sabato 14 luglio 2012 - Zag(c)

Se fosse stata vera la Spending Review

Che si rivendichi il no ai tagli lineari lasciati passare come "revisione di spesa" è sacrosanto. Ma che questa sia un'altra occasione persa è altrettanto sacrosanto. In realtà nessuno voleva veramente l'efficienza della spesa pubblica. Il presupposto, al di là delle lacrime di coccodrillo, delle vesti stracciate e delle "ammuine" da parte di tutti a partire dai sindacati fino ai partiti cosiddetti della "sinistra" (PD in testa), era non toccare nulla degli assetti di potere all'interno della spesa pubblica - chi decide, cosa e come spendere - ma solo fare cassa dando un nome altisonante all'operazione che facesse pensare ad un rivoluzionamento, ma che in sostanza lasciasse tutto così com'è.

"Cambiare tutto per lasciare tutto invariato". E' così da anni e tutti i governi di destra e di "sinistra" che ce l'hanno sbandierato sotto il naso. La spesa pubblica è una cattiva spesa e vi sono sprechi, inefficienze, malaffare e quant'altro. E' sacrosanto! E questa dovrebbe essere una battaglia patrimonio del sindacato, della sinistra, dei lavoratori e delle sue organizzazioni più sincere. Battaglia di avanguardia, e non in difesa come lo sono state quelle a difesa del salario e del lavoro. Tutti, a parole, anche nel passato, ci hanno detto che ci sarebbe stata la svolta, e qualcuno, voglio credere, ci credeva realmente. Ma poi tutto è finito a "taralluci e vino". Sempre. La cattiva spesa, o la spesa per malaffare avvantaggia la malavit , i politici più o meno corrotti, l'establishment, a spese dei soliti "fessi".
 
Perché i padroni non sanno che farsene del welfare pubblico e questo più si affossa più vantaggi loro ne ricavano. Questa è una delle ragioni perché la spesa pubblica e le PA siano inefficienti. Ma non spiega tutto. Perché oltre a tutto questo, che è vero e sacrosanto c'è un altra ragione. C'è il sistema di potere, l'intreccio fra partiti e burocrazia, la melma , le sabbie mobili che il potere fin dall'epoca democristiana ha perpetuato in tutto il cinquantennio passato, fra burocrati, alti funzionari, e anche dipendenti che in cambio di una parvenza di privilegio hanno convissuto, tacendo, salvo un barlume di un lustro in cui sembrava che il riscatto democratico potesse far piazza pulita, per poi finire miseramente nelle sabbie mobili del potere. In cambio del posto fisso, in cambio dei turni di lavoro tranquilli ha concesso che si costruisse intorno una maglia di ragnatele fatte di rapporti di potere, sindacali e burocrati, fra politici e politicanti e alti funzionari, in cui, sempre, tutto si potesse cambiare per poi finire sempre nello stesso rapporto di potere.
 
A tutto questo, frutto di decenni di intrecci malsani a cui nessuno realmente ha voluto metter mani, si è intrecciato anche rapporti di sudditanza da parte dei precari che hanno sostituito la tradizionale forza lavoro, e nei confronti dei quali ai cosìdetti privilegi è stato sostituito la precarietà e il ricatto occupazionale.  
 
Si può pensare ad un cambiamento radicale? Sì, a patto che radicalmente si cambi il rapporto di potere, non dal di dentro ma attraverso uno tsunami di tutta la società che rompa con la tradizionale politica, ingerenza e influenza dei partiti (o movimenti che dir si voglia) e che siano direttamente i lavoratori e cittadini a decidere.



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