vengono puntualmente tagliate le unghie: gli stati membri, al termine dell’istruttoria, dovranno decidere se dare il via alla procedura di ritorsione, con una decisione a doppia maggioranza qualificata. Almeno il 55% dei paesi Ue, cioè 15 su 27, e almeno il 65% della popolazione dell’Unione. In tale forma l’ACI deve essere ratificato da parlamento e Consiglio Ue, ma si tratterà verosimilmente di una formalità. In sintesi estrema, il Consiglio, cioè gli stati nazionali, si è ripreso quello che è suo. Possiamo davvero sdegnarci, per questa prevalenza dell’approccio intergovernativo rispetto a quello comunitario?

LA FRENATA DEI PAESI ESPORTATORI

Difficile ignorare che, dietro questa modifica, vi sia la pressione di paesi come la Germania, vere macchine da export. Nel frattempo, è iniziato un dibattito peloso sulla possibilità che il “caso Lituania” possa essere ricompreso nell’area di applicazione dello strumento anti-bullismo commerciale, o se invece non si debba partire da futuri episodi. L’ACI nasce morto? C’è un non trascurabile rischio, diremmo.

La politica commerciale è politica estera, e viceversa. Vi siete mai chiesti perché la Ue non abbia una “vera” politica estera, e abbia invece una figura denominata “Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza“? Torniamo ancora una volta al concetto di minimo comune denominatore, che è quello su cui vorrei vi concentraste. Non per giungere alla desolante conclusione che non c’è modo di fare alcunché, ma per comprendere che i compromessi sono e saranno coessenziali alla Ue.

Compromessi che tendono a generare disillusione e recriminazione, in alcuni paesi più che in altri. Quelli che fanno del vittimismo il proprio tratto culturale dominante e la perfetta valvola di sfogo per una classe politica inetta e treccartara. Eppure, basterebbe chiedersi se un singolo paese, liberato da questa sovrastruttura fatta di compromessi, avrebbe la forza per opporsi a prevaricazioni esterne, nell’era storica che vede le regole del multilateralismo internazionale sottoposte a torsioni senza precedenti da molti decenni a questa parte.

Per tutto il resto, ci sono i saltimbanchi italiani, quelli che teorizzano à la carte e al proprio comodo decisioni a maggioranza qualificata o all’unanimità, o che oscillano tra “applichiamo i criteri europei” e “l’Europa non comprende le nostre specificità”. Se Macron vi pare un galletto trasformatosi in rana di Fedro, divertitevi con i pagliacci cisalpini.

 




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