giovedì 30 giugno 2022 - Phastidio

Turchia: niente tassi, proviamo con le tasse

Non potendo alzare i tassi ufficiali, le autorità turche aumentano le tasse sui prestiti personali e gli accantonamenti a riserva obbligatoria. Come non averci pensato prima?

 

Come vi avevo promesso, torno a illustrare le nuove fantasmagoriche misure adottate dalle autorità turche per continuare a resistere alla pressione al rialzo sui rendimenti obbligazionari. Ribadisco che nulla si inventa, e che noi italiani abbiamo sviluppato una prodigiosa cassetta degli attrezzi, negli anni Sessanta e soprattutto Settanta.

Questa volta, le autorità turche hanno deciso di intervenire con una stretta sul credito. Aspetta, sento già molti di voi obiettare: ma una stretta sul credito non è quella che si ottiene aumentando i tassi d’interesse? Di solito sì, ma questa volta alzare i tassi è verboten. Quindi, che fare?

Stretta sui prestiti

A questo giro, nel mirino finiscono i prestiti personali. La cui durata massima viene dimezzata a dodici mesi. Non solo: esiste una tassa, una sorta di imposta di bollo sui servizi bancari e assicurativi, che viene portata dal 5 al 10%. Nel frattempo, viene aumentato il pagamento minimo mensile sulle carte di credito revolving.

“Ehi, ma questa è una stretta creditizia!”, sento già i miei piccoli e grandi amici esclamare. Penso abbiate ragione. Consideratelo un passo verso la morigeratezza di costumi e consumi, allora. Viste le basse aliquote, mi pare che la strada sia confortevolmente lunga e percorribile. Del resto, un 10% di tassa sui prestiti personali, che sarà mai? Potreste obiettare che magari c’è gente costretta a ricorrere al debito per sbarcare il lunario ma sarebbe disfattismo finanziario.

In aggiunta a questa lotta all’effimero consumismo, le autorità monetarie hanno deciso che la riserva obbligatoria sui prestiti in lire, cioè l’importo che le banche commerciali devono versare alla banca centrale per ogni nuovo credito erogato, raddoppi dal 10 al 20%. Anche qui, effetto netto è una contrazione di credito, a parità di ogni altra condizione.

E ancora: le banche devono versare la riserva obbligatoria alla banca centrale anche per le passività in valuta. Di conseguenza, si è disposto l’aumento della quota di obbligazioni a lungo termine in lire da mettere nel pool a garanzia presso la banca centrale. Tale misura, sostiene l’istituto di emissione, serve ad “aumentare l’efficacia della politica monetaria nell’ambito della strategia di lirizzazione” (sic). Un po’ di lirismo non guasta mai, in effetti.

Una gelata dalla porta di servizio

Però, qui mi viene un altro dubbio: ma se rendiamo i prestiti sempre più costosi, non è che l’economia si pianta? Eh, sempre a spaccare il capello! Diciamo che, a colpi di tasse e di riserva obbligatoria, c’è speranza di gelare l’economia turca quel tanto che basta per stabilizzare il cambio, e magari ridurre ulteriormente i tassi. I malvagi la chiamano “distruzione della domanda” ma deve esserci un’altra definizione meno truculenta e più costruttiva.

Unico problema, credo, se l’economia si gela a ridosso delle elezioni presidenziali del prossimo anno, la rielezione di Recep Tayyip Erdogan potrebbe essere a rischio. A questo punto, ho come la sensazione che dietro queste misure ci sia uno strisciante tentativo del Deep State turco per rovesciare l’amato presidente.

Il quale, nei prossimi mesi, dopo aver compreso che si tratta di una diabolica trappola, procederà a sostituire tutti questi burocrati infedeli e rimuovere questi freni amministrativi alla potenza dell’economia turca. Come dite? In quel caso ci sarà un nuovo crollo della lira? Non credo: basterà impedire per legge l’acquisto di valuta. Che avete, ancora? Volete sapere come può un’economia pagare le importazioni se ostacola l’acquisto di valuta? Siete davvero petulanti, ve lo hanno mai detto?

Abbiate fede: le autorità turche hanno detto che l’economia del loro paese resta “liberale”, qualsiasi cosa ciò significhi.




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