martedì 10 luglio 2018 - Yvan Rettore

Sfruttati? No, disagiati

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La manipolazione del linguaggio è sempre stata una fissazione di qualsiasi forma di potere, perché è proprio attraverso questo mezzo di comunicazione che si può orientare il popolo bue come meglio si preferisce.
Un esempio lampante è quello legato ai termini di "classi disagiate" o di "disagio sociale", oggi tanto in voga nei media nostrani.
Coloro che hanno vissuto gli anni della contestazione dovrebbero sicuramente ricordarsi che allora questi termini non erano affatto in uso e che si parlava piuttosto di "lavoratori sfruttati" o più semplicemente di "sfruttamento" tout court.
Allora veniva istintivo identificare chi procedeva ad attività di sfruttamento nei confronti delle classi più deboli della società: in primis Confindustria, ma anche la Confcommercio, i potentati finanziari, il Vaticano, la massoneria e tutti i poteri collusi col grande Capitale. 
I nemici avevano un nome e cognome e le masse avevano dei denominatori comuni che consentivano loro di riconoscersi nelle lotte che decidevano di intraprendere per difendere i loro diritti.
Perché se sei sfruttato, ovviamente c'è qualcuno che lo fa e che devi per forze cercare di identificare.
Ma se sei disagiato è molto più difficile operare automaticamente un simile ragionamento. Perché quando si parla di disagio, non si pensa necessariamente a qualcuno o ad una entità che ti sfrutta. 
Pensi piuttosto al "mal de vivre", ai problemi della vita di coppia o di famiglia, al tuo essere visto essenzialmente su un piano individuale ma non sociale.
Come fai a pensare a qualcuno che ti "disagia"?
In fondo ricorrendo a tale termine, forse il tuo disagio potrebbe trovare origine anche dai tuoi errori e quindi ne devi rispondere tu in primis.
Quindi, è davvero arduo pensare di primo acchito che una persona "disagiata" sia "sfruttata".
E così i media sono riusciti a confondere la gente comune nell'identificazione degli sfruttatori facendo loro credere che se sono nelle condizioni in cui si ritrovano, spesso e volentieri una parte di responsabilità ricade anche su di loro.
Detto questo, sarebbe meglio mandare in soffitta il ricorso a tali termini ambigui e usare esclusivamente un linguaggio che dica chiaramente come stanno le cose, partendo proprio da chi lucra quotidianamente sulle disgrazie altrui che consapevolmente provoca.
 
Yvan Rettore



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