sabato 26 settembre 2009 - Damiano Mazzotti

Scrittori, libri, letture e libero pensiero

Si possono comprare i libri, ma non si può acquistare il tempo per leggerli. Questa è la sostanziale morale di un’opera di Arthur Schopenhauer: "Sulla lettura e sui libri" (www.lavitafelice.it, 2008).

Si può comprare il sesso, ma non si può comprare l’amore e Schopenhauer dileggiava chi scambiava l’acquisto dei libri con l’acquisto del loro contenuto. Non si può “pretendere che uno possa conservare tutto ciò che ogni volta ha letto, è come pretendere che egli porti ancora dentro di sé tutto ciò che ogni volta ha mangiato. Ma così come il corpo assimila ciò che gli è omogeneo, così lo spirito conserva ciò che si adatta al suo sistema mentale o ai suoi scopi. Certamente tutti possiedono degli scopi, ma ben pochi hanno qualcosa di simile a un sistema di pensiero; perciò non immaginano alcun interesse oggettivo e quindi non si deposita niente di nuovo dalle loro lettura; non trattengono nulla” (Schopenhauer, p. 41).

“Quando leggiamo, qualcun altro pensa per noi: noi ripetiamo solamente il suo processo mentale. È come quando lo scolaro impara a scrivere ripassando con la penna i tratti a matita del maestro. Dunque quando si legge ci è sottratta la maggior parte dell’attività di pensare. Da ciò deriva il sollievo palpabile quando smettiamo di occuparci dei nostri pensieri e passiamo alla lettura. Durante la lettura la nostra testa è proprio un’arena di pensieri sconosciuti. Ma se togliamo questi pensieri cosa rimane? Quindi accade che chi legge molto e per quasi tutto il giorno, rilassandosi… piano piano perde egli stesso la facoltà di pensare… Questo è il caso di molti dotti: hanno letto fino a diventare sciocchi" (p. 26 e 27). Per stimolare il libero pensiero creativo occorre ritagliarsi dei momenti di pura riflessione senza scopi: bisogna creare e ricreare uno stato di attenzione libera e fluttuante simile a quello descritto da Freud nel processo psicoanalitico. 

Inoltre i libri migliori andrebbero letti almeno due volte, “un po’ perché le cose si capiscono meglio una seconda volta nel loro contesto e si comprende veramente bene l’inizio quando si conosce la fine; un po’ perché la seconda volta produce su ogni passo una differente disposizione di animo rispetto alla prima volta quando l’impressione era diversa: come quando si vede un oggetto sotto un’altra luce. Le opere sono la quintessenza dello spirito: esse saranno quindi, anche nel caso del più grande spirito, sempre di gran lunga più sostanziose delle sue relazioni sociali” (p. 43).

Schopenhauer detestava la “monomania di leggere la storia letteraria per poter pettegolare su tutto, senza conoscere veramente qualcosa” e avrebbe desiderato scrivere un libro sulla storia tragica della letteratura, attraverso la storia di un uomo che “rappresentasse come le diverse nazioni hanno trattato i grandi scrittori e artisti durante la loro vita, a cui tali nazioni hanno attribuito il loro massimo orgoglio; in cui dunque un uomo portasse dinnanzi ai nostri occhi quella battaglia senza fine, quella che deve sostenere il bene vero di ogni tempo e nazione contro l’ogniqualvolta dominante insensatezza e scelleratezza; dove si descrivesse il martirio di quasi tutti i veri ispiratori dell’umanità, di quasi tutti i più grandi maestri… tormentati in povertà e miseria senza riconoscimento, senza partecipazione, senza allievi, mentre agli indegni delle proprie discipline veniva data fama, onore e ricchezza” (p. 57). Dunque chi combatte i conformismi sociali (giusti o sbagliati) e i pregiudizi culturali, il più delle volte finisce male, perché “C’è un’ignoranza da analfabeti e un’ignoranza da dottori” (Montaigne). E c’è anche quella dei politici che è la peggiore.

È anche vero che nella vita si agisce più emotivamente e impulsivamente, mentre quando si scrive si è più attenti e razionali, si pesano le parole e le verità, e soprattutto, quando si sbaglia si può tornare indietro. Nell’arte tutto è messo al posto giusto al momento giusto (Hume), e soprattutto, gli accadimenti spiacevoli riguardano solo gli altri. “L’arte dello scrittore consiste soprattutto nel farci dimenticare che egli fa uso delle parole. L’armonia che cerca è una certa corrispondenza tra l’andirivieni del suo spirito e quello del suo discorso, corrispondenza talmente perfetta che le ondulazioni del suo pensiero, portate dalla frase, vengono comunicate al nostro pensiero, e che allora ciascuna parola, presa individualmente, non conta più: non c’è altro che il senso mobile che attraversa le parole, altro che due spiriti che sembrano vibrare direttamente, senza intermediario, all’unisono” (Henri Bergson, L’energia spirituale). E anche per gli scrittori “Il più profondo principio della natura umana è il disperato bisogno di essere apprezzati” (W. James). Così la letteratura ha tre voci: quelle dell’autore, del lettore e della specie” (Robert Storey, 1996) e l’uomo non potrà mai vivere senza poesia, perché essa non è solo il dono di chi riesce a scriverla, è la presenza che tutti hanno nell’anima (Giuseppe Ungaretti).

E chiudo con due magnifici aforismi metaforici di Schopenhauer: il sonno e la veglia sono pagine dello stesso libro, tranne che nel sonno vengono fatte scorrere a casaccio; Il destino mescola le carte e noi le giochiamo.

A presto, “ipocrita lettore, mio simile, mio fratello” (Baudelaire).




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