lunedì 10 dicembre 2018 - Fabio Della Pergola

Se cede la Francia adieu all’Europa

Le domande sulla crisi francese si accavallano, tra violenze di piazza con decine di auto (non solo Porsche) date alle fiamme e negozi saccheggiati e dall’altra parte reazioni poliziesche inutilmente crudeli (come definire altrimenti i ragazzini di liceo costretti a stare in ginocchio nel fango con le mani incrociate dietro la nuca se non come una protervia inaccettabile in uno stato – ancora - democratico?).

Sabato non è andata male come si temeva – l’idea che ci potesse scappare il morto era tutt’altro che peregrina - ma oltre mille arrestati non è roba di poco conto. Anche se è evidente la spaccatura nel movimento tra i moderati che hanno rinunciato a scendere in piazza e i diecimila oltranzisti che invece lo hanno fatto (da notare la presenza di due delegazioni italiane di fronti opposti, ma qui dalla stessa parte della barricata antigovernativa, Potere al popolo e Casa Pound).

Insomma Macron sarà pure Macron (cioè un figlio del sistema bancario che è "inciampato" in un incredible regalo fiscale a favore dei più ricchi), ma non per questo è lecito pensare che il poujadismo barricadero sia meglio.

Con tutto ciò se perfino un esperto di progetti insurrezionali come Toni Negri parla di una sommossa in qualche misura infiltrata dall’estremismo di destra, in cui la sinistra fatica invece a farsi vedere (e figuriamoci se è in grado di dirigerla), il sospetto che qualcosa non quadri affatto nella protesta dei “gilet gialli” è forte. Sospetto che si rafforza se leggiamo (Fubini sul Corriere della Sera) che in rete sta girando in modalità ormai virale, un presunto e anonimo “manifesto” della contestazione in 25 punti, dove apertamente si elencano richieste dal sapore che in Italia non esiteremmo a definire giallo-verde.

Il fatto che ancora nessuno ne abbia reclamato la paternità rende lecito qualsiasi retroscena (per non parlare apertamente di “manine” complottiste).

Vari punti sembrano trapiantati dalle strutture ideologiche di Beppe Grillo – scrive il quotidiano - ma rafforzate. In primo luogo il punto nove, dove ci si propone una “Frexit”, l’«uscita dalla Ue per riconquistare la sovranità politica, monetaria e economica e il diritto di battere moneta». O, ancora, la pretesa di «annullare il debito» perché «non ha più ragione di esistere». Molto grillino anche – continua l’articolo - «l’attacco alle grandi banche» o «la richiesta di referendum d’iniziativa popolare per ridare potere al “popolo sovrano”». Si continua con un evergreen come l’attacco ai media e ai giornalisti per arrivare fino alla classicissima cultura del sospetto verso l’«”ingerenza” dello Stato nelle questioni sanitarie dei cittadini» e contro l’«”influenza” dei laboratori farmaceutici». Più vicina ai temi leghisti invece – chiosa il Corriere - l’idea di «impedire i flussi migratori». Una musica già sentita nel Belpaese che ha portato al più imbelle, arrogante, cialtronesco e xenofobo governo della storia repubblicana.

In altre parole, sarà per l’assonanza cromatica o, più concretamente, per i contenuti delle richieste (ammesso che siano autentiche), sembra di essere davanti a un movimento di piazza molto ben congegnato per esportare oltralpe l’esperienza vincente dell’accoppiata populista M5S-Lega. Con la differenza di non poco conto che se nel nostro paese il successo è arrivato per legittima via elettorale (per quanto con il più classico degli inciuci post-voto), in Francia si è tentata invece la sommossa di piazza per ribaltare un voto che aveva viste contrapposte al ballottaggio due sole forze politiche: il nuovo movimento di Macron (europeista e di sistema) e la formazione sovranista e nazionalista della LePen.

Non a caso qualche fonte dell’Eliseo aveva parlato di “rischio golpe”. Esagerazioni? Certamente sì, ma la logica – sovvertire un governo democraticamente eletto sollevando la piazza – è prettamente golpista (sempreché si concordi sul fatto che "rivoluzione" è un'altra cosa).

La mancanza del terzo incomodo “giallo” aveva facilitato la vittoria centrista a differenza di quanto accaduto al progetto renziano in Italia, ma ora le cose sembrano aver preso una piega diversa: se il movimento dei gilet gialli riuscirà a trovare un leader riconosciuto dotato di un qualche carisma, capace di tenere il movimento lontano da più devastanti scontri di piazza (destinati a rafforzare il governo in nome della stabilità e della sicurezza) allora la via “italiana” si aprirà anche in Francia. Gialli e forze di una destra variamente declinata, con un qualche supporto dall’estrema sinistra residuale, potranno creare davvero un’alternativa vincente al centrismo macroniano.

Con il risultato di dare probabilmente un colpo di grazia definitivo al progetto europeo dopo la Brexit, le intemperanze dei quattro del gruppo di Visegrad e l’esito delle elezioni politiche italiane.

E qui si apre il secondo capitolo che interessa più da vicino anche le nostre sorti. Che succederà se anche la Francia sposerà le tesi sovraniste, anti europee e magari anche anti euro?

Un paio di anni fa avevo immaginato, un po’ presuntuosamente, che le linee di faglia su cui si sarebbe spaccata l’Europa sarebbero state più o meno quelle che nei secoli hanno segnato i confini fra aree di diversa tradizione etnico-religiosa: paesi latini (cattolici), paesi nordico-germanici di area protestante (con l’aggiunta per motivi linguistici di aree cattoliche come Baviera e Austria) e area anglicana. Non avevo immaginato invece che i paesi dell’area ex-sovietica sarebbero andati per la loro strada accomunati più dalla recente esperienza totalitaria che dalle più antiche tradizioni culturali e religiose.

Alla fine sostenevo che il progetto europeo avrebbe tenuto fino a che avesse resistito la Francia, paese che accanto ad una tradizionale maggioranza cattolica ampia ha una minoranza “ugonotta” (cioè protestante) più significativa culturalmente che numericamente. Al di là della decisa laicità dello Stato e di un sempre più esiguo sentimento religioso della popolazione, le due diverse tradizioni conviventi da secoli - che nel tempo hanno forgiato mentalità diverse capaci però di amalgamarsi nonostante un passato assai burrascoso - contribuivano, insieme ovviamente ad altri fattori, a fare del paese il più adatto dei collanti fra le varie anime europee.

Se anche la Francia cede al sovranismo populista, il progetto europeo perde proprio quel collante capace di tenere insieme le spinte centrifughe che allontanano sempre di più l’area latina da quella germanica e quest'ultima anche dell'area magiaro-slava.

Così ognuno andrà per la sua strada a farsi i fatti suoi (cioè incontro presumibilmente alla peggior crisi economica di sempre se parliamo dei paesi più esposti come il nostro) proprio come si voleva laddove quel progetto di unificazione dell’area idealmente ed economicamente più forte al mondo, era proprio insopportabile: nella Russia di Putin e nell’America di Trump.

O, più sottilmente, nella Russia di Alexandr Dugin e nell’America di Steve Bannon, i due figuri che più di ogni altro si sono spesi, ad ogni livello, per dare ai popoli una prospettiva socio-politica profondamente (post)fascista e, nello stesso tempo, radicata nelle tradizioni culturali (e religiose) più reazionarie.

In sintesi: senza alcun amore per le politiche centriste (soprattutto quando alimentano le diseguaglianze sociali anziché diminuirle), non si riesce a provare alcuna empatia per chi - di qualsiasi colore reale esso sia - nel frattempo pianifica la distruzione del progetto europeo, unica difesa possibile dal ritorno dei nazionalismi più inquietanti.

Foto: NightFlightToVenus/Flickr




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