martedì 5 maggio 2020 - UAAR - A ragion veduta

Stabili legami affettivi: quando lo Stato si intromette nel privato

Una delle principali obiezioni al recente Dpcm, oggetto di critiche fino allo stracciamento di vesti della Cei per la conferma del divieto di celebrare messe ma non di celebrare funerali, è stata “il governo vuole dirci cosa fare dentro le chiese, è assurdo”.

 In effetti a essere assurda sarebbe proprio questa tesi, che tra l’altro è emersa anche all’interno della puntata della trasmissione di Rete4 Dritto e rovescio che ha visto tra gli ospiti anche il segretario Uaar Roberto Grendene e il presidente onorario Uaar Piergiorgio Odifreddi. Non era nemmeno la sola tesi strampalata; per esempio Paolo Brosio ha sostenuto che i soldi dati agli esperti della task forse anti covid andrebbero piuttosto dirottati verso il sociale.

Non che manchino i precedenti in cui i governi o i parlamenti in generale hanno realmente messo becco nelle scelte private dei singoli cittadini. Basti pensare a norme come quelle matrimoniali in vigore fino agli settanta, che impedivano il divorzio e obbligavano quindi i cittadini a convivere con il coniuge anche quando la situazione fosse divenuta intollerabile. O come il divieto di portare una gravidanza per conto di altri che non hanno la possibilità di averne una. O la negazione del diritto di poter rinunciare a vivere una vita fatta solo di sofferenza estrema, e quindi non più degna di essere vissuta. Che dire poi delle varie norme su base squisitamente religiosa, dall’insegnamento del cattolicesimo a scuola che finisce per essere obbligatorio di fatto in numerosissimi, troppi casi, fino all’Otto per mille che da una parte premia i cattolici e dall’altra disconosce i non religiosi.

È tuttavia vero che quel Dpcm di pochi giorni fa ha fatto sfoggio di intromissione indebita in ambiti privati, solo non nella parte in cui confermava il divieto di celebrazione delle messe. La parte in questione è quella che riguarda i famosi “congiunti”, termine che in ambito giuridico esiste solo in una norma del codice penale che riguarda l’ospitalità nei confronti di malviventi, e che viene anche definito con esattezza all’interno della norma. Definizione che invece non coincide con quella data dal governo ai fini del suddetto Dpcm, secondo cui le persone che si possono incontrare, ovviamente in numero limitato e con tutte le precauzioni, a partire dal 4 maggio sono “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)”. Definizione di certo ampia, probabilmente formulata prendendo atto delle numerose perplessità espresse da più parti, ma che ancora non soddisfa.

Non soddisfacente perché se venisse interpretata in senso ampio si svuoterebbe di senso. Chi, se non il cittadino stesso, potrebbe infatti dire quale tipo di legame affettivo e con quali persone è da considerare stabile. Ma non è questo che intende il governo poiché pare che vi siano interpretazioni ufficiose che escluderebbero i “semplici” amici da questa categoria. Ma non si diceva che chi trova un amico trova un tesoro? E comunque non è certo ardito sostenere che un amico può valere più di un parente, anche vicino ma a maggior ragione se lontano, che invece sarebbe consentito visitare. Vi saranno di certo state ottime intenzioni alla base di quanto deciso dal governo, certamente tra queste vi è la necessità di avere dati verificabili oggettivamente, ma ancora una volta il risultato dovrebbe far capire una cosa semplicissima: che quando ci si intromette in affari privati, il rischio che le buone intenzioni sfocino in discriminazioni di vario genere è elevato.

Massimo Maiurana




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