mercoledì 17 luglio 2024 - Phastidio

Tutti pazzi per il private equity patriottico

Poderosi rulli di grancassa per convogliare i risparmi degli italiani verso le Pmi nostrane. Tra invocazioni al mercato unico dei capitali europei e nazionalismo finanziario più o meno interessato, lo strabismo impazza.

Come saprete se avete tempo da perdere leggendomi e ascoltandomi, da parecchi anni in Italia è in corso questa incoercibile fregola di “incanalare” i risparmi dei cittadini “verso l’economia reale del Paese”. Di volta in volta abbiamo avuto l’equiparazione, piuttosto demenziale, della liquidità di conto corrente al contante nel materasso o in cassetta di sicurezza. Demenziale perché la liquidità di conto è nella disponibilità del sistema creditizio, che può prestarla, sia pure ponendo attenzione al mismatch temporale tra depositi a vista e impieghi di medio-lungo termine.

Poi abbiamo avuto il periodo dell’esigenza altrettanto insopprimibile di una garanzia pubblica, per convincere le timorose famiglie a mettere la liquidità in investimenti. Suggerimento proveniente, come noto, da Milena Gabanelli, o più probabilmente dai suoi preziosi contatti e interlocutori privilegiati e abituali. Un vero tesoretto di know how che da molti anni consente di avere una messe di idee geniali per risolvere ogni problema e angustia di questo povero paese, se solo ci fosse uno straccio di volontà di applicarle.

QUOTAZIONE O MUERTE

Da qualche tempo, siamo giunti alla soverchiante impellenza non solo di contrastare con ogni mezzo il fenomeno del delisting, cioè dell’uscita dalle quotazioni che molte aziende in tutto il mondo stanno attuando, ma anche di spingere a quotarsi le piccole e medie imprese. Extra borsam nulla salus, sembra essere diventato il motto maccheronico di accademici, società di gestione ed editorialisti che di solito fanno loro il verso, muniti di un bel megafono.

E così, è nata l’idea di un fondo di fondi che deve accompagnare il risparmio degli italiani verso l’economia reale presentandogli le piccole e medie imprese, dopo aver vinto la resistenza di quest’ultime a quotarsi. Tale fondo sarà un misto pubblico e privato di “capitale paziente”, espressione che alle mie orecchie fa sempre partire sirene d’allarme. O forse sono acufeni, non so.

Il fondo è quasi pronto: attraverso Patrimonio Destinato (!), strumento creato nel 2021 a sostegno delle imprese, Cassa Depositi e Prestiti ne avrà il 49 per cento mentre per il resto si punta ad aggregare banche, assicurazioni, fondi pensione e altri soggetti privati: tutti investiranno su fondi dedicati che a loro volta acquisiranno quote di Pmi.

Il che è perfetto, per carità. Meno bene vanno alcune motivazioni che abbiamo letto in questi mesi: ad esempio, che gli scambi sul segmento di Borsa italiana dedicato alle Pmi languono, e le quotazioni cedono, quindi occorre “fare qualcosa”. Confesso che non mi è chiarissimo cosa c’entri un fondo di fondi misto con questo fenomeno di mercato, verosimilmente da porre in relazione al periodo di elevati tassi d’interesse, che deprimono l’andamento delle imprese che hanno maggiore indebitamento. Ma transeat.

Si è nel frattempo formato, nel dibattito pubblico, questo senso di urgenza che sfiora la crisi ansiosa: facciamo qualcosa oppure i nostri risparmi verranno dirottati all’estero, presto! È tutto un agitarsi e arrivare persino a minacciare di imporre quote minime di investimento tricolore ai fondi pensione nazionali, accusati di disfattismo perché investono il risparmio previdenziale italiano fuori confine, agevolando i nostri concorrenti.

RISPARMIO CONFINATO

In questo clima di mobilitazione, grande è la confusione sotto il cielo tricolore. Da un lato, si chiede questa cattura, con le buone o le cattive, di parte del risparmio nazionale; dall’altro, si decanta la lungimiranza della visione sistemica di dossier come quello di Enrico Letta, che chiede un mercato dei capitali europeo per non far scivolare ogni anno 300 miliardi di risparmi della regione verso gli Stati Uniti. Gasp.

È tutta una matrioska: risparmi e parco buoi dei paesi tuoi ma non c’è accordo su quale sarebbe il paese. La nazione, detto con accento melonesco, oppure l’Europa? Si stanno muovendo le lobby delle società di gestione europee, che da tempo sentono sui conti la pressione (al ribasso) delle commissioni, grazie all’avvento degli Etf, strumenti passivi low-cost. Sarebbe quindi utile un bel moto di ossimorico patriottismo europeo per spingere prodotti attivi come questi fondi alternativi “pazienti”, su cui magari prelevare un paio di punti percentuali di commissioni di gestione e anche una bella commissione di performance, costruita a sentimento. Chessò, oggi il sole è sorto? Commissione di performance di 1,5 per cento. Se sorgerà anche domani, avremo superato il nostro high watermark. Che fortunelli, questi risparmiatori.

Bene, ma ribadisco: resta da capire come contemperare spinte opposte, tra tenere il risparmio in Casa Italia e invocare un mercato unico dei capitali che fatalmente produrrebbe campioni continentali non necessariamente nostri. Pensate alle borse: sono una ventina in Ue, dice Letta, sono troppe. Ottimo, concentriamole. Ma non si tocchi Borsa italiana, rispondono i patrioti, quelli che avevano pre-allertato in tempi non sospetti i nostri servizi segreti sulla cessione ai francesi di Euronext. Tra barbe finte e nasi di plastica rossa.

Ma che tempo per essere (più o meno) vivi: passiamo dalla visione dell’integrazione sovranazionale al vincolo di portafoglio domestico, spesso nel corso dello stesso convegno e della stessa tartina.

E quindi, che si fa? Nell’attesa, ci sarebbe da cambiare la mentalità delle famiglie, avvicinandole al capitale di rischio. Rischio? Oddio, ma scherziamo? Presto, subito una garanzia pubblica contro il rischio, come suggerito dalla Milena nazionale! Poi, potremo procedere allo svezzamento dei pigri rentier italiani, che devono piantarla di abbuffarsi di Btp per andare in crociera. Ehi, aspetta, ma sei scemo? Se la gente non compra più i Btp, poi come facciamo a collocarli tutti nelle loro mani e fare il gesto dell’ombrello ‘aaa speculazzzzione? Eh? Eh?

NON PRIVATEVI DEL PRIVATE

Insomma, basta con questi maledetti tradeoff, ho detto! Nell’attesa, resta imprescindibile il ruolo dei nostri grandi organi d’informazione. Ad esempio, osserviamo da tempo che Sole e Corriere ce lo stanno facendo a sushi con le mirabili doti del private equity. Che rende più dell’azionario tradizionale quotato ed è meno volatile, soprattutto perché le quotazioni arrivano dopo tre mesi e sono frutto di valutazioni a volte creative. A seguire, pensosi accademici spiegano al grande pubblico il concetto di frontiera efficiente, specificando che non è quella svizzera.

Tutto bene, quindi? Argh, no. Questi stessi giornali hanno scoperto di recente che il private equity ha un problema: l’exit. Cioè? Cioè l’uscita, il momento in cui si vende l’azienda acquisita. Perché quello è il momento in cui gli investitori ottengono indietro i propri soldi e il loro frutto. Solo che c’è un problema: sempre meno sono i casi in cui un private equity realizza una exit quotando l’azienda acquisita. Inoltre, i tassi d’interesse elevati non permettono più magheggi del tipo ammazzare di debito la preda per pagare sontuosi dividendi alla controllante, attendere che il flusso di cassa della preda ripaghi quel debito, tagliare ferocemente i costi chiamandole “sinergie”, e poi trovare l’acquirente.

Ora, per evitare di morire soffocati, i gestori si sono inventati i “fondi di continuazione“, quelli dove si vende il fondo a un altro fondo, e in tal modo si pagano i sottoscrittori del primo, che escono felici e contenti. Se pensate che questo meccanismo somigli al passaggio di mano di un cerino, chi sono io per convincervi del contrario?

Si, d’accordo, questo è solo un tipo di investimento alternativo: il leveraged buyout. Ma ci sono molti altri casi in cui si possono dare capitali pazienti a imprese meritevoli. La domanda resta sempre quella: pensate che nessuno ci abbia pensato o lo stia facendo? Al momento, vorrei tuttavia esprimere la mia solidarietà ai poveri fondi pensione e alle casse previdenziali dei professionisti. Dopo decenni passati a investire solo in patriottici titoli di stato e immobili, su cui spesso si sono bruciati le penne ma hanno almeno contribuito al benessere di generazioni di mediatori, ora che si sono messi a diversificare come dio comanda sono accusate di disfattismo economico-finanziario e di affamare le prossime generazioni di italiani. Sigh.

Ad ogni modo: la convergenza tra esperti indigeni che intravvedono praterie di business e società di gestione nostrane, messe sotto pressione sui ricavi, è in atto e produrrà grandi investimenti. Quali? Beh, quelli su quotidiani e stampa, tanto per cominciare. Per spiegare perché, senza private equity patriottico, i vostri figli finiranno malissimo.

Nel frattempo, possiamo riflettere su questa potente immagine: il risparmio è la nostra risorsa naturale. Resta da capire se è fossile o rinnovabile.




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