mercoledì 5 aprile 2017 - Phastidio

Sgravi contributivi | La foresta pietrificata che marcisce

Chi tiene da qualche tempo un diario dello stagno italiano sa che alcuni “dibattiti” si riproducono per anni uguali a se stessi, in una sorta di eterno ritorno. Due di queste canzoncine eseguite su dischi rotti sono in esecuzione in questi giorni: gli sgravi contributivi e il recupero di gettito di fronte all’ennesima necessità di correzione dei conti pubblici. È semplicemente incredibile come questo si sia trasformato in una foresta pietrificata, o nella sceneggiatura di Beautiful, dove puoi smettere di seguire per alcuni anni ma senza perderti alcunché, e riprendere come se nulla fosse accaduto.

Sugli sgravi contributivi, in questi giorni gira la solita levata d’ingegno rigorosamente triennale, questa volta a beneficio di “giovani” under 35 che non abbiano mai avuto un rapporto di lavoro stabile. Poiché siamo ancora nella fase delle ipotesi e degli spifferi, sui giornali si legge tutto ed il contrario di tutto. Prendendo per buona la versione di cui sopra, e non la sua costosa variante di decontribuzione per chi guadagna meno di 40 mila euro annui, siamo alle solite: a che servirebbe, esattamente? A ridurre il costo del lavoro su un segmento di popolazione, e solo per un triennio. Dopo di che, si torna da capo a dodici. Ma è davvero così difficile da capire? Perché passano gli anni e andiamo avanti con questi demenziali trienni che servono solo a buttare soldi? Il triennio dei sussidi al Jobs Act, che ha avuto come progenitore (ma anche come erede) un bel sussidio triennale. Nello specifico, la legge 407/90 e gli sgravi introdotti nella legge di Stabilità 2017 per assumere a tempo indeterminato o in apprendistato nelle regioni meridionali un giovane tra 15 e 24 anni o un disoccupato over 24 in cerca di lavoro da più di sei mesi. Anche qui, sconto sino a 8.060 euro, finanziato per due terzi da fondi europei.

L’Unione Sovietica aveva i piani quinquennali, la Repubblica Popolare Parolaia d’Italia del socialismo surreale ha gli sgravi triennali. Non scomoderemo Einstein e la sua definizione di follia: ripetere la stessa azione attendendosi ogni volta esiti differenti. Ma forse servirebbe davvero uno psicanalista, per capire. O forse è solo analfabetismo economico, chi può dirlo. Quello che sappiamo per certo è che, anche questa volta, nulla cambierà, alla modica cifra di un miliardo di euro, vedremo da chi e come pagato. Tutto tenendo ben presenti i dieci miliardi di euro buttati ogni anno negli 80 euro, ovviamente, “la più grande operazione di redistribuzione della storia italiana”. Non ce la possiamo fare, lo vedete?

E veniamo al versante coperture, ed alle relative coazioni a ripetere. Anche qui: servono soldi? Si medita approfonditamente e si lancia qualche idea meravigliosa, come “lo sfoltimento delle tax expenditures“, cioè dei benefici fiscali concessi alle clientele e stratificatisi nel corso dei decenni.

L’archivio di Phastidio ci aiuta nella ricerca: in esso trovate il dibattito annata 2014; e quello del 2011, nell’Era Berlusconiana, quando Altero Matteoli riusciva a far sfoggio di crasso analfabetismo contabile e fiscale (ma forse era solo cinismo, chi può dirlo). Il punto è molto semplice: se tagli le tax expenditures ma al contempo non abbassi le aliquote nominali, l’effetto finale è una restrizione fiscale. A fine 2013, governo di Enrico Letta, si generò questa ideuzza come clausola di salvaguardia della clausola di salvaguardia: se non si decide quali agevolazioni tagliare, per 500 milioni, si procede ad un bel taglio lineare, mediante riduzione della percentuale di agevolazione. Ai tempi di Letta, questo taglio era di un punto, dal 19% al 18%. E cosa leggiamo, oggi, su Repubblica? Questo:

«Spese detraibili dal 19 al 18% – Così il governo vuole tagliarle – Le altre ipotesi allo studio riguardano un tetto massimo variabile, o fisso per tutti i contribuenti, alle agevolazioni fiscali»

Come notate, non si butta nulla. Questo piano era nei cassetti del MEF da qualche anno, lo si rispolvera per vedere di nascosto l’effetto che fa. Perché il processo di erogazione delle mance nel frattempo è andato avanti indefesso:

«Tuttavia la questione è ormai matura: l’Italia è il Paese che, dopo l’Austria, ha il peso maggiore di sconti fiscali rispetto al Pil e, come ha segnalato la Corte dei Conti, da quando si parla del taglio ad oggi, detrazioni e deduzioni invece di diminuire sono aumentate di 33 fattispecie»

Eh, signora mia, qui ci sono troppe detrazioni e deduzioni. Che fare, quindi, posto che pare che eliminare singole agevolazioni causerebbe alti e sdegnati strepiti?

«Si pensa invece ad interventi “lineari” su tutta la platea delle agevolazioni che attualmente prevedono che si possa detrarre il 19 per cento della spesa sostenuta fino ad un limite massimo che varia per ciascuna agevolazione. In questa lista ci sono gli oneri detraibili per mutui casa, assicurazioni vita, spese per i corsi di istruzione, per le spese funebri, per la palestra dei figli, per il veterinario ecc. L’ipotesi è quella di ridurre la detraibilità dal 19 al 18-18,5 per cento. L’altra opzione su cui si lavora è più articolata: si tratterebbe di porre un tetto massimo, o “cap”, al reddito all’interno del quale deve stare l’intero ammontare delle detrazioni fiscali percepite dal contribuente. Il tetto potrebbe essere dal 2 al 5 per cento e ciascun contribuente avrebbe libertà su come utilizzare il proprio plafond di detrazioni. Ad esempio: su un reddito di 30 mila euro si avrebbe a disposizione un “fondo” detrazioni che va dai 600 ai 1.500 euro. La terza ipotesi, che tuttavia non distinguerebbe tra redditi bassi e alti, è simile a quella avanzata dal governo Monti nel 2012. Si tratterebbe di introdurre una franchigia di 250 euro e un tetto di 3.000 euro da applicare a tutti gli sconti fiscali»

Come si nota, oltre a non buttare nulla, nulla s’inventa. Sapete come finì nel 2013? Con una clausola di salvaguardia data da aumento delle accise. Lo stesso accadrà quest’anno. E qui parliamo di poche centinaia di milioni, verosimilmente entro la manovrina correttiva da 3,4 miliardi. Pensate cosa potrà accadere quando ci sarà da scrivere una legge di Stabilità con disinnesco di 19 miliardi di salvaguardie poste da Renzi, che ora strepita che serve evitare di aumentare le imposte. Tutto meraviglioso: posano la mina e poi si allontanano per non essere travolti dallo scoppio, mentre aizzano le folle contro un “nemico” esterno.

Nel frattempo, e per non farci mancare nulla, osserviamo che il “precetto” mandato ai giornali è di questo tipo: “tagliamo le agevolazioni ai ricchi, che sono quelli che deducono e detraggono di meno, con buona pace del sacro precetto della progressività fiscale”, per vedere la reazione. Giusto, per carità, questi maledetti ricchi di m. coi loro 50 mila euro annui sono la radice della disgregazione sociale di questo paese.

Nel frattempo, si scopre che nella manovretta da 3,4 miliardi ci sarebbe anche un incentivo allo “sviluppo”, che prevede che i gestori di fondi di investimento possano vedersi tassare il carried interest (in soldoni, la commissione di incentivo) non ad aliquota marginale del 43% ma a quella sostitutiva usata per i capital gain, il 26%. Il tutto mentre nel mondo anglosassone si discute da tempo di fare il percorso opposto. Quello italiano deve essere l’entusiasmo del neofita. Quindi, se non siete money manager, è giusto che paghiate più tasse, visto che siete “ricchi”. Troppo difficile ampliare la base imponibile e ridurre le aliquote, ovviamente.

A noi resta l’affascinante quesito biologico: come è possibile che una foresta pietrificata riesca a marcire? Eppure accade. In Italia.




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