venerdì 16 gennaio 2015 - Phastidio

Tsunami tra le Alpi

Ieri la Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha deciso a sorpresa di rimuovere il “pavimento” del cambio del franco contro euro a 1,20, in vigore dai tempi più bui della crisi dell’Eurozona, nel settembre 2011, quando imponenti flussi di denaro si dirigevano verso la Confederazione, per trovare un porto sicuro a quello che pareva l’imminente euro-Armageddon. Per evitare un apprezzamento del franco che sarebbe risultato mortale per gli esportatori elvetici, venne dunque fissato quel livello, oggi rimosso. Ed è subito panico.

Il cambio è immediatamente schizzato al rialzo, portandosi in un intorno della parità in condizioni di scambi frenetici che hanno anche visto scambiare intorno a 0,75. Per contrastare la prevedibile reazione violenta del mercato, la BNS ha deciso di tagliare ulteriormente i tassi ufficiali, portandoli a meno 0,75% e fissando un corridoio per il Libor in franchi compreso tra -1,25 e -0,25%. La molla era troppo carica, però.

Perché la BNS ha preso questa decisione, al di là del comunicato ufficiale che parla di “accresciute divergenze di politica monetaria tra le maggiori aree valutarie”? Ora inizia il tentativo di decodifica delle motivazioni sottostanti la mossa svizzera, e delle conseguenze. A caldo si è parlato del crescente costo, per la BNS, di proseguire le operazioni di acquisto di euro, alla vigilia del QE della Bce. Tale costo sarebbe poi stato amplificato da afflussi di fondi provenienti dalla Russia.

Come che sia, alcune considerazioni molto spicciole. La banca centrale svizzera ha appena subito un colpo molto pesante al valore delle proprie riserve in euro, solo pochi giorni dopo aver comunicato un utile record di 38 miliardi di franchi. I mercati azionari globali hanno reagito male, trovando l’ennesimo alibi per un sentiment che da inizio anno è guardingo e piuttosto incline al pessimismo sulla crescita, perché non si conosce ancora la reale ampiezza e localizzazione dei debiti di non residenti denominati in franchi svizzeri. Secondo stime a caldo di JPMorgan, tale importo sarebbe dell’ordine di 150-175 miliardi di franchi. Praticamente, il mondo intero era “corto” di franchi, e resta da capire in quanti hanno usato la valuta elvetica come veicolo di carry trade, cioè si sono indebitati per acquistare attivi ad alto rendimento denominati in altre valute.

Attendendo di contare le vittime di questa situazione, resta da capire come la banca centrale svizzera riuscirà ad evitare di finire sul banco degli imputati per una iniziativa di questo tipo (basta guardare l’indice della borsa di Zurigo e leggere le dichiarazioni a caldo del direttore generale di Swatch Group, per farsi un’idea), e per la drammatica sottovalutazione della potenza distruttiva dei flussi finanziari globali, che spesso proprio per questo motivo eccedono ampiamente i valori di equilibrio fondamentale. Sarà anche importante vedere in che modo la BNS comunicherà al mercato una nuova “regola” di politica monetaria ed una funzione di reazione (ora che di fatto si è denudata in una giornata d’inverno) anche per evitare di essere mitragliata dalla speculazione globale, ad ogni stormir di crisi geopolitiche ed economiche in giro per il mondo. Si parlava di un “paniere” di valute, contro cui misurare l’andamento del franco, ipotesi subito smentita dalla BNS, ma al momento tutto è avvolto nella nebbia.

Il danno non è lieve, ed i contraccolpi saranno ampi e ramificati. Non ci sorprenderebbe ad esempio un indurimento della retorica svizzera contro l’immigrazione, nelle more del negoziato con la Ue dopo il referendum dello scorso anno sulla limitazione dei flussi migratori comunitari. Quanto ai frontalieri italiani, la loro soddisfazione per la situazione rischia di essere effimera: facile profezia attendersi, a furor di popolo e populismo, richieste di balzelli compensativi sulle loro retribuzioni, a titolo di “indennizzo”.

 

Foto: Kosala Bandara/Flickr




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