lunedì 24 novembre 2014 - Annalisa Martinelli

Sequestro Moro, una vicenda ancora aperta

I 55 giorni che hanno cambiato la storia politica italiana. 

Dopo trentasei anni, la ferita è rimasta aperta. “L’operazione Fritz”, nome in codice con cui le Brigate Rosse chiamano il sequestro Moro, disvela l’estrema debolezza dello Stato e ne cambia il corso della storia. Una debolezza imbarazzante, come l’ha definita lo storico Miguel Gotor, protagonista del terzo appuntamento del ciclo “Passato Prossimo” a Ferrara.

All’incontro, interamente dedicato ai 55 giorni di prigionia di Aldo Moro sono intervenuti inoltre lo storico e docente all’Università di Ferrara, Andrea Baravelli, che ha sintetizzato il quadro storico di quegli anni, ed il costituzionalista ferrarese Andrea Pugiotto, in qualità di moderatore.

Miguel Gotor, esperto di santi, eretici ed inquisitori tra Cinque e Seicento, è docente di Storia moderna all’Università di Torino, Senatore e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

Ha pubblicato, tra gli altri, “Il memoriale della Repubblica” (Einaudi, 2011) e “Aldo Moro. Lettere dalla prigionia” (Einaudi, 2008). Alla domanda di Pugiotto su cosa l’abbia spinto a compiere un’incursione nella storia contemporanea, ha risposto: “Ci sono due tipi di storici, quelli che credono al tempo e altri che credono ai problemi, cioè affezionati a una problematicità che prescinde da un tempo cronologico. E io appartengo a questa seconda genìa”. Può quindi definirsi esperto degli anni ’70 del Cinquecento e degli anni ’70 del Novecento.

La morte di Moro viene percepita come quella di un martire, questo è il filo (robusto, a dire dello stesso autore) che unisce il campo di interesse e specializzazione di Gotor con la tragica vicenda che ha segnato una delle pagine più buie della storia repubblicana.

Un Santo martire, secondo Gotor, è un morto carismatico, che con l’effusione del proprio sangue ha testimoniato la “moralità della sua vita”. “A me interessa come l’uomo muore – ha spiegato – e come la comunità riflette su questo, soprattutto se si tratta di una morte violenta. Indagare sulla morte di un uomo, le sue ragioni, per comprendere l’essenza della sua vita”.

A tutto questo, si somma la problematica della libertà di un autore. E anche qui ci può stare il paragone tra il potere di censura dell’Inquisizione ed il condizionamento sicuramente subito dal prigioniero Aldo Moro. “I contesti condizionano il dire, e i ruoli condizionano il dire”. Nei 55 giorni di prigionia, l’uomo politico scrisse 97 messaggi, tra lettere, testamenti e biglietti. Miguel Gotor ne ha riordinato l’intero carteggio, e sul libro “Lettere dalla prigionia” scrive: “Questi testi sono giunti a noi in tre differenti momenti, nell’arco di dodici anni di tempo:

  1. a Roma, durante il sequestro: le prime tre lettere uscirono dalla prigione il 29 marzo e le ultime due il 5 maggio 1978, quattro giorni prima della morte di Moro;
  2. a Milano, in via Monte Nevoso, in un covo brigatista scoperto il 1° ottobre 1978 dal nucleo speciale antiterrorismo guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nella circostanza furono trovate delle lettere in formato dattiloscritto, non firmate da Moro insieme con una parte del suo “Memoriale”;
  3. a Milano, in via Monte Nevoso, il 9 ottobre 1990, nello stesso appartamento ove era avvenuto il precedente ritrovamento, dietro un pannello di gesso casualmente scoperto da un operaio nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione dell’abitazione”.

Nel maggio 2014 è stata approvata la legge istitutiva della terza Commissione parlamentare d’inchiesta, in seguito alle dichiarazionei dell’ex ispettore Enrico Ross, che rivelò particolari inquietanti. In una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del sequestro di Moro, si accennava al fatto che due agenti dei Servizi segreti avessero aiutato le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento. E non solo. Gli agenti dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978. La Commissione si è data due anni di tempo per indagare sul caso, ed è finanziata con 14 mila euro l’anno. Questo ha suscitato il commento:“C’è un’evidente distonia tra mezzi e fini”. Inizialmente la proposta di legge era monocamerale (cioè avrebbero indagato solo i deputati,escludendo i senatori). “Ci siamo immediatamente messi in moto affinché fosse bicamerale”, ha precisato Gotor, “per questo sono stato relatore al Senato”.

“E’ finito il tempo della Magistratura, è finito il tempo della politica, deve iniziare il tempo della ricerca storica, altrimenti non saremo un Paese normale, ma una patologia.”

E, sempre a suo dire, fa parte della patologia in cui siamo avviluppati “far sparire le Brigate Rosse dalla vicenda Moro e concentrarsi sulle colpe della DC o del sistema politico, delle Istituzioni e dei Servizi Segreti”. La stessa distrazione di massa, ha aggiunto, che nella vicenda della presunta trattativa Stato-Mafia, fa sparire dai riflettori i mafiosi.

Ma torniamo al caso Moro. Il presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, veniva rapito a Roma il 16 marzo 1978 in via Fani, da un commando delle Brigate Rosse. I cinque uomini della sua scorta vennero trucidati.

I due capisaldi dell’indagine secondo Gotor sono questi:

1) Non si trattava di un sequestro con lo scopo di eliminare l’ostaggio, come per il “Regicidio classico”, cioè l’eliminazione di un “sovrano” che qualcuno giudica tiranno attraverso la quale si ripaga l’ingiustizia

(come è stato per Giulio Cesare, Enrico IV, Kennedy…)

Non bastava eliminare “il sovrano” attraverso una raffinatissima attività di propaganda (comunicazione), l’obiettivo era quello di delegittimare la moralità del progetto di Moro, in modo tale che non avesse “eredi”, come di fatto poi è stato: si doveva paralizzare le generazioni future. Moro negli anni ’60 aveva fatto con i Socialisti ciò che stava per fare negli anni ’70 con i Comunisti. Fu un convinto assertore dell’alleanza tra il suo partito e quello Socialista, per creare un governo di centro-sinistra. Negli anni ’70, fautore della politica della solidarietà nazionale, in base alla quale la DC e i Comunisti italiani si proponevano di governare insieme il Paese.“Egli provava a fare non un semplice cambiamento, voleva allo stesso tempo consolidare la DC, una democrazia sotto attacco, allargandola, cioè voleva consolidarla dandole respiro. Essere riformisti vuol dire questo: non chiudere le finestre ma aprirle”.

La strategia comunicativa dei brigatisti era congeniata appositamente per dividere all’interno la DC, e funzionale a terrorizzare l’Italia.

2) Non si tratta solo di un sequestro di persona, ha una connotazione spionistico-informativa, di raccolta d’informazioni sensibili. E la strategia messa in campo è stata durissima, con l’obiettivo di distruggere la credibilità e il prestigio dell’ostaggio, ed ottenere la massima risonanza mediatica. Non è da escludere che in quel periodo fosse a rischio non solo la sicurezza nazionale, ma gli equilibri internazionali.

Il dibattito tra i due schieramenti creatisi durante il sequestro, i sostenitori della linea di “fermezza” e quelli della “trattativa” riempì le pagine dei giornali. Ma negare qualunque disponibilità a trattare, era un pre-requisito, un obbligo che serviva a stabilire le condizioni per una trattativa segreta. Le BR comunque, nei loro comunicati ufficiali, non si mostravano interessate ad un riscatto in denaro.

Il primo canale fu il Vaticano. Venne raccolta una cifra piuttosto alta, intorno ai 10 miliardi di lire. Si sa che il presidente del Consiglio Andreotti, consultata la maggioranza, diede l’assenso, almeno formale, per il pagamento di un riscatto in denaro.

“La trattativa Moro - ha concluso Gotor - è una “torta a strati”, è un pacchetto con una serie di altre clausole e passaggi che arrivano a una dimensione internazionale”.

Il cadavere di Aldo Moro fu fatto trovare la mattina del 9 maggio 1978, rannicchiato dentro una Renault Rossa, in via Caetani nel centro di Roma. La sua morte fa sì che a nessuno interessi raccontare la verità.

 “Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro, giudicherà la Storia”.




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