martedì 14 aprile 2020 - YouTrend

USA: come hanno reagito i 50 Stati al Coronavirus

Le risposte dei governatori all’emergenza non sono state omogenee. La diversa percezione della pandemia tra Repubblicani e Democratici ha avuto un ruolo nella gestione della crisi?

di Daniele Baldo

Gli Stati Uniti stanno fronteggiando le settimane più difficili della pandemia di Coronavirus. Il presidente Donald Trump, già oggetto di numerose critiche rispetto alla gestione della crisi, ha deciso il 3 aprile di non ordinare un lockdown generale per tutti gli USA. Una decisione complessa, arrivata nonostante per la maggior parte gli esperti fossero a favore di misure restrittive federali. La linea di Trump, secondo cui dovrebbero essere i governatori dei singoli Stati ad imporre restrizioni ai propri cittadini, non è dunque variata nemmeno in seguito agli ultimi modelli epidemiologici, che hanno stimato il numero di morti a causa del virus tra 100 mila e 240 mila nel caso dell’attuazione di un rigido lockdown generale. 

Intanto, con un vasto numero di direttive locali e statali che usano termini come “safer at home” o “shelter in place“, le persone sono state invitate a lasciare le loro case soltanto per situazioni di necessità e la maggior parte delle attività produttive ha dovuto chiudere e licenziare i propri dipendenti, causando un aumento senza precedenti delle domande di disoccupazione nel Paese.

Coronavirus USA, la mappa animata dei contagi nei 50 Stati

Tuttavia, le restrizioni non sono state adottate uniformemente su tutto il territorio americano, vista l’ampia discrezionalità riservata agli Stati federali. Al 6 aprile, sono cinque gli Stati che non hanno ancora adottato misure di restrizione per fronteggiare la pandemia (North e South Dakota, Iowa, Nebraska ed Arkansas). Quattro Stati (Oklahoma, Wyoming, Utah e South Carolina) hanno emanato restrizioni limitate ad alcune aree specifiche, mentre i restanti quarantuno hanno invitato tutta la popolazione a restare a casa, con circa 9 americani su 10 attualmente soggetti a tali restrizioni.

Il fatto che la quasi totalità dei governatori abbia preso la decisione, angosciante ma necessaria, di contenere il virus tramite la chiusura delle attività non essenziali è una conseguenza di settimane di confusione, contraddizioni e pressioni da parte dell’opinione pubblica affinché la politica agisse per contenere la pandemia di coronavirus.

Coronavirus USA, i provvedimenti Stato per Stato

Percezioni diverse, approcci diversi

Nelle prime fasi della crisi si sono riscontrati approcci differenti da parte dei governatori, spesso sottolineando le differenze politiche tra Repubblicani e Democratici. Secondo un sondaggio Gallup pubblicato a metà marzo, il 73% degli elettori Democratici esprimeva preoccupazione relativamente alla situazione di emergenza, a confronto con il 42% dell’elettorato Repubblicano. Le reazioni dei governatori hanno seguito questa stessa discrepanza. Con alcune importanti eccezioni, come quella del governatore dell’Ohio Mike DeWine che già il 22 marzo aveva dato l’ordine di restare a casa, gli Stati con governatori Repubblicani sono stati più lenti di quelli governati dai Democratici nell’imporre restrizioni ai loro cittadini.

Un divario nella percezione della gravità della pandemia separa anche le persone che vivono in grandi centri metropolitani, diventati il nervo della coalizione elettorale democratica, dagli abitanti delle piccole città e delle aree rurali, dove il GOP raccoglie maggiori consensi. Le divergenze non sono dunque solo ideologiche ma anche geografiche. Al 19 di marzo la metà dei casi registrati si trovava in sole 10 contee. D’altro canto i primi e più grandi focolai del virus sono localizzati in alcune grandi aree metropolitane largamente democratiche, tra cui Seattle, New York e Los Angeles.

Coronavirus USA, la mappa dei contagi per contea

Proprio la California è stata la prima ad aver adottato misure di contenimento. Il 19 marzo il governatore Gavin Newsom e il sindaco di Los Angeles Eric Garcetti, entrambi Dem, hanno emesso provvedimenti di chiusura di tutte le attività non essenziali, prima in città e poi nell’intero Stato, interessando quasi 40 milioni di persone.

Il fatto che siano state le zone a trazione Dem a risentire maggiormente ed in maniera prioritaria dell’impatto della pandemia riflette la separazione economica con le zone in cui il Partito Repubblicano gode di maggiori consensi. Come riporta uno studio del think tank Brookings Institution, rispetto al 2008 i Democratici oggi governano perlopiù in luoghi maggiormente integrati nell’economia globale, che possono avere maggiori probabilità di scambi internazionali e di spostamenti all’estero.

Coronavirus USA, l’andamento nazionale

I cinque Stati con il maggior numero di casi di coronavirus sono oggi New York, New Jersey, Michigan, Louisiana e California. Poi Massachusetts, Florida, Illinois, Pennsylvania e Washington (il primo stato ad aver registrato un caso di COVID-19) completano la top 10 per numero di casi registrati. Di questi, 8 Stati su 10 hanno un governatore Repubblicano e sono tutti accomunati dal fatto di avere almeno un grande centro urbano, polo di scambio per il turismo e il commercio. Quelli con il minor numero di casi confermati sono più piccoli e meno inseriti nell’economia globale, invece, sono tutti a guida repubblicana, con l’eccezione del Montana.

Gli Stati al centro dell’occhio mediatico 

L’ampia estensione territoriale degli USA fa sì che le situazioni di estrema difficoltà siano localizzate e temporalmente distanti l’una dall’altra. Lo stato di Washington e lo stato di New York hanno per primi dovuto fare i conti con la pandemia, registrando i casi numero 100 rispettivamente il 7 e l’8 marzo. Hanno adottato le prime misure di contenimento in quegli Stati solo il 23 ed il 22 marzo seguendo l’esempio della California, che aveva tuttavia registrato il suo caso numero 100 il 9 marzo. La natura inedita delle misure di contenimento è stata molto dibattuta, soprattutto per quanto riguarda New York, dove il governatore Andrew Cuomo ha cercato di ritardare la sua decisione il più possibile, prima di mettere lo Stato in “pausa”. Altri sei Stati (Illinois, New Jersey, Connecticut, Louisiana, Ohio, Oregon) sono seguiti a cascata, adottando le misure di contenimento entro il 23 marzo. 

Numerose critiche sono piovute soprattutto sugli Stati che, pur avendo alti numeri di contagiati già nella seconda settimana di marzo, hanno aspettato oltre due settimane per adottare provvedimenti. Il governatore della Florida, il Repubblicano Ron De Santis, ha atteso 19 giorni dal 100° caso registrato per dare seguito ad un statewide order, nel timore di arrecare troppi danni all’economia e al turismo, in uno stato che tuttavia segue soltanto il Maine per percentuale di popolazione over-60.

Coronavirus negli USA, i casi Stato per Stato e i governatori

Analogamente in Georgia, stato in cui ha sede il Center for Disease Control and Prevention (C.D.C.) guidato dall’ormai famoso Dott. Anthony Fauci, il governatore Repubblicano Brian Kemp si è mosso soltanto dopo 18 giorni. Annunciando le misure di contenimento del virus per tutto lo stato il 2 aprile, Kemp ha anche ammesso di aver scoperto solo di recente la potenziale contagiosità anche da parte di persone asintomatiche. Dopo due settimane e dopo molte critiche, anche la governatrice dell’Alabama Kay Ivey e il governatore del Missouri Mike Parson, l’ultimo ad intervenire in ordine di tempo, si sono inevitabilmente adattati a quanto già ordinato dagli Stati limitrofi. 

Nonostante alcuni comportamenti irresponsabili da parte dei governatori, come quello del Repubblicano Kevin Stitt dell’Oklahoma che si è immortalato sui social a cena fuori con la famiglia quando l’emergenza era già in corso, in generale tutti godono di alti livelli di approvazione, a differenza del Presidente. Infatti, secondo un sondaggio della Monmouth University del 23 marzo, soltanto il 19% degli elettori Democratici ritiene che Trump stia facendo un buon lavoro nella gestione della crisi contro l’89% degli elettori Repubblicani.

Al contrario l’apprezzamento per i governatori è molto più bipartisan. Il 76% dei Democratici e il 73% dei Repubblicani affermano che il loro governatore ha fatto un buon lavoro nel gestire la situazione, un dato questo che si rispecchia indipendentemente dal colore politico del governatore in ciascuno stato. Negli Stati con un governatore Repubblicano infatti, l’87% dei Repubblicani e il 61% dei Democratici si esprimono positivamente e negli Stati sotto il controllo dei Dem le percentuali si invertono, con l’87% dei Democratici e il 62% dei Repubblicani che affermano che il loro governatore stia facendo un buon lavoro.

Un governatore Dem nel ticket con Joe Biden?

I governatori sono dunque al centro del dibattito politico e vista la riacquisita popolarità da parte di alcuni, si affacciano i primi rumors che vorrebbero, nel campo Democratico, che i governatori più in vista in queste settimane si facessero avanti anche per la sfida elettorale contro il presidente Trump. Risulterebbe tuttavia complicato per governatori più coinvolti come J.B. Pritzker dell’Illinois, Gretchen Whitmer del Michigan o Andrew Cuomo di New York, abbandonare il proprio Stato per fare campagna elettorale nei prossimi mesi o in estate, quando la crisi economica sostituirà quella sanitaria. Joe Biden, che con il ritiro di Bernie Sanders si è assicurato la nomination Dem, ha comunque promesso di scegliere una running-mate donna e, come ha scritto Francesco Costa, difficilmente cambierà idea.

Per Cuomo e Pritzker, quindi, è difficile sperare di essere considerati per la vicepresidenza. Invece Whitmer, governatrice del Michigan al primo mandato, è stata ospite di Biden nel podcast della sua campagna, e le sue quotazioni sono in ascesa. Il rinvio della convention Democratica da luglio ad agosto potrà permettere al candidato in pectore di scegliere con più attenzione le carte da giocare in vista del voto di novembre, in una situazione politica causata dalla pandemia tanto incerta quanto imprevista.

 




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