mercoledì 4 novembre 2015 - Fabio Della Pergola

Sul "lento suicidio di Israele"

Nell’ultimo anniversario della barbarica, assurda uccisione di Yitzhak Rabin per mano di un estremista (fascista) israeliano, si sono sprecati gli alti lai per la perdita, con quella morte, di ogni prospettiva di pace fra i due popoli.

Due popoli ormai in guerra da quasi un secolo dal momento che il primo sangue versato fu nel marzo del 1920: quello di pacifici coltivatori ebrei di origine russa che avevano comprato un appezzamento di terra in alta Galilea - la colonia si chiamava Tel Hai - e non, come vuole la vulgata filopalestinese, con il dramma della Nakba nel 1948.

Con la morte di Rabin, titola oggi il Manifesto, sarebbe iniziato “il lento suicidio di Israele”.

Se si volesse parlare davvero di “vocazione suicidale” credo che sarebbe più onesto analizzare le politiche arabo-palestinesi di quest’ultimo cruento secolo, più che quelle israeliane.

I primi, non i secondi, hanno perso tutte le occasioni storiche di diventare uno stato autonomo, riconosciuto internazionalmente, dai confini certi e in grado di svilupparsi in pace, socialmente ed economicamente, con tutti i suoi vicini.

A partire dal rifiuto della risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU che, sulla falsariga delle proposte inglesi anteguerra (rifiutate anch’esse), proponeva la spartizione del territorio ancora sotto mandato britannico. Per non parlare dei vent’anni successivi alla catastrofe (per i palestinesi) della guerra del ’48, scatenata per far sparire il neonato stato israeliano; vent'anni in cui i territori sotto controllo giordano (West Bank) o egiziano (Gaza) avrebbero potuto nascere come stato indipendente. Al contrario furono scatenate - scatenate e perdute - altre due guerre nel ’67 e ’73. Eccetera.

Oggi ai palestinesi resta il controllo, sulla carta, solo di alcune città e poco più - in convivenza forzata con l’esercito di Gerusalemme - e della Striscia di Gaza cui sono stati sigillati (più per mano egiziana che israeliana) anche i tunnel di approvigionamento (e traffico di armi).

Se si parla di “suicidio politico” pochi al mondo, credo, possono battere i politicanti palestinesi, nonostante quanto sostenuto dall’articolo del Manifesto, a firma dell’ex ambasciatore italiano in Libano, quel Giuseppe Cassini che - fatte salve improbabili omonimie - a suo tempo attribuì alla microcriminalità comune l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Horvatin, http://www.ilariaalpi.it/?p=1059, respindendo sdegnato il “polverone di dietrologie sollevato dalla stampa” e “le molteplici speculazioni sulla loro morte”. In sintesi una mente raffinatissima, in grado di analisi davvero sofisticate di geopolitica internazionale.

Credo che di suicidio israeliano si possa ben parlare in termini etici, vista la brutale arroganza della destra al potere, ma anche l’etica dei giovani palestinesi lascia molto a desiderare, o la freddezza con cui si muovono per accoltellare ragazzini e giovani donne e investendo con la macchina vecchi di ottant’anni e signore con la spesa non desta alcuno sdegno?

Certo, per parlare di suicidio politico basta parlare, come fa Cassini, del piano di pace arabo del 2002, rifiutato dagli israeliani, ma scordandosi quello proposto dal governo di Ehud Barak due anni prima, rifiutato dai palestinesi; anche se proponeva - quasi alla lettera - quello che, oggi, viene richiesto a gran voce dai politici “moderati” alla Abu Mazen (e non parliamo comunque di quello che vorrebbe davvero Hamas).

La prova che di suicidio israeliano si tratta? Hezbollah aveva “razzi artigianali” e ora, dopo la guerra del 2006, ha razzi sofisticati. Israele ha bombardato Gaza? Ecco la spiegazione della Terza Intifada.

Quindi se Israele si fosse fatto ammazzare i propri soldati (dieci) da Hezbollah senza reagire oggi il partito islamista libanese non avrebbe razzi sofisticati. E se Hamas da Gaza avesse potuto sparare tutti i razzi che vuole (la media degli ultimi quindici anni è di tre colpi al giorno, tutti i giorni) senza ritorsioni, oggi i giovani palestinesi non avrebbero messo mano ai coltelli.

Per finire, davvero la ciliegina sulla torta, il nostro attribuisce alle recenti politiche israeliane il rinnovarsi, assai turbolento, dell'antisemitismo crescente in Occidente. Vorrei far notare al raffinatissimo osservatore che l'antisemitismo in Occidente c'è da duemila anni e che solo settanta anni fa, nel complice silenzio di tutto questo stesso Occidente, si è consumata la più infame mattanza di innocenti della storia umana. Israele o no, questa è la storia, repetita iuvant.

Insomma, la logica di Cassini è ferrea. Esattamente come quella che, con la stessa cervellotica sicumera, affermava “nessun mandante e nessun movente dietro l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Horvatin”.

Poveri noi.




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