lunedì 27 marzo 2017 - Piero Tucceri

Tre nuovi pianeti e un vecchio problema

L'annuncio diffuso dalla NASA relativo alla scoperta di 3 pianeti simili alla Terra, assume una valenza scientifica alquanto relativa. A ridimensionarlo, contribuisce la constatazione che essi siano distanti da noi “appena” 39 anni luce. Considerando che occorra colmare tale distanza per poterli raggiungere, ma viaggiando alla impossibile velocità della luce, si desume agevolmente la relativa importanza di tale scoperta.

La davvero triste realtà, che purtroppo questa notizia conferma, è che siamo drammaticamente imprigionati all'interno del sistema solare. Dal quale, è bene averlo chiaro, non possiamo assolutamente uscire. Al massimo potremo andare su Marte. Solo che questa, più che una magra consolazione, è una ulteriore componente depressiva, essendo esso privo di un'atmosfera che consenta la vita. Per cui, il fatto di andarci, risulterebbe del tutto inutile.
Invece, la questione si propone diversamente, considerandola dal punto di vista religioso: infatti, qualora su quei pianeti dovesse esistere qualche primitiva forma di vita, atteso che quasi sicuramente non ci saranno forme viventi simili a quella umana, allora essa risulterebbe devastante per qualsiasi concezione religiosa dell'uomo. Per poter meglio comprendere questo aspetto, val la pena ricordare che sulla terra, in maniera del tutto casuale, originariamente si formarono organismi derivati da un primitivo RNA (Acido Ribunucleico) evolutosi poi in DNA (Acido Desossiribonucleico), e che soltanto quando si rese possibile la duplicazione di quest'ultimo, comparve la vita sul pianeta. Successivamente, nel corso del processo evolutivo, comparvero nei mari i primi organismi monocarioti, senza i quali non sarebbe stata possibile l'evoluzione dai protorganismi fino all'uomo. L'avvio di questo processo fu reso attuabile dal fatto che la Terra venne a trovarsi in una singolare contingenza astronomica. In primo luogo, essa si trovò nella tanto ottimale quanto casuale distanza dal Sole, così che la sua temperatura non risultò essere eccessivamente elevata, come successe per esempio nel caso di Venere; ma essa non risultò neppure troppo bassa, come per esempio nel caso di Giove. Inoltre, la Terra possiede una massa, e quindi una Forza di Gravità, la quale le consente di conservare l'atmosfera fino a una altitudine di quasi 8.000 metri, oltre la quale la respirazione diventa difficoltosa proprio a causa della rarefazione atmosferica. In proposito, si impone procedere a una ulteriore considerazione: i pianeti più piccoli della Terra, mancano di una atmosfera proprio in conseguenza della loro ridotta massa; tuttavia, neppure i pianeti più grandi possono trattenerla, poiché la loro enorme massa, e quindi la loro elevata Forza di Gravità, schiaccerebbe l'atmosfera sulla loro superficie. Ne consegue che la scoperta dei 3 pianeti simili alla Terra confermi che la vita possa svilupparsi soltanto quando ricorrano condizioni simili a quelle presenti sulla Terra.
A sostegno di tale conclusione, depone la constatazione secondo la quale la Forza di Gravità sia la vera responsabile della vita nell'Universo: essa lo ha infatti generato e modellato, e quasi certamente ne sancirà anche la fine. La Forza di Gravità rappresenta una delle 4 Forze fondamentali presenti in Natura, insieme con la Forza Elettromagnetica, la Forza Nucleare Forte e la Forza Nucleare Debole. Essa è più debole delle altre 3 Forze, segnatamente alle ridotte distanze, mentre è la Forza dominante su larga scala. Ma essa è anche responsabile del moto dei pianeti, della attrazione fra le stelle, fra le galassie e fra tutti gli altri corpi celesti. L'essere umano vive pertanto in funzione della Forza di Gravità. Durante la sua intera esistenza, egli è influenzato da questa invisibile Forza. Lo è sin dal suo primo istante di vita. Da allora in avanti, ogni essere umano deve adeguare il proprio organismo alla sua presenza.


Per millenni l'uomo ha ignorato l'esistenza di questa Forza, fino alla scoperta fatta da Newton. Prima di allora, infatti, nessuno si era mai domandato: “Perché le mele cadono?”. Perché sembrava essere scontato che ciò accadesse. Così come diamo per scontato che avvengano molte reazioni fisiologiche o biochimiche o posturali. Il ruolo della Forza di Gravità a livello fisiopatologico, è stato compreso quando i primi astronauti sono andati nello spazio. Allora si è riscontrato che la microgravità comporti serie conseguenze sull'organismo umano. In tali condizioni, uno tra i più importanti problemi si pone a carico dell'apparato osteomuscolare. Allora, i muscoli, non dovendo più compiere sforzi adattativi, subiscono un processo di ipo-atrofia e le ossa si demineralizzano. Addirittura, si assiste a una alterazione del rapporto fra le fibre muscolari rosse, di Tipo I o lente, e le fibre bianche, di Tipo II o veloci. Inoltre, le fibre muscolari rosse, non dovendo più provvedere al mantenimento della postura ortostatica, diventano pressoché superflue e si trasformano in fibre bianche. Per le medesime ragioni, l'apparato osteoarticolare tende a demineralizzarsi, andando incontro a una precoce osteoporosi. E' importante rilevare come sia sufficiente privare l'organismo umano della Forza di Gravità per soli 15 giorni per assistere alla perdita del 40% della massa muscoloscheletrica.
In condizioni di microgravità, si altera anche la dinamica dei fluidi corporei. Le pareti vascolari sono provviste di fibre muscolari necessarie per consentire il ritorno del sangue verso il cuore, oltre che per mantenere normale il livello pressorio. In condizioni di ridotta o assente gravità, siccome questi muscoli non incontrano resistenze da contrastare, determinano un iperafflusso ematico cefalico, con conseguente incremento della pressione sanguigna. Ne consegue l'attivazione di una risposta neurologica volta ad accrescere l'eliminazione dei liquidi corporei, con conseguente disidratazione. Il volume del sangue circolante allora si riduce, si abbassa il numero dei globuli rossi e si rende difficoltoso il trasporto dell'ossigeno. In quelle condizioni, si riducono anche le dimensioni cardiache, soprattutto quelle del ventricolo sinistro, il quale incontra una ridotta resistenza nel pompare il sangue. Come ulteriore conseguenza, si assiste alla caduta della gittata cardiaca.
La situazione di microgravità comporta pesanti conseguenze anche su tutte le altre funzioni dell'organismo. Per queste ragioni, la presenza della vita non si confina al solo ambito terrestre. Di fronte all'immensità dell'Universo, i 39 anni luce che ci separano da quei pianeti, appaiono insignificanti. Perciò, di fronte a un simile scenario, diventa possibile ipotizzare che oltre la nostra galassia possano esistere, sempre per un processo di casualità, altri soli con pianeti simili alla Terra. Nel contesto dei grandi numeri, tale ipotesi appare fondata. In proposito, fa' riflettere quanto osserva il fisico Roger Penrose nel suo libro dal titolo “ La strada che porta alla realtà”, quando scrive che sarebbe bastato un Universo assai più piccolo di quello visibile per rendere possibile la vita intelligente in altri sistemi solari. Ne deriva che un ipotetico Dio sarebbe stato uno “sprecone” qualora avesse inteso creare altre forme di vita oltre a quella sviluppatasi sulla Terra. Perciò fa' sorridere la credenza religiosa secondo la quale il nostro pianeta dovrebbe ritenersi una sorta di condizione unica e non ripetibile. Ma c'è altro. Perché qualora esistessero forme di vita intelligente su altri sistemi solari, un Dio che si fosse incarnato sulla Terra per salvare la specie umana, apparirebbe a dir poco ridicolo dal momento che si sarebbe sacrificato soltanto per gli esseri umani presenti su questo pianeta. Evidentemente, gli altri esseri intelligenti abitanti altri sistemi solari, non avrebbero avuto o non avrebbero bisogno di alcuna incarnazione divina per il semplice fatto di avere una origine del tutto diversa dalla nostra. Si evince agevolmente come, ancora una volta, si evidenzi l'incolmabile iato ricorrente fra la scienza e la fede.

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