venerdì 22 maggio 2020 - Giuseppe Aragno

Stupirsi non serve. Occorre ribellarsi

E’ terribile, atroce, però non ce ne siamo accorti. Stampa e Televisioni sguazzano nel letamaio della politica nazionale ed estera, tengono il campo le stupidaggini di Trump e l’avanspettacolo dei guitti nostrani, guidati da Renzi e Salvini e la notizia è nata e morta in un giorno: l’inverno del Covid è stato il più caldo mai registrato in Europa. Quasi tre gradi e mezzo «in più rispetto alla media del periodo di riferimento, il trentennio 1981-2010». 

Un valore che atterrisce e risulta peggiore anche se paragonato con l’anomalia a livello globale, di 0,8 gradi.
Invano gli studiosi lanciano l’allarme: il rapporto tra pandemia e degrado ambientale è strettissimo e non a caso il «Crea», il «Center for research on energy and clean air», ha dimostrato che è bastato fermare per un solo mese il nostro infernale meccanismo produttivo, per ridurre del 40% il biossido di azoto presente nell’aria ed evitare 1.500 decessi in Italia e 11mila in tutta Europa.
Si è detto solo di sfuggita, ma le Università di Bologna e Bari e la SIMA, la «Società Italiana di Medicina Ambientale», studiando il rapporto tra diffusione del coronavirus e polveri sottili, sono giunte alla conclusione, confermata dai fatti, che più queste sono presenti nell’aria, più aumenta il contagio.

Non si tratta di dichiarazioni avventate, perché, sottolineano i ricercatori, esiste «una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (PM10 e PM2,5). È noto del resto che le polveri sottili funzionano da “carrier”, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus». In Lombardia, per esempio, dove non a caso il contagio ha raggiunto picchi micidiali, l’inquinamento atmosferico crea condizioni ideali di umidità per cui i virus, dopo un processo di coagulazione, si «attaccano», a particelle solide o liquide, il «particolato», che rimangono sospese nell’aria per ore, giorni e persino settimane, e viaggiano in condizioni vitali anche per lunghe distanze. Ecco spiegato l’elevato tasso di diffusione.

Sono condizioni già note, che hanno avuto un loro peso durate l’influenza aviaria nel 2010, nella diffusione del morbillo in numerose città cinesi nel 2013-14 e si sono ripetute durante la pandemia in corso come dimostra ampiamente il caso della Lombardia e più in generale della Pianura Padana, dove si è registrata la concentrazione dei maggiori focolai. Inutile girarci attorno. Gli studiosi ci dicono che la Pianura Padana soffoca, che il virus è più forte là dove più forti sono le ferite dell’uomo sull’ambiente, ma la politica, serva dei velenosi interessi di un branco di miliardari criminali, è ferma a guardare.

In Italia, ma il fenomeno è di portata mondiale, opposizioni e maggioranze, europeisti e sedicenti populisti si attaccano reciprocamente su questioni politiche marginali che – comunque affrontate – non serviranno a far fronte alla terribile minaccia che incombe sull’umanità. Nessuno dice che siamo a un bivio e non abbiamo scelte, e questo nei fatti è il nodo che stringe al collo il futuro del genere umano: o modifichiamo rapidamente il nostro modo di produzione, torniamo a programmare e investiamo la maggior parte delle nostre risorse per la salute e l’ambiente o non usciremo da questa pericolosa situazione.
Finora, divise su questioni, che non riguardano il futuro dei popoli, le rozze classi dirigenti che governano il mondo, viaggiano allegramente unite verso una condizione di non ritorno che potrebbe segnare la fine del genere umano.
Così stando le cose, più i giorni passano, più diventa evidente: stupirsi non serve, occorre ribellarsi.




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