martedì 23 giugno 2020 - Phastidio

Titoli di Stato: l’eterno ritorno del rischio italiano

Oggi siamo costretti a ripetere cose che -forse- avete già sentito o letto. Ci scusiamo sin d’ora ma non è colpa nostra se questo paese è il remake del giorno della marmotta. Parliamo quindi del moto perpetuo tratteggiato dal presidente della Consob, Paolo Savona, nelle sue “considerazioni finali parallele”.

Eccolo: gli italiani sottoscrivono titoli irredimibili per tenere sotto controllo il debito pubblico e il ricavato viene utilizzato per acquisire quote di proprietà di imprese. L’azionariato popolare garantito dai contribuenti, in pratica. Che vengono spinti al patriottismo con un nudge disarmante: “che bei risparmi avete, sarebbe un peccato se accadesse loro qualcosa”. Tipo una patrimoniale.

Ma queste sono le ore immediatamente successive ai cosiddetti Stati Generali; dove il premier si è diligentemente appuntato la lista della spesa pubblica delle cosiddette parti sociali. Anzi, stakeholders, come dicono gli uomini di mondo. Incluso quella singolare forma di “riequilibrio di genere”, che potrà aiutare le business school italiane a puntellare il loro fatturato.

In attesa di capire se, come e quando tale proposta vedrà la luce (con un bel click day, immaginiamo), impossibile non trovare un filo di color rosso deficit che attraversa la storia patria, partendo da molto lontano. Il deficit come strumento di costruzione di consenso nel paese della “guerra civile fredda”.

Quando il mondo è cambiato, l’Italia ha perso progressivamente contatto con la realtà e con l’ecosistema economico globale, le risorse fiscali si sono assottigliate; non riuscendo più a dare la mancia a tutti, i governi pro tempore si sono dedicati al consensus building a colpi di bonus e voucher, cioè allettando strati elettorali.

I quali strati, dimostrando formidabile miopia strategica, si sono accontentati di portare a casa il brandello di carne, mentre la bistecca diventava sempre più piccola. Ad ogni mini-ciclo del genere, al riproporsi dell’esigenza di quadrare i conti di un’economia sfiancata da un modello di politica economica palesemente disfunzionale, torna carsicamente il tema delle agevolazioni fiscali e di come ridimensionarle. Ovviamente, non se ne fa nulla per non perdere voti. Ora toccherà ai fondi europei continuare a far girare la giostra delle mance italiane?

Lo so, sono cose che vi diciamo da molti anni, non c’è nulla di originale e sta pure diventando stucchevole. Ma questo è il modo in cui questo paese “disfunziona”. Un eterno ritorno di rischio di dissesto, rinviato dai puntelli europei, ma inesorabile impoverimento. Ovviamente, tra una fase e l’altra, spuntano venditori di olio di serpente che vi mostrano la strada per la felicità ed una nutrita serie di capri espiatori, con cui darvi la carica ed auto-assolvervi.

 




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