lunedì 6 febbraio 2023 - Giovanni Greto

Sarah McKenzie al Blue Note di Tokyo

Il prestigioso locale riapre le porte anche ai musicisti extranipponici

 

Non c’era molta gente, nel secondo di due pomeriggi musicali consecutivi al Blue Note di Tokyo, convenuta per ascoltare la cantante e pianista australiana Sarah McKenzie (Bendigo, 6 novembre 1987) in un primo set domenicale, durato esattamente 75 minuti.

Sarah ha allestito una scaletta di 11 brani, in parte originali (4), in parte tratti dall’immenso Songbook di Antonio Carlos Jobim (3), oltre a riproposizioni di standard americani e della canzone francese d’autore : Que reste-t- il de nos amours di Charles Trenet (1913 – 2001), diventata, secondo il testo inglese, “I wish you love”. Sarah si è presentata in quartetto, assieme a tre molto giovani musicisti giapponesi, il chitarrista Hirata Koichi, la contrabbassista Tsugawa Kuriko, il batterista, circondato da una Canopus di qualità, Nakamura Kaito, ancora alla ricerca di un proprio stile e di un suono originale ad indirizzo jazzistico.

Tralasciando i consueti convenevoli di cui non se ne può più – sono molto contenta di suonare in questo famoso locale del Giappone, etc.etc. - la pianista ha iniziato con uno standard, “I fell in Love with you”, un medium swing. Dapprima canta, poi improvvisa, alla fine conclude con una serie di breaks con la batteria, in maniera molto scolastica, al punto che sembra di assistere ad una Jam session didattica.

In “I wish you Love” fa capolino il chitarrista con un solo influenzato da Wes Montgomery, mentre il batterista passa alle spazzole.

La prende a ritmo molto lento, “Corcovado”; la canta in inglese e si cimenta in uno Scat senza infamia, nè lode.

“Fly me to the Moon” precede il secondo omaggio al Brasile, attraverso “Chega de Saudade”. I musicisti, in special modo il batterista, non sembrano in grado di esprimere il senso di rilassamento, con il consueto ritardo temporale, tipico dei musicisti brasiliani. Il Funk si alterna al samba, con risultati non felici, mentre Sarah ricorre di nuovo allo Scat.

La pianista rende omaggio a Michel Legrand, con l’originale “Secrets of my Heart” e racconta di aver visto i film da lui musicati, poco prima della sua scomparsa.

C’è poi uno standard, “Let’s Face the Music and Dance”, che alterna lo Swing al ritmo latino, prima di giungere all’ultimo pezzo di Jobim, “Once I loved”, originalmente “O amor em paz”. Per fortuna Sarah non ne dà una versione zuccherosa. Ha una voce bene impostata, forse un po’ nasale, ed è brava anche senza che emergano slanci particolari. E’ sicura, precisa, senza troppi svolazzi e ha Swing, una qualità essenziale per suonare Jazz, secondo Duke Ellington.

Nei dialoghi, che spesso si succedono tra una canzone e l’altra, Sarah dichiara di amare Parigi, essendone rimasta folgorata la prima volta che la vide. Ecco spiegata, “Paris in the Rain”, in cui ritorna l’utilizzo delle spazzole e in cui la musicista alterna il canto in francese a quello in inglese.

“Schneller!”, “più veloce”, in tedesco, iniziato dalla batteria a tempo Afro, è piena di stacchi e si sviluppa in uno Swing veloce che virerà poi in un medio-lento. Nel finale, largo spazio alla foga giovanile, con un assolo di batteria.

Applausi educati precedono l’immancabile bis, “De nada”, una canzone a ritmo di samba, a ricordo dei trascorsi carioca della cantante, quando suonava assieme a grandi professionisti della MPB (musica popular brasileira). De nada sono le uniche due parole in portoghese, cantate a conclusione delle varie frasi inglesi.

Foto di JUN ISHIBASHI

 




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