domenica 13 dicembre 2015 - Entità astratta

Salva Banche e suicidio del pensionato di Civitavecchia, cosa c’è da sapere

Dal decreto "Salva Banche" al conflitto di interessi dei principali istituti di credito e del ministro Boschi. Cosa successe nelle filiali di Civitavecchia di Banca Etruria? 

Luigino D'Angelo aveva 68 anni, e un passato da dirigente dell'Enel. Non aveva figli e la sua vita da pensionato scorreva leggera nel dedalo di stradine della campagna di Civitavecchia, 50 mila abitanti ad un'ora da Roma, dove l'uomo viveva con sua moglie Lidia. Luigino si è impiccato nella ringhiera della sua abitazione il pomeriggio del 28 novembre. Nel suo computer una lettera: «Chiedo scusa a tutti per il mio gesto: non è per i soldi ma per lo smacco subito». Luigino ha perso in un colpo 110 mila euro, che aveva investito in un fondo della sua banca di fiducia: la Banca Etruria. Quella di Luigino è solo una delle oltre 130 mila famiglie che hanno perso tutti i suoi risparmi a seguito del decreto (180/2015) o comunemente detto “Salva Banche”.

Il provvedimento è stato deciso domenica 22 novembre dal governo Renzi, il secondo della 17esima legislatura. Vista l'urgenza l'Esecutivo ha scelto la strada del decreto legislativo, prevista dalla costituzione, che in alcuni casi permette al Governo di emanare leggi immediatamente valide, che solo in un secondo momento verranno votate in Parlamento, cui la costituzione assegna il potere di legiferare.

I principali destinatari di questo provvedimento sono quattro: Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, Cassa di Risparmio di Ferrara e Banca delle Marche.

Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e Cassa Ferrara sono quattro piccoli istituti di credito che rappresentano una piccolissima quota del mercato bancario nazionale: circa l'1 percento. Questi quattro istituti di credito hanno accumulato negli ultimi esercizi un debito di 3,6 miliardi di euro. Con il decreto del governo questi debiti, che racchiudono investimenti sbagliati e prestiti che difficilmente verranno restituti al creditore, confluiranno in una “bad bank”, mentre la parte positiva della vecchia banca, ossia i conti correnti, faranno parte della nuova banca, che verrà ricapitalizzata e poi successivamente venduta. Oggi parte dei capitali necessari per il salvataggio sono stati anticipati dai tre maggiori istituti di credito italiani: Unicredit, Ubi Banca e Intesa San Paolo, che hanno dato vita ad un “Fondo di Risoluzione” che ha avviato il salvataggio delle banche. A scadenza, qualora i crediti non saranno rimborsati alle banche, interverrà la Cassa Depositi e Prestiti, che è una società pubblica che generalmente finanzia infrastrutture.

La recente normativa europea impedisce agli stati membri di intervenire sul salvataggio delle banche in affanno, che altresì dovranno essere salvate da altri gruppi di credito che fanno parte del mercato. In pratica la normativa prevede che gli istituti più virtuosi salvino quelli che lo sono stati meno. Quella sulle banche è un'eccezione nel panorama italiano: in passato, infatti, non c'è stato lo stesso trattamento di favore per gli investitori di altre grandi aziende italiane, tra le quali Parmalat e Cirio (2003).

Nel fallimento delle quattro banche saranno tutelati i correntisti e i risparmiatori più cauti, mentre c'è il serio rischio che i risparmiatori che più o meno consapevolmente abbiano sottoscritto investimenti rischiosi paghino in larga parte di tasca propria. Ai primi (quelli più saggi), infatti, sono destinati i circa 1,8 miliardi anticipati dalle tre principali banche italiane. Mentre l'altra metà dei fondi stanziati sarà usata per ripianare i debiti accumulati finora e confluiranno nella “bad bank”, che si occuperà solo di recuperare i crediti rischiosi e non di effettuare le normali operazioni di credito e di giacenza.

Non è la prima volta che viene creata una “bad bank” in Italia. A cavallo degli anni 2000 questa strategia portò al salvataggio del Banco di Napoli. Diversa e più recente la questione del Monte dei Paschi di Siena, i cui risparmiatori furono salvati da un prestito abbastanza oneroso avallato dal governo Monti, il secondo e ultimo della precedente legislatura. I “Monti Bond”, che in molti hanno descritto come un “regalo” del governo alla Monte dei Paschi di Siena (MPS) sono però stati restituiti quasi interamente dai nuovi vertici della banca senese allo stato italiano, che ha potuto beneficiare anche di un surplus vicino al 9 percento (poco più di 3 milioni di euro).

A differenza degli investitori di MPS, che è tra le prime quattro grandi banche del paese, nessuna tutela o una tutela molto limitata sarà concessa ai possessori di titoli rischiosi. Dalla crisi di MPS ad oggi, l'Europa ha varato una serie di misure per contrastare la crisi delle banche. Parte di questi provvedimenti sono entrati in vigore in Italia lo scorso 10 settembre (Bank Recovery and Resolution Directive) mentre altre più rigide entreranno in vigore dal 1 gennaio del 2016, quando cioè tutti i possessori di un conto corrente saranno obbligati a partecipare all'eventuale salvataggio della propria banca attraverso i propri risparmi (se superiori ai 100 mila euro) e alle obbligazioni fin'ora tutelate. Questo nuovo metodo viene chiamato bail-in (o salvataggio dall'interno).

La distinzione tra tipi di obbligazioni e azioni è molto sottile per i non addetti ai lavori: generalmente la differenza tra le azioni e le obbligazioni subordinate è quasi nulla negli effetti. Entrambe sono molto rischiose e proprio per questo hanno dei tassi di interesse molto alti: che mediamente oscillano più o meno sul 10 percento annuo. Il che equivale a dire che se si decide di investire 1000 euro in un'obbligazione subordinata, a scadenza annuale si otterrebbero circa 1100 euro. Contro invece i 1010 euro che si sarebbero ottenuti con altre obbligazioni più sicure.

Etruria News”, un quotidiano locale on line che si interessa delle questioni dell'alto Lazio e dell'Umbria, è stato il primo a collegare il suicidio del pensionato Luigino D'Angelo e il crac di Banca Etruria. In questi giorni “Repubblica”, uno dei quotidiani italiani più autorevoli, ha ricostruito minuziosamente quanto accaduto a Luigino D'Angelo, descritto come un riparmiatore «pignolo e molto attento». Luigino è stato descritto un «osso duro» per chi è «al di là dello sportello» dallo stesso Marcello Benedetti, il funzionario di banca di fiducia che ha convinto Luigino D'Angelo a far passare il suo investimento da sicuro (Bot o Cct) a non sicuro (obbligazioni subordinate).

Benedetti, che oggi non lavora più per la Banca Etruria e che per vivere monta e smonta caldaie, si è detto disposto a collaborare con la giustizia per far luce su cosa succedeva in quelle filiali circa due anni fa. Secondo quanto anticipato a "Repubblica", dietro a queste operazioni lesive per i clienti ci sarebbero delle pressioni psicologiche fatte dai vertici della banca ai suoi dipendenti

Benedetti racconta che «all'interno della banca» correva voce che «la banca era sull'orlo del fallimento» e che «se non ci fossimo dati da fare la banca avrebbe chiuso e noi saremmo stati licenziati». Benedetti avrebbe poi ammesso che questo era il motivo per cui «ognuno di noi convinceva più clienti possibili». In pratica pur di non essere licenziati gli adetti allo sportello avrebbero piazzato i debiti delle banche con degli strumenti altamente lesivi per il cliente. Soprattutto in considerazione del fatto che l'economia della banca non era ottimale e che in caso di fallimento i clienti avrebbero perso tutto.

Anche per questo in queste ore la politica si sta occupando di valutare o meno se risarcire gli investitori danneggiati dal salvataggio delle banche. Nei giorni scorsi il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, ha parlato di «aiuti umanitari» verso coloro che a causa delle perdite si trovi in situazione di «indigenza». Il giudizio se i clienti siano più o meno meritevoli di rimborso spetterà ad una speciale commissione, ancora non identificata, che avrà il compito di elargire parziali rimborsi in base a criteri non ancora definiti. I fondi, abbastanza esigui, sono stati stanziati dal governo facendo un emendamento alla legge Finanziaria, che è il principale strumento che il governo ha in possesso per regolare l'economia e la finanza del nostro Paese. In sostanza lo stato, e quindi tutti i contribuenti, si faranno carico di questi salvataggi.

A ben vedere l'Italia è stata tra i pesi più virtuosi in tema di salvataggio delle banche. Come ricorda il “Sole 24 Ore”, il quotidiano economico più autorevole del nostro paese, dal 2008 in poi, da quando cioè è esplosa la crisi finanziaria americana, ha speso 4 miliardi (per MPS) e sono stati tutti rimborsati. Al contempo la Germania ha speso 250 miliardi, 60 ne ha spesi la Spagna, 50 i Paesi Bassi e l'Irlanda e 40 la Grecia. Queste procedure chiamate in gergo “bail-out” (o salvataggi dall'esterno del sistema) non saranno più ammesse dal prossimo 1 gennaio 2016.

C'è questo dietro al cauto ottimismo del premier Matteo Renzi. Giovedì 10 dicembre Renzi aveva espresso soddisfazione per il decreto “Salva Banche” perché la situazione «sarebbe stata molto peggiore» se non ci fosse stato, e sarebbero stati persi migliaia di posti di lavoro e centinaia di conti correnti. «Salvare tutti gli azionisti e gli obbligazionisti con le regole Ue è impossibile». Ma le direttive comunitarie in tema di salvataggio delle banche è stato recepito proprio dal suo governo. I maliziosi, inoltre, ricordano che uno dei membri del suo governo era indirettamente implicato in uno degli istituti salvati: la Banca Etruria.

Pier Luigi Boschi, il padre dell'attuale ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi, è stato per otto mesi uno dei vicepresidenti della “Banca Etruria”. Mentre il fratello Luigi è attualmente impiegato dello stesso istituto in uno degli uffici per il recupero dei crediti più difficili.

Anche per questo lo scrittore Roberto Saviano, conosciuto per il libro “Gomorra” e per le denunce degli atti illeciti commessi dalla camorra in Campania, ha gridato al «conflitto di interessi del ministro Boschi». Saviano ricorda come «solo pochi anni fa se una cosa del genere fosse accaduta a un esponente del sottobosco berlusconiano, si sarebbero chieste a gran voce le sue dimissioni, dopo una vibrante crociata mediatica». Saviano ricorda inoltre che nel precedente governo, quello a guida di Enrico Letta, il ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili Josefa Idem si è dimessa per molto meno per «non creare danno al governo». Josefa Idem, che in passato è stata una campionessa di canoa, è stata eletta in Senato come rappresentante dell'Emilia Romagna dopo esser stata la donna più votata nelle primarie del Partito Democratico. Anche per questo Saviano sostiene di esser di fronte a «colpevoli silenzi di fronte a vicende fondamentali».

Nei giorni scorsi il premier Matteo Renzi ha ricordato come sia urgente una riforma del sistema del credito italiano. Probabile che Renzi si riferisca anche al sistema del controllo delle banche, affidato a Banca d'Italia (Bankitalia). In pratica Bankitalia dovrebbe vigilare ed impedire alle banche di vendere prodotti finanziari rischiosi ai propri clienti. Ed in parte anche nel caso delle quattro banche italiane è stato fatto, anche se i moniti di Bankitalia non si sono poi concretizzati in nessuna azione punitiva. La maggioranza delle quote di Banca d'Italia (il 52,4 percento) appartiene ai primi due istituti di credito italiani (Intesa San Paolo e Unicredit). Banca Marche e CarriChieti, due delle banche salvate dal decreto “Salva Banche”, erano presenti in piccola parte anche nel portafoglio azionario di Intesa San Paolo. In pratica controllore e controllato coincidono. Come detto, Intesa San Paolo è anche tra gli istituti che hanno finanziato “Fondo di Risoluzione” del salvataggio delle banche.

Come ha ricordato il capogruppo alla Camera di Forza Italia Renato Brunetta, tra i più feroci oppositori al governo Renzi, il sistema delle banche italiane è «un cane che si morde la coda» ed anche questo è «un conflitto di interessi». Mai risolto anche dai precedenti governi.

 




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