martedì 11 novembre 2014 - Doriana Goracci

La lettera di Tom Derhy, musicista narcolettico morto suicida

Leggendo la pagina di Tom Derhy su Facebook, sembra davvero impossibile che lui non ci sia più: se ne è andato per sua scelta a 26 anni il 6 ottobre del 2014, a causa di una malattia invalidante e sfinente come la narcolessia per la quale non sono noti metodi per la prevenzione e tantomeno per la cura. Una mia amica di Rete, Lucia Gagliano, mi ha chiesto di far conoscere la sua storia, che si svolge con una Lettera a un’amica sconosciuta, pubblicata da Margaux Derhy, la sorella "Affinché tutti comprendano meglio questa malattia. Per onorare la memoria di un fratello".

Non avrei mai saputo altrimenti della sua esistenza e del suo messaggio. In uno dei suoi ultimi tweet ha lasciato una citazione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Siamo stati leopardi e leoni, ci sostituiranno sciacalli e iene.” Vi prego di trattare con delicatezza e amore questa lettera, quasi fosse una foglia in autunno che scivola giù e si fa tappeto per i nostri ricordi più dolci. Tom Derhy era un artista e amava la musica.

Doriana Goracci

LETTERA DI MIO FRATELLO NARCOLETTICO CHE SI È TOLTO LA VITA.

Di Margaux Derhy

Affinché tutti comprendano meglio questa malattia. Per onorare la memoria di un fratello.

A 16 anni, dopo due anni di indagini, a mio fratello Tom Derhy è stata diagnosticata la narcolessia dal Reparto Disturbi del Sonno dell’Ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi. Combatteva da dieci anni per riuscire a vivere normalmente, malgrado gli handicap incompresi causati da questa rara malattia neurologica. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per sostenerlo ogni istante, convinti che con il tempo sarebbe riuscito a gestire la narcolessia.

A 26 anni, Tom si è tolto la vita la settimana del 6 ottobre 2014. I giorni seguenti abbiamo trovato questa Lettera a un’amica sconosciuta (e altri testi che rivelano la disperazione di fronte a questa malattia), nel quaderno blu che portava sempre con sé per scrivere ogni volta che gli veniva l’ispirazione.
Dopo la laurea in Scienze Politiche, si era avvicinato alla sua passione, la musica. Aveva appena terminato la scrittura, la composizione, l’interpretazione e la produzione del suo primo album, Dans sa peau (lett: Nella sua pelle – Nei suoi panni), che sarebbe dovuto uscire all’inizio di novembre e che abbiamo reso disponibile all’ascolto su Spotify. Inoltre, a fine settembre si era esibito nel secondo concerto della sua tournée, e tutto questo malgrado la malattia.

Spinti anche dalla diffusione virale del video pubblicato il 20 ottobre sull’edizione americana di Huffington Post da una ragazza narcolettica, abbiamo deciso di pubblicare questa lettera, con la speranza che un giorno la gravità di questa malattia venga riconosciuta e trattata come merita.

 

LETTERA A UN’AMICA SCONOSCIUTA

di Tom Derhy

“Cara amica, vuoi forse sapere in cosa consiste la mia malattia?
Devi essere abbastanza distaccata da me per potermi ascoltare con serenità.
Ho conosciuto poche persone che abbiano saputo ascoltarmi. Forse nessuna.
Ma tu ci sei spirito frizzante e occhio placido. Tu ci sei, e affinché noi potessimo conoscerci e (non ne dubito) apprezzarci, mi presti delle attenzioni che mi toccano sinceramente.

Proverò a presentarti la mia malattia con la massima lucidità possibile. Ti spiegherò perché questa malattia assomigli a un naufragio, nonostante le apparenze.
Cercherò inoltre di non dilungarmi troppo, in quanto a mio avviso il meccanismo di questa malattia è relativamente semplice. Semplice quasi come il funzionamento di una pila ricaricabile.
La violenza di alcune mie affermazioni potrà turbarti, e far sorgere in te alcuni dubbi. Per questo, proverò a mettere da parte il mio dolore per provare a spiegarti questa malattia senza la minima esagerazione.

Quando un corpo soffre, la mente accoglie questa sofferenza in modo sproporzionato. Anch’io ho conosciuto quest’ostacolo; cinque anni fa non avrei mai potuto parlarti come sto facendo ora.
Mi sono serviti dieci anni per riuscire a liberare la mia mente da questo peso immenso. In passato, quando il mio corpo soffriva, la mia mente soffriva altrettanto, e questi due dolori sembravano accumularsi. Tutto questo era imputabile al fatto che non avessi ancora accettato la malattia, né compreso la misura della sua ampiezza. Non ho mai preteso di riuscire ad accettarla totalmente, ma la via di scampo che ho trovato, l’uscita d’emergenza che ho deciso di varcare mi rende abbastanza sereno da permettermi il lusso di un’ultima missione.
Per cui, se ne hai voglia e non ho già esaurito la tua pazienza, vorrei confidarmi con te su quest’altra esistenza che avrei voluto conoscere, se solo la malattia non si fosse impossessata di me con tale violenza.

La sofferenza – questo glielo devo – mi ha permesso di conoscere il sapore vero delle cose, mi ha insegnato moltissimo.
A che serve tutto questo – vi domanderete voi – se poi voglio mettere fine ai miei giorni senza averne goduto? Il punto è che l’oggetto dei miei desideri è un orizzonte irraggiungibile. Si può attraversare l’Atlantico con una zattera in rovina? Ma cosa dico… Si può attraversare anche solo la Manica?

“Questa malattia ti toglie ogni giorno energie, e ora vi chiederete: “Perché?”. Ora, è proprio questa la sua vera essenza. Essa non ha vere motivazioni, vi sfinisce e basta, trattandosi di una malformazione genetica.
Dormire 15 ore non vi sarà di aiuto. I primi tempi il vostro corpo lotterà abbastanza agevolmente e la vostra mente considererà questa fatica come passeggera, al più come una mononucleosi. Invece no! Ne avrete per tutta la vita! Quando lo avrete capito, tenete duro.
Ogni giorno assomiglierà a un risveglio dopo una notte insonne o dopo una sbronza.
Ma allora che fare? Abbandonare tutto così presto? No, noi facciamo parte della specie dei leoni!

“Nel bene e nel male vi adatterete al mondo delle persone normali. Come un affamato nel giardino dell’Eden che assiste impotente al festino di Gargantua. Sempre al limite del sonno, dovrete imparare a non accasciarvi.
Userete tutti i trucchi, le astuzie, sotterfugi. Poco a poco, la mancanza di sonno determinerà una fatica nervosa. La mente lotterà contro il corpo, ma a forza di lottare esso la usurerà. E non in alcuni giorni, e neanche in alcuni mesi. No, voi siete più forti di questo! Serviranno diversi anni.
Voi, che avete sperato di guarire prima o poi, eccovi dopo dieci anni, con gli altri effetti della malattia: riflusso gastrico, mal di schiena, allergie, ipersensibilità allo stress, freddo cronico agli arti. E avete solo 26 anni! Tutto questo senza evocare le difficoltà sociali che la malattia determina. Impossibilità di uscire la sera senza essere completamente distrutti il mattino seguente ad esempio, impossibilità di socializzare durante il giorno a causa della fatica.

Voi mi direte: “Ma ci sono malattie ben più gravi di questa!”, e nei fatti vi darò ragione. Ma nella maggior parte delle malattie, il malato beneficia di una certa indulgenza da parte della società (rimproverereste voi un cieco che attraversa accidentalmente la strada fuori dalle strisce pedonali?). Il narcolettico – quando è riconosciuto come tale – o si scontra con il sarcasmo della società, oppure va incontro a una vera e propria colpevolizzazione, con accuse più o meno esplicite o dette a mezza bocca, che vanno da “fannullone” a “per caso ti droghi”?

Il narcolettico dovrebbe beneficiare di un aiuto finanziario da parte dello Stato, come accade per la maggior parte delle malattie invalidanti”.

Tom Derhy
 

(traduzione dal francese dell’articolo su Huffington Post)

Per ascoltare le canzoni di Tom: https://soundcloud.com/tom-derhy




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