giovedì 5 ottobre 2017 - Oggiscienza

Tumori maligni al cervello: è possibile fermarne la crescita?

Una ricerca della Stanford University suggerisce che sia possibile arrestare lo sviluppo del glioblastoma, il più aggressivo dei tumori maligni al cervello, solo escludendo una proteina.

di Sarastulle 

Se si parla di tumore al cervello, quel timore che tutti proviamo in presenza del cancro in genere diventa vero e proprio panico. Comprensibilmente. Perché dei tumori al sistema nervoso centrale è il caso di parlare al plurale. Si tratta, infatti, di almeno 16 famiglie, per un totale di più di 150 tipologie di tumori, che a loro volta si differenziano ancora per gradi di malignità.

Non tutte le diagnosi di tumore al cervello hanno le stesse conseguenze. Molti dei tumori del sistema nervoso centrale sono benigni, eliminabili chirurgicamente, non necessariamente preoccupanti, se non fosse per la delicatezza della zona in cui si trovano. Ma quando un tumore è maligno e si origina in alcune cellule del sistema nervoso centrale, le cellule della glia, allora la situazione è più complessa.

Il 40% dei tumori primari del sistema nervoso centrale è proprio della famiglia dei gliomi, ai quali appartengono l’oligodendroglioma, l’astrocitoma, l’ependimoma e il glioblastoma multiforme, tra tutti i gliomi il più maligno e sfortunatamente anche il più comune. Oltre il 50% di questo tipo di tumori, infatti, è un glioblastoma. Si contano 5-8 nuovi casi ogni 100 000 persone ogni anno. Secondo la classificazione in “gradi” (da non confondere con gli “stadi” della malattia, che ne definiscono l’avanzamento) elaborata periodicamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (ultimo documento disponibile del 2016) per definire l’aggressività di un tumore, il glioblastoma è un grado IV. Massimo del punteggi.

Anche se esiste il glioblastoma pediatrico (circa il 9%), questo tipo di neoplasia colpisce principalmente gli adulti infestando il cervello più spesso a partire dalla materia bianca subcorticale degli emisferi, con un picco tra gli uomini tra i 40 e i 75 anni. Il più delle volte si manifesta in modo inaspettato senza evidenza di precedenti formazioni neoplastiche e da quando appaiono i sintomi e il cancro viene diagnosticato c’è da sperare in un anno intero di vita. Attraverso trattamenti che prevedono la chirurgia e, a seguire, la chemioterapia e la radioterapia localizzata, per alcuni pazienti il tempo si può allungare fino a tre anni, ma con una scarsa qualità della vita dovuta al danno provocato non solo dal tumore, ma anche dalle terapie stesse. Una fra tutte? La demenza.
Andando a scavare tra i numeri dei gliomi ad alta malignità in genere si ottiene un quadro desolante: cinque anni di sopravvivenza per il 60% degli oligodendriomi anaplastici e per il 10% dei glioblastomi pediatrici e dell’adulto. Al momento a questi tumori non si sopravvive.
Per questo nuove strade sono urgentemente necessarie.

Come nascono i gliomi

Una risposta che si riassume facilmente con la frase, così frustrante da ascontare: “Al momento attuale le cause non sono accertate”. L’unico legame chiaro con fattori di rischio è quello con le radiazioni ad alto dosaggio. Potrebbe esserci una componente ereditaria, ma non è un dato di fatto.
E, anche se rimane il dubbio che l’uso eccessivo del cellulare possa avere una parte nella loro formazione, per ora non c’è conferma alcuna. Gli studi che sono stati effettuati (nei topi) sono zoppicanti e i risultati molto discordanti. Tutti motivi e le ultime ricerche, abbastanza ben riassunte, sono a disposizione sul sito del National Cancer Institute degli Stati Uniti.

Nel frattempo, alla Stanford University

Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Stanford University è apparso recentemente sulle pagine della rivista Nature. E sembra aprire una cauta speranza nel trattamento della malattia.

Gli scienziati hanno inoculato cellule di un glioma ad alto grado di malignità nel cervello di alcuni topi con una particolare mutazione genetica – che porta all’assenza della molecola neuroligina-3 – lasciando poi crescere autonomamente il tumore fino a una certa misura. Il risultato è apparso sorprendente: il glioblastoma lasciato crescere da sé semplicemente non cresceva affatto, nonostante si tratti di un tumore a rapido sviluppo.
Un’altra prova è stata fatta bloccando l’azione della molecola in topi normali. Stesso risultato: la crescita del glioma è rimasta bloccata e 5 anni dopo il 60% dei topi è ancora vivo.

È stato anche dimostrato che l’effetto del blocco del segnale neuroligina è altamente specifico: quando i ricercatori hanno impiantato nel cervello dei topi cellule di tumore mammario umano, l’assenza della molecola non ha infatti bloccato in alcun modo la crescita tumorale.

“L’assenza di neuroligina-3 non uccide le cellule cancerose”, precisa il primo autore dello studio, la professoressa di neurologia Michelle Monje. “Le cellule che ci sono rimangono lì, ma non crescono. Comunque va detto che, dopo circa quattro mesi e mezzo dall’impianto, in un ridotto numero di topi i tumori diventano in grado di aggirare la loro dipendenza da neuroligina-3 e ricominciano la loro crescita”. Per questo, spiega la ricercatrice, è assolutamente necessario un approccio ampio per aggredire questo genere di tumore su più fronti. E, in ogni caso , “ogni estensione di vita misurabile per questi pazienti è una vera e propria vittoria”.
Lo studio si presenta particolarmente interessante, oltre che per i suoi risultati positivi, per la sua vicinanza all’inizio dei possibili test sugli esseri umani: un primo trial clinico è già pronto a partire.




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