venerdì 13 ottobre 2017 - Sabina Greco

Senzatetto a Sapri | Dopo Pisacane sbarca l’Uomo Invisibile

Anche lui la fece, una brutta fine, quello scienziato di Wells che aveva trovato il modo di rendersi invisibile al mondo e ne aveva cercato, a un certo momento, di trarre vantaggio.

 

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Street Art - Pichi Avo
Noialtri, questa convenienza la stiamo ancora frugando… noi senzatetto, emarginati e barboni della panchina al parco in quel di Sapri. Ci dicono che siamo noi, l’esercito di disgraziati a popolare le città, i grandi invisibili, noialtri abbandonati, reietti e bocciati da una società pretenziosa, meschina e inadeguata all’ascolto e all’accoglienza.
Pare assai difficile, se non impossibile, essere invisibili, pur volendo o tentando in ogni modo – dal vergognarsi al farsi piccoli, passando per il rintanarsi -, quando ti trovi, giorno dopo giorno, a fare due spaghetti sul mattone al parco, a trascinare cartoni mattina e sera – riordinando il giaciglio – e a fare il bucato alla fontana in piazza.
È difficile essere invisibili, quando il cambio d’abito lo fai al bagno pubblico della stazione, dove procedi pure con le abluzioni mattutine e serali portandoti l’acqua in una bottiglia e fazzoletti o la carta igienica per non gravare sul bilancio già rosicato dell’azienda incaricata in quel Sapri di mondare le latrine.
È ancora più difficile essere invisibili, quando il dolore che ti lacera e le lacrime che lo manifestano son vissuti a pochi metri da quelle porte e finestre che celano nell’indifferenza le maschere di agenzie d’assicurazioni, sedi notarili, sindacati CGIL, biglietterie, banche, sale giochi e pur locali.
Il disagio non si nasconde, non importa di che colore, non importa di che natura.
Il disagio è manifesto, che sia dentro o fuori casa, si fa vedere, si fa sentire e non vi è anima che lo ignori:
notti insonni
urla nere
volti spenti
cuori gelati
sguardi abbassati quando non assenti
somatizzazioni e stordimenti etilici
devastazioni dentro per non parlar di fuori
lacrime amare.
Gli invisibili, per davvero, sono invece coloro che il disagio lo vogliono curare, così dicono, perlomeno. Sono coloro già preposti a quegl’enti d’un effimero:
sportelli diocesani evanescenti
loghi solo cimeli d’una voglia del momento
parole sante assai diafane
ministri di Dio terrorizzati alla vista d’un disgraziato che gli bussa alla porta (che per sicurezza è meglio serrare!)
amministrazioni tanto vacue che a percepirle vi è sol la veste.
È a loro che conviene, invisibili e rarefatti, già nascondersi e seder nell’ombra coccolandosi l’apparenza d’esser buoni e servitori di quel Dio pur tanto ambiguo… sono Amore o forse Giudice d’un umano caro figlio… chi lo sa? Di risposte non ne hanno se non quelle di conferma d’avvenuta ricezione d’un guadagno, vero Dio.
Eppur loro non sono soli a languire in quel vasto mare, mai d’un nulla così cinto (rif. post datato 2 ottobre 2017), poiché gravido d’indifferenza. Quella stessa ben nutrita nel cuore di ognuno che a voltar le spalle è sempre destro inneggiando a Dio, ben alto in Cielo… di quell’Altro in terra ME NE FOTTO!
Mi domando, e pure spesso, che farebbe mai Gesù, lì seduto sul gradino d’un monumento ai caduti in quel parco d’una stazione a osservarle le pie genti, vuoi di spalle a innalzare i cieli e a scomparire l’istante dopo… chi lo sa?
Forse piangerebbe ancora.



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