mercoledì 23 novembre 2016 - Leandro Malatesta

Terremoto | Intervista a Marco Cassini, regista di "La notte non fa più paura"

In questi giorni l'attualità ci obbliga nuovamente a doverci confrontare con il dramma del terremoto che a distanza di soli due mesi è tornato a colpire in modo tremendo il centro Italia.

Per chi ama vivere e in questo caso scrivere di cinema si pone la necessità di capire quando a prevalere debba essere l'esigenza di una narrazione che sappia descrivere ciò che che accade intorno a noi. Tale urgenza si fa ancora più concreta per chi vuole materialmente “fare cinema” mettendosi ad esempio dietro ad una macchina da presa. E' il caso di un film come “La notte non fa più paura” diretto da Marco Cassini giovane regista abruzzese e presentato anche all'ultima Festa del Cinema di Roma.

Il film è ambientato in Emilia e racconta le storie di alcuni personaggi che intrecciano, loro malgrado, la propria narrazione personale con quella del terremoto che nel 2012 ha colpito così duramente quel territorio.

“La notte non fa più paura” è un film davvero ben fatto perché sa mantenere uno sguardo sempre lucido su ciò che racconta, un film che concede al pubblico di potersi immedesimare in ciò che vede narrato sullo schermo. Con grande piacere posso procedere in questo racconto del film attraverso alcune domande alle quali il regista del film, Marco Cassini, ha così gentilmente accettato di rispondere. 

Purtroppo la cronaca non smette di aggiornare se stessa, i fenomeni sismici continuano a creare devastazione e morte nel nostro paese. Puoi raccontarci l'esigenza e l'urgenza di un film come “La notte non fa più paura”:

L'urgenza nasce dall'esperienza. "La notte non fa più paura" nasce dall'esigenza profonda di creare un'opera cinematografica che potesse avvicinarsi al cuore delle persone che hanno sofferto e patito quello che quotidianamente abbiamo vissuto noi abruzzesi dal 2009 in poi. Creare un film sul terremoto dell'Emilia era anche un modo per sensibilizzare gli spettatori su un sisma che per molti è stato dimenticato in fretta. Il sisma delle fabbriche, dei lavoratori, il sisma dell'Emilia è tutto questo. Non avevo nessuna intenzione di fare un film patinato, o ruffiano. Volevo un film vero, sincero, urgente, in cui gli attori avrebbero potuto fare un percorso VERO sui personaggi, parlando con la gente del posto, entrando in contatto assoluto con quello che è accaduto in Emilia. Che è poi quello che è accaduto anche a L'aquila e ora in tutto il centro Italia.”

Per il soggetto del film siete naturalmente partiti anche dal resoconto giornalistico; vi siete quindi avventurati in un “cinema del reale” in un periodo storico dove il reale entra prepotentemente in ogni nostra vita attraverso i mass media ed in particolare internet. Quali sono le difficoltà e le peculiarità di fare un certo tipo di cinema che porta a doversi confrontare e lavorare con materiali già così analizzati dai mezzi di informazione?:

Distaccarsi dall'inchiesta giornalistica era per noi una prerogativa fondamentale per creare un film di narrazione che avesse al suo interno tutti gli ingredienti delle grandi drammaturgie. Quella anglosassone e Shakespeariana su tutte. Il mio obiettivo era quello di creare, attraverso uno studio profondo della realtà, un film che viaggiasse sui binari del sentimento. Samuele Govoni, primo giornalista a recarsi nelle fabbriche distrutte all'epoca, è stato insieme a Stefano Muroni il primo ideatore di quello che, all'epoca, doveva essere un cortometraggio. Con il mio ingresso e il mio intervento, insieme all'altro sceneggiatore (nonché protagonista del film) Cordopatri, abbiamo creato le basi per un film di narrazione che non desse tregua allo spettatore. Che contenesse al suo interno l'esperienza di vita, ma anche la tecnica per costruire una sceneggiatura solida. Il film, a differenza del grande dramma raccontato da tv e giornali, si sofferma su aspetti apparentemente poco importanti, a che invece sono fondamentali per chi vive i terremoti. Il film si pone domande semplici ed efficaci: dove andiamo a dormire stasera? Come facciamo a lavorare se il tetto crolla? Dove mettere i bambini? Il film segue i suoi personaggi dimenticandosi quasi l'inchiesta. Va, forse, ben oltre. Raccontando anche tutte le piccole questioni che una popolazione terremotata è costretta a risolvere per vivere.”

Nel film c'è una “spaccatura” che precede quella inflitta dal terremoto e cioè la “divisione sociale” che colpisce anche il nostro paese.

Avete deciso di raccontare la storia di una giovane famiglia che si trasferisce dal sud Italia in Emilia alla ricerca di lavoro. Volevo chiederti se il tuo film possa anche essere visto come un film “generazionale” dove il terremoto colpisce in modo duro e spietato le deboli prospettive di una generazione già di per sé “fragile”

Il film ha un'impronta sociale ben definita, è vero. Si. Volevo raccontare il disagio della nostra generazione alle prese con mille problemi economici. Con tanti pregiudizi. Con tanti conflitti ancora irrisolti. La grande novità del nostro tempo, a mio avviso, è che anche i giovani imprenditori soffrono come gli operai. E si trovano ad affrontare gli stessi problemi a livello sociale. Fanno fatica. I protagonisti di questo film sono cavalieri solitari che cercano un piccolo giardino dove poter sostare in pace. Non chiedono la luna. Il film, senza puntare il dito, vuole analizzare questo aspetto della nostra generazione, che già ha subito dei terremoti dell'animo. Una generazione spaccata fra rabbia, senso di rivalsa e grande amore verso la propria nazione.”

Il finale del film è un finale però aperto alla speranza. Nel film “Il cammino della speranza” di Pietro Germi è contenuta questa frase: “perché i confini sono tracciati sulle carte; ma sulla terra come Dio la fece per quanto si percorrano i mari, per quanto si cerchi lungo i corsi dei fiumi e sul crinale delle montagne, non ci sono confini”. Credi anche tu che la ricostruzione post sismica possa essere una occasione di rielaborare una nuova solidarietà nazionale che possa andare oltre i confini personali e territoriali?

Germi era un autore di grande spessore. E questa citazione ne è la riprova. Io credo che la ricostruzione non sia semplice. La burocrazia, le leggi, hanno i loro tempi e ci vuole tempo. Forse noi italiani dovremmo lavorare nel rendere questo percorso di ricostruzione più veloce e tangibile. Ma nello stesso tempo dovremmo evitare le speculazioni e il malaffare. Credo, e questo è solo un parere, che dovremmo mettere il bene della comunità davanti agli interessi personali, mandando avanti un'educazione civica importante, improntata sul rispetto dell'altro.
Il finale è forse la parte del film di cui vado più fiero. Senza dire altro vi invito a vedere il film”

Ringrazio ancora molto Marco Cassini per l'intervista concessami e mi unisco al suo invito di vedere il film.




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