giovedì 22 gennaio 2015 - alessandro tantussi

Se le misure della BCE non si rivelassero risolutive a Draghi converrebbe lasciare la BCE per salire al Colle

Oggi è il D-day, il Draghi-day, il giorno più lungo per l’economia europea e per lo stesso Draghi.

La partita si gioca tutta a Francoforte. 

La Banca Centrale Europea varerà oggi l’ormai troppo dibattuto QE, la BCE stamperà una grande quantità di moneta e la rovescerà sul mercato acquistando titoli di Stato e, forse, obbligazioni bancarie garantite e titoli cartolarizzati.

Servirà a qualcosa? Forse.

I dubbi sull’efficacia di questa manovra, tardiva, non sono pochi, di questa operazione si parla ormai da troppo tempo. Gli operatori finanziari la davano per scontata da mesi e ne hanno già tenuto conto nelle loro decisioni. In previsione della manovra della BCE il tasso di interesse sui titoli di Stato si è già posizionato su livelli più bassi ed anche lo spread dei paesi più deboli si è già ridotto. Il mercato, i tassi di interesse e l’economia reale potrebbero non rispondere più di tanto.

In dicembre l’Eurozona è entrata ufficialmente in deflazione, il mostro con il quale Draghi deve combattere. Il livello dei prezzi ha fatto segnare una flessione dello 0,2% su base annua confermando i timori di una ulteriore contrazione dell’economia, un intervento massiccio da parte del Consiglio Direttivo della BCE non può più essere procrastinato, anzi nell'ultimo mese l'ammontare dei miliardi pare sia raddoppiato, si diceva dovessero esssere 500 ma ora sembra saranno più di mille, che sia un sintomo di debolezza?

Con la deflazione cadono i consumi e gli investimenti, l'economia ristagna, la disoccupazione sale, il peso del debito aumenta. L'obiettivo statutario della Bce è un carovita nella zona euro "vicino ma sotto al 2%", oggi lo sta mancando. Il tasso d'inflazione nell'area è in frenata dall'inizio del 2012 e dall'ottobre del 2013 ha improvvisamente rallentato sotto l'1%. Da allora è calato ancora di più, fino a diventare negativo in dicembre (-0,2%). La Bce deve riportare il tasso di inflazione verso l'obiettivo del 2%, ma non può più farlo con la tecnica convenzionale di ridurre i tassi d'interesse richiesti sui prestiti che pratica alle banche, i tassi sono già prossimi allo zero, non resta che la via "quantitativa", cioè la creazione di moneta.

Il rischio di deflazione è talmente forte che perfino i “falchi” contrari alla creazione di liquidità, primo fra tutti Jens Weidmann (presidente Bundesbank e consigliere Bce), il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble e la stessa Merkel non sono più in grado di ostacolare le intenzioni di Draghi.

Ma servirà a qualcosa? Forse.

I detrattori del Qe, sostengono che l’immissione di moneta non avrà lo stesso effetto che si è visto negli Usa, dove la Fed ha pompato migliaia di miliardi di dollari ed ha effettivamente rilanciato l’economia. In Europa i tassi sono già bassi senza bisogno di acquistare altri titoli di Stato, le banche Europee potrebbero utilizzare la liquidità in eccesso per depositarla a Francoforte - anche dovendo pagare interessi negativi - piuttosto che prestarla a imprese che rischiano costantemente il default. Ma anche se le banche si dimostrassero disponibili a finanziare l’economia reale, il sistema potrebbe non volerne approfittare. Le imprese, nonostante il basso costo del credito, potrebbero non arrischiarsi ad indebitarsi per investire e i consumatori sembrano orientati a procrastinare i consumi per mantenere una certa liquidità.

Foto: convergenciademocratica/Flickr




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