sabato 29 settembre 2012 - Giovanni Graziano Manca

Sì agli scrittori di fama e alle grandi case editrici, ma i libri si acquistano senza pregiudizi

1. Lo si sente ripetere spesso: in Italia le persone che scrivono sono più numerose di quelle che leggono. Credo che i dati sulla vendita di libri e giornali, peggiori ogni anno che passa rispetto a quelli dell’anno precedente, siano sufficienti a dimostrare la realisticità di questo paradosso che è tale solo in apparenza. Probabilmente il mondo della informazione cartacea e quello dell’editoria in genere non erano mai stati, prima d’ora, tanto in crisi. Dell’andamento parabolico discendente che continua ad assecondare il calo dell’interesse nei confronti del libro e della carta stampata constatiamo gli effetti pratici ogni giorno. Imperversano, oggi, a tutti i livelli, il pressapochismo, la superficialità, la disinformazione, l’assenza di valori umanistici, tutti sintomi della scarsa dedizione alla lettura di una parte significativa della popolazione del nostro Paese. In una situazione siffatta anche gli scrittori affermati sembrano navigare a vista e anzi alcuni di essi hanno una percezione talmente negativa di questa situazione di crisi che si lanciano in improvvide dichiarazioni con le quali danno l’impressione di voler erigere, nei confronti di altre categorie di autori, vere e proprie barriere alla concorrenza. Ma andiamo con ordine.

2. Con specifico riferimento al mercato delle nuove uscite librarie, possono essere individuati alcuni fenomeni che per certi versi appaiono in contraddizione tra loro.

Da una parte, ogni anno, viene riversato sul mercato del libro un numero enorme di opere di autori più o meno sconosciuti (autori cc.dd. ‘emergenti’) e si riscontra al suo interno la presenza di un numero cospicuo di case editrici ‘on demand che dietro pagamento di un corrispettivo si incaricano di pubblicare libri di qualsiasi genere senza alcuna valutazione preventiva del contenuto degli stessi. Corrispondentemente, può essere rilevata la prassi seguita sempre più frequente da quelle case editrici che pur non essendo qualificabili come ‘on demand’, al fine di salvaguardare l’equilibrio dei bilanci aziendali e di evitare l’erogazione di onerosi anticipi di somme per le quali sussiste il rischio concreto di non recupero, chiedono all’autore che intende editare il proprio scritto l’acquisto di un numero minimo di copie della propria opera in cambio della pubblicazione del libro. Tale pratica trova una applicazione ancora più puntuale quando a costituire l’oggetto di una ipotetica pubblicazione è una raccolta poetica, espressione concreta di un genere letterario oggi assai trascurato che con il linguaggio del marketing potremmo definire, senza tema di smentita, ‘di nicchia’.

D’altro canto può essere messo in evidenza l’orientamento sempre più marcato dei grandi gruppi editoriali e delle case editrici prestigiose di più consolidata tradizione che consiste nel rifiutare l’esame di nuovi manoscritti fino a quando non siano stati smaltiti i cumuli di proposte di pubblicazione che sommergono le scrivanie delle redazioni oppure, è una delle tendenze più recenti, quando il manoscritto che aspira ad essere pubblicato non venga presentato all’editore attraverso la mediazione di una delle sempre più numerose ‘agenzie letterarie’. Tali aziende di servizi hanno, come è ovvio, scopo di lucro, e dietro pagamento di ‘salati’ corrispettivi ‘correggono’, ‘migliorano’, ‘riscrivono’ etc. opere (o parti di esse) che alle medesime agenzie vengono fatte pervenire con la speranza di poterne incrementare le probabilità di accoglimento da parte delle varie Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, e così via. In sintesi, le agenzie letterarie offrono all’aspirante scrittore tutti i servizi accessori richiesti dall’attività editoriale: servizi di editing, di correzione di bozze, di valutazione di opere inedite, di ufficio stampa per autori ed editori, di rappresentanza degli editori per diritti esteri, di organizzazione e consulenza per eventi culturali, di gestione dei rapporti contrattuali tra gli autori rappresentati e gli editori. Dulcis in fundo, qualora l’autore non avesse ancora un editore, l’agenzia letteraria si occupa di cercargliene uno. Il ruolo di tali organizzazioni è un ruolo di ‘mediazione’, di selezione e di ‘setacciamento’, diventato addirittura indispensabile per chi voglia intraprendere professionalmente la carriera di ‘scrittore’ in questi tempi di grande crisi.

Le agenzie letterarie sono parte integrante della c.d. ‘filiera del libro’. All'interno di quest'ultima, con l’apporto sinergico delle sue diverse componenti, si confezionano, non di rado 'a tavolino', prodotti librari di grande successo commerciale.

3. Pare utile menzionare, in aggiunta a quanto si è detto nel precedente paragrafo, ulteriori due circostanze. Sempre all’interno del contesto di mercato di cui si parlava, da un lato si riscontra la presa di posizione di tutti coloro che vedono nel libro un prodotto commerciale ‘tout court’ che deve essere in grado di mantenere e possibilmente incrementare i livelli di ‘attenzione’ (quelli che sono necessari per il conseguimento dei corrispondenti, auspicati livelli di vendite) di una popolazione di lettori sempre meno numerosa. Quella dello scrittore è una professione che consente solo a chi vende un elevatissimo numero di copie di vivere agiatamente; gli autori affermati, poi, per conseguire entrate ulteriori rispetto a quelle garantite dal cumulo dei diritti d’autore, hanno l'opportunità di svolgere tutta una serie di attività collaterali: collaborazioni giornalistiche, partecipazioni a commissioni di concorsi letterari, reading e manifestazioni culturali di vario genere, etc.. E’ facile notare che l’argomento sostenuto dai grandi editori affermati, da molti librai e da alcuni autori tra quelli che sono riusciti a fare del proprio scrivere una professione vera e propria, ricalca una concezione di stampo prevalentemente mercantilistico. 

D’altra parte, però, innegabilmente, esiste il sacrosanto diritto di tutti gli autori non professionisti che ne avvertano l’intima esigenza, di esercitarsi nella scrittura e di pubblicare libri ogni qual volta ritengano di avere qualcosa da dire. Nella più grande maggioranza dei casi l'autore non professionista assume come proprio obiettivo principale (quando non esclusivo) quello di partecipare, di comunicare agli altri qualcosa di sé per sentirsi parte di qualcosa di più vasto del proprio quartiere o della propria città, di addentrarsi in esperienze sempre nuove, di essere, in qualche modo, anche in piccolo, protagonista, e di far sentire la propria voce in un mondo globale spietatamente competitivo che regala poche possibilità di condivisione culturale e intellettuale e di interazione vera tra le persone.  

4. Si tratta di prese di posizione tra di loro nettamente contrapposte: da una parte vi è il desiderio di ogni singolo autore emergente o 'saltuario' di veicolare nel modo ritenuto più appropriato il proprio messaggio, i propri pensieri, anche quelli più intimi e le proprie storie, quelle più nascoste e quelle più strane o più divertenti e i sentimenti reconditi che nutrono la propria poesia e la propria visione del mondo. Dall’altra vi è il corrispondente diritto di uno scrittore professionista e dell’impresa editoriale che ‘investe’ nell'opera e nelle capacità dello scrittore medesimo di ‘confezionare’ come meglio credono un prodotto, il libro, che sia in grado di penetrare più efficacemente il mercato e di vendere quante più copie sia possibile.

Va ora necessariamente fatta una ulteriore constatazione: tra i libri che godono dei benefici della grande distribuzione libraria che sono riusciti a superare le rigorose valutazioni preventive di agenzie letterarie più o meno prestigiose e/o che spesso portano la ‘griffe’ dei giganti dell’editoria, esistono anche pessime pubblicazioni (sul piano dell’ effettiva utilità, dell’attendibilità dei contenuti, dello stile narrativo, dell’inesistente spessore culturale che le caratterizza, etc.). Viceversa esistono anche ottimi libri tra quelli pubblicati da case editrici minori talvolta con il contributo parziale dell’autore, altre volte a totale carico dello stesso. Tra gli autori che vale la pena di leggere, piaccia o no, molti sono autori che pubblicano a pagamento e credo non si debba mai rinunciare alle emozioni che vengono fornite dall'andare per librerie o per bancarelle di libri alla ricerca di buone letture e autori nuovi da scoprire e di cui suggerire la lettura agli amici.

Del resto è risaputo: anche grandi nomi della letteratura come Balzac, Whitman, Ungaretti e come i grandi poeti in lingua sarda muovono i primi passi pubblicando inizialmente opere ‘a pagamento’.

Il potenziale acquirente dovrebbe accordare la propria fiducia al libro e all’autore che lo ha scritto unicamente sulla base della coincidenza con i propri interessi del genere letterario cui il libro stesso appartiene o della rispondenza alle proprie esigenze intellettuali, culturali e di studio degli argomenti che esso tratta. Egli non dovrebbe farsi influenzare da elementi che potremmo definire ‘accidentali’ quali, ad esempio, la circostanza che il libro stesso sia stato pubblicato da una casa editrice piuttosto che da un’altra, dalla pubblicità oppure dalle recensioni favorevoli scritte da ‘critici amici’ dell’editore, e cosi via.

5. Alcuni fingono di non capire che il libro non è una merce qualsiasi. Quando parliamo di libri non parliamo di marmellate, di spazzolini da denti, di aspirapolvere più o meno rapidi ed efficienti. Il libro costituisce un prodotto il cui ‘consumo’ attiene alla sfera, del tutto soggettiva, spirituale, intellettuale e culturale delle persone: proprio per questo stupiscono e lasciano interdetti alcune recenti ‘uscite’ di noti autori come Michela Murgia. Cito dal sito internet http://liberos.it/notizie/tira-un-sasso-e-beccherai-un-romanziere/98, un’intervento della stessa Murgia sul tema dell’editoria a pagamento:  

Tutta la comunicazione para editoriale degli ultimi anni si è mossa per raccontare alle persone che pubblicare fosse, se non proprio un imperativo morale, quantomeno un diritto: ma "se l'hai scritto, va stampato" non è la stessa cosa che dire "stampalo, se puoi permettertelo". Come sempre accade alle storie, a forza di asserire un'inesistente relazione di consequenzialità tra lo scrivere e il pubblicare, si è finito per renderla effettiva, così che oggi la maggioranza di quelli che scrivono non sto a giudicare con quale rapporto tra velleità e talento - non accetta più che un editore, un agente o un editor gli dicano che il suo libro non ha dignità di stampa.

Non importa se questo rifiuto del filtro editoriale avviene per arroganza o per ignoranza; comunque finisce per fare il gioco di quei sedicenti editori che, proponendosi come poliziotto buono in un mondo di poliziotti cattivi, offrono pecuniae causa la pubblicazione che a queste persone non è stato possibile ottenere honoris causa. Niente di male, se non fosse che poi l'equivoco arriva da sè alle sue estreme conseguenze e lo scrittore pagante si aspetta di finire esattamente sullo stesso scaffale degli scrittori che pagato non hanno, affianco a editori che non si sono fatti pagare (perché se l'hai scritto va venduto), recensito dagli stessi giornali (perché se l'hai scritto va recensito) e invitato agli stessi festival (perché se l'hai scritto va presentato).

In un approccio al problema che appare settario oltre ogni ragionevole limite quanto egoismo, quanti pregiudizi e soprattutto, si potrebbe aggiungere, quanta presunzione!

Francamente, per quanto io mi sforzi, non riesco a immaginare un Calvino, una Morante, un Pavese, un Fenoglio o anche altri, perdersi in osservazioni di tenore simile.

Spiace doverlo constatare ma considerazioni come quelle esternate dalla scrittrice sarda denotano la sua scarsa dimestichezza con gli elementi di cui oggi più che mai ci sarebbe bisogno: moderazione, sobrietà, maggiore obiettività e disponibilità e comprensione nei confronti delle scelte e delle esigenze altrui.

Il ragionamento propugnato da Murgia si presenta come filiazione diretta di una cultura dell’esclusione brutalmente ed unicamente ispirata all’accumulo di ricchezza che si vorrebbe incrementare anche mediante l’emarginazione degli autori che per i più disparati motivi (molti autori, ad esempio, non sono interessati a carriere da ‘scrittore’ e non perdono mesi o anni di tempo alla ricerca di un editore che dia loro l’opportunità di provare l’ebbrezza, per così dire, di essere stati valutati positivamente a priori) hanno scelto di non far parte della c.d. ‘filiera del libro’ (poco umanistica espressione da manuale di marketing che fa pensare a quanto sia diventata feroce la spersonalizzazione dei processi produttivi nel mondo editoriale).

A chi mi chiede se preferisco impiegare il mio denaro acquistando libri pubblicati a pagamento oppure libri di autori affermati che pubblicano per le major dell’editoria rispondo sempre nello stesso modo: non ho pregiudizi e le probabilità che io spenda per l’una o l’altra categoria di libri non dipende certo dal logo più o meno noto della casa editrice (che di per sé, lo si accetti o meno, non sempre è elemento che garantisce la qualità di una pubblicazione) che si trova stampigliato sulla copertina del volume. Giova ripeterlo: il libro non è mercanzia ordinaria: non è un sacco di patate, un giocattolo fabbricato in Cina, un aspirapolvere Kirby che funziona in 72 diversi modi e le cui tecniche di vendita, peraltro, pare siano ben conosciute dalla Murgia, che sullo specifico argomento ha addirittura scritto un libro.




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