martedì 8 gennaio 2019 - YouTrend

USA: Come votano i Latinos

Da decenni fra le minoranze più in crescita, i Latinos stanno diventando sempre più importanti per le elezioni americane. Ma quanti sono, e per chi votano?

di Gianluca De Feo

La popolazione ispano-americana avente diritto di voto alle elezioni negli Stati Uniti è ormai da anni in costante crescita. Questo ha delle conseguenze inevitabili sul comportamento elettorale nazionale. Analizzare e approfondire le preferenze di un gruppo etnico in ascesa come quello dei “Latinos” è dunque un esercizio più che mai utile a comprendere il futuro dello scenario politico americano.

Nel 1970 la popolazione americana di origine ispanica ammontava a circa 9,1 milioni di individui, ma grazie al boom demografico degli anni 1990-2000 questo numero è cresciuto inesorabilmente fino a toccare quota 57,4 milioni (il 17,8% della popolazione nazionale) nel 2016. Prima della grande recessione del 2008, il tasso di crescita annuale di questa porzione di popolazione si attestava al 3,7%, facendo degli ispanici il gruppo etnico più in ascesa. Oggi solo agli asiatici crescono ad un ritmo più sostenuto (2,9%, contro lo 0,9% degli afroamericani 0,9% e lo 0% dei bianchi), ma rappresentano una porzione di popolazione nettamente inferiore (5,2% sul totale, meno di un terzo degli ispanici). Proprio il tasso di crescita della popolazione ispanica è il dato più interessante: tra il 2016 e il 2017, più di metà dell’incremento demografico nazionale è stato dovuto agli ispanici, che aumenta di circa due punti percentuali all’anno. Di questo passo, il numero totale di latinos toccherà gli 87,5 milioni nel 2040, rappresentando il 23,5% della popolazione totale.

Tutto questo si è accompagnato (e si accompagnerà) a un aumento del corpo elettorale latino: alle elezioni presidenziali tra il 1996 e il 2016, il numero di ispanici aventi diritto di voto è aumentato del 138%, dato di gran lunga superiore a quello dei bianchi (8,9%) e degli afroamericani (34,1%): ma quello dei votanti effettivi è cresciuto addirittura del 157,3% (10,6% tra i bianchi, 50,4% tra gli afroamericani).

Alle elezioni di midterm dello scorso novembre, più di 29 milioni di ispano-americani hanno avuto la possibilità di esercitare il diritto di voto (13% della popolazione totale avente diritto), il triplo rispetto all’inizio degli anni ’90. Eppure, l’interesse per gli appuntamenti elettorali di midterm nel periodo 1990-2014 è calato drasticamente in rapporto all’aumento di popolazione: se nel 1990 il 47,5% degli ispano-americani esercitò il proprio diritto di voto, nel 2014 lo ha fatto solo il 27,1% di essi. Il dato risulta essere il più basso di sempre e fa registrare una differenza abissale rispetto all’affluenza elettorale tra gli altri gruppi etnici (afroamericani 41%, bianchi 46%).

La distribuzione degli elettori ispanici

Tuttavia, in occasione delle elezioni di midterm del 2018, questo trend sembra essersi invertito. Un sondaggio condotto dal Pew Research Center mostra come nel periodo precedente alle elezioni l’elettorato latino-americano abbia recuperato un forte interesse per l’impegno elettorale, principalmente dovuto al senso di esclusione determinato dai continui attacchi provenienti da Donald Trump (il malcontento e la preoccupazione tra la comunità latina ha raggiunto quest’anno i livelli post-crisi del 2008). Il sito di sondaggi “Latino Decisions” ha registrato in alcune contee del Texas dei forti incrementi dell’affluenza rispetto al 2014, con picchi a Dallas (+86%) e ancor più a El Paso (+168%), città situata al confine con il Messico. Secondo uno studio realizzato da Latino Policy & Politics Initiative, nei distretti elettorali a forte maggioranza latina della California il tasso di crescita dell’affluenza alle urne rispetto alle precedenti midterm si è attestato a +48,2% (a fronte di un +16,3% nei distretti dove i latinos sono una componente minoritaria). Una chiara inversione di tendenza che si potrebbe ricollegare al relativo successo dei candidati democratici proprio negli stati a maggior densità di popolazione latina.

Ma è davvero così?

Non tutti votano per i Democrats

Se la vittoria dei democratici alla Camera dei Rappresentanti dimostra come questa impennata dell’affluenza elettorale abbia giocato un ruolo essenziale nel ribaltare il risultato in alcuni distretti di stati tradizionalmente democratici (prevalentemente in California, New York e New Jersey), non ovunque è andata così. Una serie di exit poll condotti dalla CNN dimostra come in realtà il voto ispano-americano sia distribuito in maniera molto più omogenea tra il partito democratico e quello repubblicano. Alle scorse midterm il 29% dei Latinos su scala nazionale avrebbe espresso la propria preferenza per un candidato repubblicano. Un dato indicativo, soprattutto se comparato a quello sull’altra minoranza etnica più rilevante degli Stati Uniti, gli afroamericani, che hanno da sempre votato in netto favore dei democratici con percentuali che si aggirano, ovunque, attorno al 90%.

Negli stati con la maggiore popolazione ispanica del sud-ovest e del sud, le percentuali sul voto latino ai repubblicani aumentano ulteriormente: in Texas, Arizona e Nevada i candidati repubblicani al Senato hanno raggiunto quote superiori al 30%, mentre in Florida il senatore Rick Scott ha ottenuto addirittura il 45% tra gli elettori ispanici (che costituiscono quasi il 20% degli aventi diritto di voto in quello stato).

Alle elezioni per i governatori, in Texas, Arizona, Florida e Michigan, quasi un ispanico su due ha votato per il candidato repubblicano. Anche nella democratica California, dove risiedono più di 7 milioni di ispano-americani aventi diritto di voto (il 30% del totale), più di uno su tre ha votato per il candidato repubblicano John H. Cox. Tuttavia, le elezioni locali assumono spesso un diverso valore rispetto a quelle nazionali, motivo per cui l’elezione del governatore potrebbe non rappresentare al meglio il sentimento della popolazione latina nei confronti dei partiti nazionali e del governo federale.

In ogni caso, questi numeri possono sorprendere solo fino ad un certo punto. I candidati repubblicani hanno da sempre esercitato un certo fascino sull’elettorato Latino, tanto che nel 2004, in questo segmento, George W. Bush ottenne uno storico 40%. Valore che non rappresentò un’eccezione, poiché fu quasi replicato dai Repubblicani durante le elezioni di midterm del 2010 (38%) e del 2014 (36%).

In stati come Florida e Texas, dove da decenni esistono comunità ispaniche dalle forti tendenze repubblicane, i candidati repubblicani locali hanno spesso concentrato i propri sforzi su quest’ultime con il fine di conquistarne ed ampliarne il consenso.

Ciò che stupisce, tuttavia, è che a fronte dei dati sull’incremento complessivo del bacino elettorale ispanico, uniti a quelli sull’affluenza in crescita durante le ultime elezioni di midterm, e alle posizioni discriminatorie manifestate da Donald Trump, il guadagno elettorale per i democratici sia stato così “scarso”. Se è vero che il dato relativo al voto su scala nazionale in favore dei repubblicani (29%) è inferiore ad alcuni dei precedenti storici, risulta però in linea con i numeri registrati nel 2006, 2008 e 2012 (quando il tema dell’immigrazione non era ancora nell’occhio del ciclone) e addirittura in crescita di un punto percentuale rispetto alle elezioni presidenziali del 2016.

Anche a fronte della storica tendenza latina a votare moderatamente per i Repubblicani, la maggior parte degli analisti si aspettava che la rabbia nei confronti di Trump portasse un netto vantaggio ai Democratici, ma così non è stato. Ciò è accaduto per svariate e complesse ragioni, ma ve ne sono due che vale la pena citare.

La prima è relativa all’abbandono dell’identità latina da parte di quei discendenti di immigrati di seconda, terza, quarta generazione che, pur venendo identificati come “ispano-americani”, non si auto-definiscono come tali. Il disconoscimento dell’identità latina spiegherebbe il perché molti di loro non hanno reagito in maniera avversa agli attacchi di Donald Trump. Non solo: questo spiegherebbe anche le differenze nel comportamento elettorale tra la minoranza ispanica e quella afroamericana, storicamente più unita e “identitaria”.

La seconda ragione riguarda le rispettive strategie dei partiti repubblicano e democratico. Come accennato in precedenza, il primo ha lavorato molto bene al fine di conquistare i voti dei latini, soprattutto negli stati dove la loro presenza è più rilevante e la macchina organizzativa repubblicana più efficiente. In alcuni casi, le campagne elettorali si sono concentrate specificamente sull’elettorato latino, facendo uso di linguaggi e metodi di comunicazione ad hoc, il tutto all’interno di un piano strategico ben definito.

Dall’altra parte, il partito democratico sembra non riuscire a fare altrettanto e, pur mantenendo un ampio margine di vantaggio all’interno della comunità latina, non ha ottenuto la vittoria schiacciante che forse si aspettava. Le difficoltà relative all’efficacia della trasmissione di un messaggio elettorale convincente potrebbero essere dovute alla complessità nel conciliare le esigenze di un elettorato nettamente più eterogeneo rispetto a quello repubblicano. Mentre il GOP si concentra principalmente su bianchi e Latinos in aree specifiche, perché sa che ciò gli basta per ottenere vittorie decisive, i Democratici devono trovare una strategia comunicativa che convinca un elettorato decisamente più ampio.

L’incapacità di conciliare gli interessi dei vari gruppi (minoranze etniche, religiose, linguistiche, movimento LGBT, ecc.) in un forte messaggio elettorale, rappresenta non solo uno dei fattori decisivi nel comprendere i mancati successi dei democratici in zone a forte presenza ispano-americana, ma soprattutto – in un’America sempre più globalizzata e multiculturale – potrà costituire un elemento determinante negli appuntamenti elettorali dei prossimi decenni.




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