sabato 12 novembre 2016 - Giuseppe Aragno

Trump vince, benché abbia perso: il Paese del «top 1%»

C’è un Paese ricco e potente, una federazione di Stati, che scrive le sue leggi per favorire i ricchi e consente a piccole élite che detengono un grande potere economico di condizionare i processi politici.

 E’ un Paese in cui le università costano un occhio della testa e a scuola sui libri di testo è ammesso l’intervento degli Stati. E’ un Paese in cui la dottrina liberista conta più del Corano letto dai fondamentalisti e chi riconosce il diritto alla salute e il dovere della collettività di pagarne i costi è un autentico bestemmiatore. Un Paese in cui tutti sono sceriffi armati, boia e polizia ammazzano che è una bellezza, però, per antica tradizione, uccidono soprattutto i neri e va bene così.

Zio Tom vive nella sua eterna capanna e la questione razziale non si risolve mai. E’ un Paese in cui un cittadino su cento possiede ricchezze incalcolabili, milioni di sventurati muoiono di fame e disperazione, i disoccupati neri sono il doppio dei bianchi, e il reddito si divide a seconda del colore della pelle: 76% ai bianchi, 14 ai neri e 10 agli ispanici. . Per i nostri «grandi giornalisti», tutti più o meno cloni di Paolo Mieli, questo Paese è la più «grande democrazia» dell’Occidente e i pennivendoli ora studiano il caso Trump per capire se il palazzinaro-presidente fa sul serio o scherza; qualcuno aggiunge sottovoce che Clinton e Trump sono entrambi due pessimi soggetti, ma nessuno trova scandaloso che il presidente sia stato eletto contro il voto popolare. Eppure le cose stanno proprio così. Nella «grande democrazia», Trump vince, benché abbia perso.




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