mercoledì 20 marzo 2013 - UAAR - A ragion veduta

Se anche Israele ha un governo senza partiti ultra-ortodossi

In Israele il nuovo governo di Benjamin Netanyahu ha ottenuto la fiducia. Dopo settimane di negoziati, si è formato un esecutivo che è indubbiamente ancor più nazionalista dei precedenti, con ministeri anche alle formazioni dei coloni. Il rischio è che quindi si acuiscano le conflittualità con i palestinesi, proprio sul tema caldo degli insediamenti.

Ma questo governo porta anche delle novità significative: ha il più alto numero di ministri donne e mancano i partiti ultra-ortodossi. Per la prima volta in dieci anni la destra religiosa di Degel Hatorah (aschenaziti) e di Shas (sefarditi) non avrà dicasteri.

Proprio le formazioni ultra-ortodosse hanno ottenuto negli anni dal governo diversi privilegi confessionali per gli haredim. Come la possibilità dei giovani di non essere coscritti nell’esercito, con un allungamento a tempo indeterminato dell’esenzione per motivi di studio rispetto a tutti gli altri.

Si consideri che per dedicarsi allo studio assiduo della Torah e agli altri obblighi religiosi, gli haredim usufruiscono di ingenti sussidi statali. Nonostante la loro volontà di estraniarsi dall’esercito, in questi ultimi anni sta però aumentando l’influenza dei più osservanti proprio tra le fila delle forze armate. Con dissidi sulla necessità di riferirsi o meno a Dio nella “preghiera” per i soldati morti, riferimento inserito negli ultimi anni su pressione delle alte gerarchie militari ma poi tolto di nuovo.

Una situazione che sta diventando in Israele sempre meno gestibile per gli alti costi fiscali e sociali, visto che gli ultra-ortodossi fanno molti figli, si isolano rispetto al resto della popolazione giudicata meno osservante e sono sempre più tagliati fuori dal mercato del lavoro. E che potrebbe essere messa in discussione proprio dal nuovo governo.

Dai rilevamenti demografici è emerso che nell’ultimo decennio gli ultra-ortodossi sono aumentati soprattutto per la tendenza natalista (oggi sono circa un decimo della popolazione israeliana), con una ripresa del fondamentalismo tra coloro che già si definivano credenti. D’altronde i loro esponenti non hanno mancato di rivendicare l’isolamento rispetto allo Stato, giudicato troppo secolare e colpevole di distogliere gli israeliani dalla fede, all’insegna del comunitarismo integralista.

Nella società il maggior peso degli haredim sta creando fenomeni preoccupanti. Interi quartieri sono ormai abitati solo da estremisti religiosi, che impongono rigide regole di condotta e sono insofferenti anche verso i più laici che non le seguono. Per esempio, in diverse occasioni hanno bloccato il traffico a Gerusalemme, fermando le automobili o bersagliandole con sassi e altri oggetti, perché non ammettevano che si guidasse nel giorno sacro del sabato. O imposto marciapiedi separati per uomini e donne nel quartiere di Mea She’arim durante la festa ebraica dello Sukkot. Ricorrente il vandalismo verso cartelloni o pubblicità giudicati offensivi perché mostrano donne. Non sono mancati disordini e manifestazioni da parte degli ultra-ortodossi.

Verso la fine del 2011 sono scoppiati un paio di casi emblematici, che hanno scosso l’opinione pubblica e non a caso hanno visto loro malgrado come protagoniste una giovane donna e una bambina. La trentenne Tanya Rosenblit è stata aggredita verbalmente da un paio di fondamentalisti perché aveva osato prendere posto sui sedili della parte anteriore di un autobus che faceva la spola tra Ashdod e Gerusalemme. Ma ha tenuto loro testa, diventando una sorta di Rosa Parks. Gli haredim erano infatti riusciti a imporre una norma non scritta per cui, nei mezzi pubblici che transitano nelle ‘loro’ zone, le donne si devono sedere in fondo. Un altro caso che ha messo in luce l’invadenza degli ultra-ortodossi e le tensioni con la componente più laica della società israeliana è stato quello di Neema Margolese. Una bambina della cittadina di Beit Shemesh, di madre statunitense, presa a sputi e insultata mentre andava a scuola perché il suo abbigliamento non era ritenuto consono dagli ultra-ortodossi.

Non si contano poi le dichiarazioni intolleranti di rabbini, specie contro laici o musulmani. Inoltre, i leader religiosi ortodossi spesso sostengono il mantenimento e l’espansione delle colonie proprio sulla base di argomenti ultimativi: la terra d’Israele è stata data da Dio agli ebrei. Se però crescono gli ultra-ortodossi, in reazione a questi episodi e contro l’intolleranza diffusa dai religiosi si fanno sentire anche gli attivisti laici e tra la popolazione si diffonde un tipo di sensibilità sempre meno vincolata ai precetti religiosi. Emblematico che per la prima volta, sempre verso la fine del 2011, un cittadino abbia ottenuto il diritto di essere registrato come “senza religione”: lo ha riconosciuto un tribunale per lo scrittore Yoram Kaniuk.

Tutto ciò ha anche riflessi elettorali. Il nuovo governo di centro-destra è formato dallo Habayit Hayehudi (Focolare Ebraico), partito religioso vicino ai coloni di Naftali Bennett, dal centrista HaTnuah (Movimento) di Tzipi Livni, dal Likud-Beitenou di Netanyahu e dallo Yesh Atid di Yair Lapid. La novità è frutto proprio del successo del partito di Lapid e del calo generale della destra storica di Netanyahu. Quella di Lapid è una formazione risolutamente laica, e persino “anticlericale” nei confronti dei fondamentalisti religiosi, che si è piazzata al secondo posto nelle ultime elezioni facendo così entrare 19 deputati su 120 alla Knesset. Lapid, noto giornalista televisivo passato alla politica come il padre Tommy, propone tra l’altro di tagliare i sussidi e i privilegi che lo stato concede agli ultra-ortodossi, nonché di riaprire i negoziati con l’Autorità Palestinese e dare meno sostegno ai settlers. Ed è prevedibile che farà sentire il suo peso, visto che è appena diventato ministro delle Finanze.

Un trend a livello mondiale? Nonostante l’invadenza confessionale — o forse proprio per questo — i laici e i non credenti si fanno sentire di più, anche nelle urne. I partiti e gli esponenti clericali hanno meno successo in diversi paesi, dagli Usa all’Italia. Nel nostro paese, al netto dei pesanti problemi nella formazione del prossimo governo, dalle ultime elezioni è uscito comunque un Parlamento meno clericale e, stando alle ricerche Ipsos sul voto degli ultimi anni, aumenta il peso di atei e agnostici tra gli elettori. Nella cattolicissima Polonia ha avuto successo una lista anticlericale come quella di Janusz Palikot. Se ci aggiungiamo che anche in Irlanda il governo di Enda Kenny ha preso le distanze dal Vaticano in modi mai visti (e concepibili) in precedenza a causa dello scandalo pedofilia che ha travolto la Chiesa locale, si può forse parlare di tendenza. Solo i paesi a maggioranza islamica sembrano andare in un’altra direzione, ma forse è solo il frutto dei primi approcci con la democrazia.

Che, sul lungo periodo, sembra creare sempre più distanza tra gerarchie religiose e le stesse comunità di fede, con una tendenza alla secolarizzazione e reazioni sempre più critiche nei confronti delle ingerenze dei leader religiosi. Sarà per questo che quasi tutte le religioni non l’hanno mai vista di buon occhio?




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