mercoledì 23 dicembre 2020 - angelo umana

THF Zentralflughafen: il documentario di Karim Hainouz

Bellissimo documentario mostrato in streaming tra i dieci film che l'ArteKino Festival ha proposto in dicembre 2020. THF: Central Airport è del 2018 e il regista è Karim Hainouz (la i con dieresi), brasiliano d'origine e berlinese d'adozione. 

L'aeroporto di Tempelhof fù voluto da Hitler nel 1923, maestoso, moderno allora, ma ristrutturato nell'era attuale e riadattato a centro d'accoglienza, non ha mai funzionato da aeroporto e i prati servono per le domeniche all'aria aperta e lo sport. Il documentario è un lavoro di riprese durate un anno e mezzo, e questo è il tempo della permanenza di un 19enne profugo siriano che più è stato lasciato raccontare. Non ci sono commenti esterni o paternali sugli immigrati costretti a fuggire dai loro paesi, è solo osservazione, sono solo gli ospiti a parlare (con sottotitoli) e le immagini.

E' magnifica l'idea del riuso di un aeroporto di triste memoria per fini umanitari: un'ottima organizzazione per gente scappata. Soggiorni previsti per sei settimane ma che si protraggono per più tempo in attesa di essere definitivamente ammessi in Germania se possibile, con corsi integrativi di lingua e formazione (600 ore!), ma alcuni possono venire rimpatriati nei luoghi d'origine se non ci sono le condizioni stabilite per restare: la massima durata per un rifugiato in ogni caso non può superare i 3 anni e mezzo. Si vede la “deutsche Organisation” e in fondo la civiltà tedesca, che in questo caso è anche un buon investimento: ci sono molte braccia e menti giovani, persone piene di speranza e di futuro, in un Paese che come il nostro ha un'età media dei cittadini molto alta. E' brutto dirlo, ma si può capire perché per tanti profughi l'Italia, coi suoi centri d'accoglienza e la sua “organizzazione”, sia solo un posto di passaggio. Eppure avremmo tanti edifici militari o luoghi pubblici non utilizzati!

Negli spazi interni sono state approntate con moduli mobili le stanze per famiglie con bambini, letti, zone d'intrattenimento, di gioco e socializzazione, di cure mediche e d'insegnamento della lingua. Una comunità. Colloqui personali con gli incaricati tedeschi, tutto ordinato e ben disposto, con stranieri che si prestano a collaborare nella conduzione per quanto possono o sanno: fà pensare a certe qualificate professionalità fuggite dai loro paesi e utili nel nuovo luogo d'arrivo. Il ragazzo che più il regista ha lasciato esprimere racconta che della Siria gli manca la polvere, che il miglior tempo vissuto nel suo paese è quello della scuola, i compagni di scuola come fratelli; ricorda la partenza piena d'incognite, il distacco da sua madre e i suoi occhi, la paura e l'ansia per il viaggio terrificante in mare. I fuochi d'artificio nel capodanno festeggiato al Tempelhof hanno impaurito alcuni, evocandogli le bombe e la guerra. In un gruppo di ragazzi che parlano tra loro viene detto che il loro cibo di merda è meglio che prepararselo da soli ed un anziano che viene curato dice se guarisce il mio piede guarirà la mia anima, è grato a quel paese che l'ha accolto, non potrei essere più grato, qui ci stò meglio che in paradiso, i tedeschi non sanno mentire.

Tanti là dentro dicono che arrivarci è stata la cosa migliore accadutagli, par loro un altro pianeta. C'è un virus tra noi “globuli bianchi”, ricordo scritto alla fine del documentario, un virus di colore diverso che però ci dà speranza (e non è il Covid).




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