martedì 23 marzo 2021 - Kocis

“Splendi come vita”, il libro di Maria Grazia Calandrone: nel solco della memoria e dell’immagine dell’antifascista Giacomo Calandrone

Un libro innovativo “Splendi come vita” - ed. Ponte delle Grazie -, della scrittrice e poetessa Maria Grazia Calandrone. nel merito espositivo dei contenuti e nel modello grafico delle pagine. Un lungo viaggio nella memoria del vissuto. Un racconto che scorre impetuoso, avendo come fondo tenue i principali eventi dell’intreccio politico e sociale che hanno caratterizzato l’Italia e il quadro internazionale nell’ultimo mezzo secolo, a partire dalla fase iniziale degli anni settanta del secolo scorso.

Una storia personale, coraggiosa nella lucidità narrativa che nulla vuole celare, caratterizzata da un tragico evento “introduttivo”. A otto mesi, il 24 giugno 1965, fu abbandonata a Roma dalla madre

(Lucia Galante, denunciata per adulterio dal marito) che, pervasa da una forte disperazione, si suicida assieme al compagno nelle acque del Tevere. I corpi furono rinvenuti il 27 e il 29 giugno. La bimbetta fu ritrovata da un uomo che la portò nell’area ristoro del suo posto di lavoro, sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

Il giorno successivo alla redazione del giornale L’Unità arriva una busta contenente il certificato di nascita e una nota di accompagnamento : “La bambina trovata a Villa Borghese si chiama Greco Maria Grazia, Nata a Milano il giorno 15 ottobre 1965 [sic!]. L’ho abbandonata in Roma Perché il mio amico non aveva possibilità finanziarie da sostenerla e mio marito cioè suo padre diceva che non era sua. Trovandomi in condizioni disperate, Non ho scelto altro che la strada di lasciare mia figlia alla compassione di tutti, ed io con il mio amico pagheremo ciò che abbiamo fatto, o, indovinato, o, sbagliato. Galante Lucia in Greco”.

 

Viene adottata il 10 luglio dai coniugi Calandrone. La nuova mamma, Ione ( il vero nome è Consolazione, una siciliana di foggia “normanna”, come lei stessa la definisce), è una professoressa di Lettere, il papa adottivo è Giacomo Calandrone, un esponente di rilievo del PCI. La sua adozione fu una consapevole “scelta di vita”, appositamente portata in famiglia a seguito della lettura ( di Giacomo Calandrone) sull’Unità del travagliato ritrovamento e delle “motivazioni” dell’abbandono della neonata a Villa Borghese: Lui, per l’imperscrutabilità del fato, proprio quella mattina aveva visto la bimbetta nella sede del Consiglio Nazionale dove era stata provvisoriamente portata dopo il ritrovamento.

La scrittrice non ebbe maniera di conoscerlo in maniera significativa, poiché morì nel 1976 quando lei aveva dieci anni. Nel libro viene richiamato nel libro come il Padre, con la lettera P scritta con il carattere maiuscolo. Alla stessa maniera la mamma viene citata sempre come Madre.

 

L’essenza del coinvolgente libro è rappresentato dall’accurata ricostruzione, ripercorrendo gli anni della giovinezza, delle tappe che scandiscono la giovinezza che hanno caratterizzato il rapporto difficoltoso, nei fatti tormentato, con la Madre. Nel continuo crescendo di incomprensioni viene sempre difesa dalla nonna materna che vive assieme a loro. Un iter temporale che scorre “ “lentamente” tra le continue intemperie che contraddistinguono il rapporto con la madre adottiva. Un crescendo che corre sempre il rischio di non aver più ritorno.

Si oppone con grande fermezza all’intenzione di ricoverare la Nonna in una “Casa di Riposo”, “ dove ai vecchi non resta che impiegare interminate notti a fiutare l’arrivo della morte”. Accudisce lei la Nonna, ormai permanentemente allettata.

Non serve svelare importanti “passaggi” che si sviluppano nel testo nello scorrere del tempo. Si sminuirebbe il giusto interesse dei potenziali nuovi lettori. Poi, nel corso del tempo sempre ineluttabile, rimane solo lei a tramandare i ricordi.

 

 

Il libro riporta alla comune memoria ritrovata e alla doveroso necessità di approfondimento storiografico sulla conoscenza della figura del papà adottivo, Giacomo Calandrone – un ligure innervato in Sicilia -. richiamato dalla figlia in parecchi passaggi. Si comprende che è un ricordo pervaso da un grande affetto, mai attenuato.

 

Fu un militante, un quadro politico di primo piano a “tempo pieno” del PCI, già a partire dagli anni eroici della resistenza alla dittatura fascista. Nato a Savona il 7 marzo 1909, operaio siderurgico dell’Ilva. Nel 1933 ricercato dal regime per la sua attività antifascista – l’anno successivo fu deferito al Tribunale Speciale segnalato come latitante - si rifugiò in Francia, operando nel Fronte Unito, dove nel 1935 fu arrestato e torturato; espulso, ritornò in Francia clandestinamente, così come molti altri rifugiati italiani antifascisti, militando nei gruppi italiani del Partito Comunista Francese.

Il grido di dolore e di aiuto che si innalzava dalla Spagna repubblicana che combatteva contro l’asservimento di sempre al potere clericale -feudale -nobiliare, dopo il golpe militare dei franchisti fu raccolto da Calandrone nel corso del 1936, assieme a tanti altri volontari internazionali, - 4109 furono i volontari italiani, in gran parte residenti all’estero, Francia, Belgio, Svizzera, Unione Sovietica, Argentina... Dopo la presa del potere dei fascisti moltissimi furono i fuoriusciti membri ( per proporzione numerica) del PCI, PSI, Anarchici, PRI, Giustizia e Libertà e Antifascisti in genere, quest’ultimi citati aggregavano 1090 volontari .

Giacomo Calandrone ( alias Calandran, Camapino) – ligure di Savona – fece parte di un folto gruppo di savonesi costituito da 27 antifascisti volontari in Spagna. Militò nel 3° battaglione della brigata italiana “Garibaldi” - la principale struttura combattente italiana con 1472 partecipanti -, con il grado di tenente ottenuto nei campi di battaglia contro i golpisti reazionari del generale Franco sostenuti militarmente in maniera rilevante dai nazifascisti italo-tedeschi. Tra l’altro fu redattore del periodico “ Il Garibaldino” e all’edizione di “Garibaldini in Spagna”.

Complessivamente, negli oltre tre anni della guerra civile spagnola, gli antifascisti italiani subirono: 600 morti e dispersi, 2000 feriti e 100 prigionieri. Poi, la ritirata.

Nell'imminenza della sconfitta dei repubblicani spagnoli si rifugiò in Francia. Subì il doloroso percorso di tant'altri profughi che provenivano dalla Spagna Prima imprigionato, poi, dopo la sconfitta francese e l’occupazione nazista, partecipò alla Resistenza nella repubblica transalpina. Rientrò in Italia, partecipando alla Lotta di Liberazione.

Quindi, dopo la sconfitta nazifascista, nella nuova Italia iniziò il percorso di militante rappresentante a tempo pieno del PCI. Dalla Direzione nazionale fu inviato in Sicilia nel 1946, assieme a pochi altri militanti “ rivoluzionari per professione” e fedeli rigidamente alla linea del partito che in quella fase era chiaramente di matrice stalinista. Provenivano sostanzialmente da attività lavorative operaie, facevano parte del partito dall’inizio degli anni trenta, accomunati dalla clandestinità durante il regime fascista e dalla ferrea volontà nell’agire politico. Uomini che avevano conquistato nel drammatico campo della lotta antifascista i caratteri di guida nelle strutture della preparazione delle attività politiche.

Scelti dalla Direzione del partito per svolgere ruoli di primo piano nell’organizzazione del Pci nell’isola.

Prima a Caltanissetta. Emanuele Macaluso nel suo libro di memorie “ 50 anni nel Pci”, nel ricordarlo, scrive tra l’altro: “ ….Calandrone dormiva sul tavolo della sezione”.

 

A seguire fu segretario della Federazione provinciale del PCI a Catania e Siracusa. Quindi, per la prima e la seconda legislatura - dal 1948 fino al 1958 - deputato del Parlamento nazionale, eletto nella Circoscrizione di Catania. In questi due mandati presentò complessivamente otto proposte di legge e svolse in Aula 26 interventi. Particolarmente significativo il ruolo che svolse ( assieme al nisseno deputato Luigi Di Mauro) nel dibattito che si svolse nella Camera dei Deputati il 25 settembre 1950. All’od.g. la tremenda esplosione che nel corso della mattinata del 4 maggio 1950 aveva sconquassato una grande area nella zona di Pantano d’Arci ( a pochi chilometri da Catania, attuale zona industriale) dove venivano depositati gli esplosivi bellici recuperate nelle campagne del catanese e del ragusano. La gigantesca deflagrazione di 2000 tonnellate di esplosivi, che provocò nel terreno un cratere di 60 metri di diametro e 30 metri di profondità determinò e la morte di undici lavoratori con il ferimento di centinaia di altri. Una enorme nuvola di fumo invase per lungo tempo la città. La discussione parlamentare nello specificò riguardò la dinamica del tragico evento ( 2000 tonnellate di esplosivi erano ammassati all’aperto nella massima incuria ed illegalità gestionale) e il diniego ( precedentemente già concesso dall’amministrazione comunale) allo svolgimento del corteo funebre previsto per il giorno 8 maggio nel centro storico cittadino. Otto lavoratori morti erano iscritti alla Cgil, evidentemente si voleva evitare la massiccia presenza della Cgil, del Pci e dei partiti della sinistra. Controparte del confronto parlamentare il sottosegretario Bubbio ( agli Interni). Il riferimento esplicito era rivolto al Ministro Scelba ( siciliano, di Caltagirone). Catania, e l’Italia tutta, erano rimaste sconvolte dall’imponente tragedia.

 

Negli anni seguenti Calandrone fu giornalista politico e autore di biografie storiche: “ La Spagna brucia; cronache garibaldine” ( 1962); “ Comunisti in Sicilia” ( 1972), “ Gli anni di Scelba” ( 1975).

 

Muore il 30 settembre 1975. Da tempo era molto sofferente, ricoverato in ospedale in Liguria, con parte del corpo paralizzato. Riguardo il funerale, si legge nel libro: “ La bara di Padre è esposta, sopraelevata, ha il tricolore e la bandiera rossa. Quello di Padre è un funerale di Stato…… ha smesso di soffrire...tra qualche giorno è il mio undicesimo compleanno”.

Prima di morire chiede alla moglie ( che si fa mandare sempre dalla Sicilia le piante di gelsomino) di fare iscrivere sulla lapide solamente : “comunista”.

 

 

domenico stimolo




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