sabato 12 gennaio 2013 - ///

USA, avanti con gli omicidi mirati e le detenzioni arbitrarie

La questione dei droni e degli omicidi mirati ha attirato sempre più critiche al presidente degli Stati Uniti, specie dopo un articolo del New York Times di giugno, secondo cui ogni martedì viene sottoposta a Obama una “Kill List”, ossia una lista di jihadisti e terroristi da eliminare redatta da cento alti funzionari di CIA e Pentagono. A Obama spetta l’ultima parola su chi uccidere e chi no, e in queste decisioni è aiutato dall'allora consigliere antiterrorismo John Brennan, da quello per la Sicurezza nazionale Tom Donilon e dal suo stratega politico David Axelrod.

In quei giorni scrivevo:

Obama crede nella pace, ma non è un pacifista. È sempre stato consapevole che le belle parole da sole non sarebbero bastate ad estirpare il cancro del terrorismo. La sua idea politica è la perfetta applicazione del si vis pace, para bellum. Come scrivevo in ottobre:

Obama, nel suo discorso alla consegna del Nobel, riconosceva che: "Il male esiste, la promozione dei diritti umani non può essere solo un'esortazione. Ci saranno momenti in cui le nazioni, da sole o di concerto, troveranno l'uso della forza non solo necessario ma moralmente giustificato. Difficile immaginare una guerra più giusta [della Seconda Guerra Mondiale, nda]. Un movimento non violento non avrebbe potuto fermare le armate di Hitler. I negoziati non possono convincere i capi di al-Qa'ida a deporre le armi. Dovremo pensare in modo diverso alle nozioni di guerra giusta e pace giusta", ammettendo così che i valori di pace e giustizia non possono realizzarsi senza una sana dose di pragmatismo.
Forse è per questo che l'America non era mai stata impegnata su così tanti fronti come da quando è guidata da Obama: due guerre in corso in Iraq e Afghanistan, a cui si aggiungono altre guerre fantasma (con i droni) in Pakistan, YemenSomaliaMessico e, ultimamente, Uganda. Eppure questo atteggiamento, discutibile su un piano ideale, si è rivelato più fruttuoso di quello viceversa (fin troppo) concreto di Bush: ques'ultimo ha sperperato miliardi di dollari nelle campagne mediorientali, gonfiando ildebito Usa e abdicando di fatto dal ruolo di unica superpotenza che l'ex governatore del Texas aveva ereditato da Clinton, con l'aggravante di quasi 5.000 soldati caduti 225.000 morti totali. Obama, invece, ha saputo togliere di mezzo tre nemici come Bin Laden, al-Awlaki e Gheddafi senza perdite umane.

L'aggressività mostrata nella lotta contro al-Qa'ida ha contrariato quanti credevano che la tortura e le guerre ombra fossero un ricordo del passato. Le azioni promosse o supervisionate da Obama sono spesso rimaste imperscrutabili, coperte dal silenzio e senza alcun avallo di quelle organizzazioni internazionali di cui lo stesso presidente aveva sempre esaltato il ruolo.
Interessante questo articolo di Linkiesta, dove si spiega che nessun presidente ha fatto ricorso all'omicidio segreto quanto Obama.

Adesso quel John Brennan, che la Kill list l'aveva creata, sarà il nuovo direttore della CIA - in sostituzione di David Petraeus.

In generale, Brennan è stato una figura chiave dell’amministrazione Obama negli ultimi anni: come consigliere per l’antiterrorismo della Casa Bianca, ha contribuito a pianificare il programma di eliminazione fisica dei terroristi più pericolosi per mezzo dei droni. Il Washington Post ne offre questo ritratto.

Quanto all’uso dei droni, prima visto con sospetto, ora asse portante della caccia ai jihadisti, Linkiesta racconta:

Per anni gli Usa hanno espresso perplessità sugli omicidi mirati operati da Israele. La situazione è cambiata con l’11 settembre. Tanto Bush quanto Obama hanno affermato il diritto degli Stati Uniti, in guerra con al Qaeda, di difendersi dai terroristi ad ogni latitudine, colpendoli ovunque si trovassero. Lo scorso marzo in un incontro con gli studenti della Northwestern University di Chicago il ministro della Giustizia Eric Holder ha spiegato la coerenza con il diritto internazionale di guerra di queste operazioni, comprese quelle che prendono di mira cittadini americani, come Anwar al Awlaki, ucciso in Yemen nel settembre 2011: «Ci sono casi in cui il governo ha l’autorità, o meglio la responsabilità, di difendere il Paese con l’uso appropriato e legale di forza letale». Washington, sostiene Holder, ha il diritto di intervenire quando la minaccia di attacco è imminente e quando la cattura del terrorista non è possibile.
Un’inchiesta comparsa a fine maggio sulle pagine del New York Times ha descritto l’ispirazione della strategia obamiana – l’adesione alla teoria della “guerra giusta” – e le procedure operative: ogni settimana, durante gli incontri del Terror Tuesday, al presidente viene sottoposta una “kill list” di jihadisti da eliminare, stilata col contributo decisivo di John Brennan – consigliere per l’anti-terrorismo, appena nominato da Obama capo della Cia – al termine di un processo di selezione che, fra servizi segreti e Pentagono, coinvolge circa cento alti funzionari.
Negli ultimi anni, però, c’è stato un salto di quantità nel livello degli strike: non più solo i leader operativi di al Qaeda, impegnati nell’organizzazione di attentati contro l’America – la cui rete, soprattutto in Pakistan, si va destrutturando – ma i militanti delle varie sigle estremiste, in lotta con i propri governi, e che spesso controllano intere regioni, del Pakistan, della Somalia, dello Yemen. Di qui la necessità, sottolineata dallo stesso Obama, di un rule book formale sull’utilizzo dei droni. «Creare una struttura legale, con una serie di processi e di controlli sull’utilizzo delle unmanned weapons è una sfida per me e per i miei successori», ha dichiarato il presidente in un’intervista con Mark Bowden, autore del libro “La cattura”, dedicato all’uccisione di Osama bin Laden.
Le Nazioni Unite sono in allarme, tanto da avere pianificato l’apertura di un’inchiesta sull’operato di Washington.

Anche la politica delle extraordinary renditions appare destinata a continuare.

In proposito, pochi giorni fa un tribunale americano ha condannato la Engility Holdings, una compagnia militare privata, a rimborsare 71 ex detenuti del carcere di Abu Ghraib, sottoposti a torture e abusi durante l'occupazione dell'Iraq.

Spicca silenzio (assordante, come si dice in questi casi) di CIA, Pentagono e Casa Bianca.




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