martedì 5 luglio 2016 - Giuseppe Aragno

Salute mentale: sinistra e sinistri

Caro Daniele,

so che sul piano umano ci legano stima, rispetto ed esperienze di lotta lontane di qualche anno, ma vissute assieme, quando ero praticamente l’unico prof. e l’unico vecchio che stava con gli studenti nelle assemblee e nelle piazze. Di quei ragazzi, oggi più o meno adulti, tu, Viola, Giovanni, Diana, Mauro, Eddy, Federica, Luca, Salvatore e Roberto, per me eravate e siete i migliori.

Ho seguito le scelte di tutti, senza schierarmi con nessuno. Ai miei occhi siete tutti uguali. Scrivo a te come farei con loro. A voi mi sento unito da sentimenti profondi e credo che, se non altro, anche voi mi riconosciate lealtà e onestà intellettuale.

Lì, in questi ultimi mesi, la bella storia dei disoccupati organizzati mi è sembrata scontrarsi con i fantasmi di un passato atroce, ma i disoccupati non c’entrano nulla con il Comitato. Me ne sono andato, quando ho capito che lì non si combatte la violenza assassina della psichiatria securitaria, ma si replicano meccanismi di esclusione che producono disagio. Il dissenso e ogni rifiuto di stupide verità di fede lì diventano “tradimento” e il colpevole è trattato secondo modalità impregnate di esclusione: un atto di guerra, che genera sofferenza e si traduce in una maggiore e più grave esclusione. E’ un pericoloso paradosso: chi affonda il coltello pretende di curare il dolore della ferita.

Io penso che tutto ci insegni qualcosa e oggi capisco meglio il senso di una storia che nessuno racconta più: quella dei primi socialisti napoletani che ruppero con la liturgia del “muro contro muro” e con la bibbia rivoluzionaria e per la prima volta nella storia della città portarono militanti operai a Palazzo San Giacomo. Anche allora i “puri e duri” gridarono allo scandalo; qualcuno passò per “traditore” e qualche altro fu minacciato o aggredito da chi è sempre più rivoluzionario di tutti e sta nell’ombra, in attesa di un passo falso, pronto a sputare sentenze: io ve l’avevo detto!

Quei socialisti aprirono una stagione di crescita collettiva; sindacato, partito, coscienza di classe e sciopero contro il nemico di sempre: la disoccupazione. Fino a qualche decennio fa, al cimitero degli uomini illustri, ogni tanto qualche vecchio operaio lasciava sulla tomba di Arturo Labriola, pro sindaco di Napoli per una breve stagione e Ministro del Lavoro con Giolitti, un piccolo foglio con su scritto: “Grazie”. Il “traditore” Labriola, il figlio di quella stagione felice in cui capimmo che la politica è soprattutto costruzione di alternative che ci chiedono di sporcarci le mani, metterci la faccia, l’anima e il corpo per spostare tutto dalla nostra parte, Labriola assicurò una pensione agli invalidi di guerra. Erano più di mezzo milione. Certo, talvolta sbagliò, ma tu lo sai bene: chi fa può sbagliare, ma chi se ne sta fuori, tanto sa già come finisce, chi tace quando va bene e si prende i vantaggi, però se va male punta il dito, quello sbaglia di certo. E sbaglia più di tutti.
Me ne sono andato dal Comitato di lotta con l’etichetta del “traditore” e poiché non sto al gioco, rompo con consuetudini omertose e porto fuori dal Comitato calunnie, menzogne e minacce. C’è un treno che passa. Porta con sé speranze di cambiamento e non voglio prenderlo. Voglio stare con voi, ragazze e ragazzi, che siete cresciuti e state dando una grande prova di maturità, tutti, nessuno escluso. Io non credo che voi siate “ignari della vostra triste ignoranza”, come pensa il Comitato che lascio.

A Napoli da un po’ c’è un Osservatorio sulla Salute Mentale, preziosa risorsa per la difesa di diritti negati e la tutela di gente che soffre. Finora non ha funzionato; lo hanno impedito alcuni sedicenti rivoluzionari, per ragioni che non hanno nulla da spartire con la rivoluzione. Abbi pazienza e stammi a sentire.

Alla fine del 2014, il Comitato di lotta per la salute mentale mi chiese di parlare con il sindaco, per ricordargli una pratica aperta: quella dell’Osservatorio per la salute mentale di cui s’erano perse le tracce. A me questi problemi stanno a cuore, perché mia madre ha subito elettrochoc e ricoveri coatti e anche io ho avuto problemi, perciò accettai e mi sembrò chiaro: se ti rivolgi a un sindaco, sai di parlare con un esponente delle Istituzioni. Potrai avere il massimo dell’autonomia, ma questo la sai.

Si può fare in altro modo? Certo. C’è sempre una via alternativa, ma è chiaro che nessuno avrebbe riconosciuto un organismo senza un ruolo istituzionale. Ne parlai più volte con De Magistris e con me sono venuti anche componenti del Comitato; il sindaco riconobbe l’utilità dell’iniziativa e fece la sua parte. Nacque così un organismo composto da militanti designati dal Comitato, che sono però nominati formalmente dal sindaco. Non ci sono mai entrato, ma lo ritengo patrimonio di tutti, prezioso per aiutare chi soffre: può chiedere dati sui ricoveri, entrare nelle strutture dove si bada – o si dovrebbe badare – alla salute mentale, osservare e denunciare irregolarità e maltrattamenti. Un organismo istituzionale, certo, ma autonomo, perché la controparte non è il Comune. Il sindaco, infatti è garante della salute dei cittadini, ma le scelte politiche e la gestione delle strutture sono competenza della Regione e delle ASL.

Ottenuta la delibera, sono cominciate le polemiche perché l’Amministrazione non ha ancora provveduto per una sede. Il Comune ha offerto un locale a Sant’Eligio, ma ci vogliono parecchi soldi per ristrutturarlo. Una sistemazione dignitosa in un centro sociale non interessa al Comitato che, però, a ridosso delle elezioni, ha manifestato all’esterno della sede di Sant’Eligio, attaccando il sindaco. Sono mesi che un’arma aguzza, forte del lasciapassare necessariamente istituzionale, invece di mirare alla Regione e all’ASL, è puntata contro il Comune che l’ha fatta nascere e si perde in chiacchiere e polemiche senza capo né coda. Durante la campagna elettorale, un membro del Comitato ha fatto circolare feroci attacchi al sindaco. La guerriglia in atto, che ufficialmente si fa in difesa di un’autonomia mai negata, non ha senso.

Lo scontro frontale è nato per un protocollo d’intesa tra Comune, Tribunale dei minori e Vigili Urbani, che riguardava i ricoveri coatti. Era un pessimo protocollo e l’Osservatorio lo ha contestato. Anche stavolta mi è stato chiesto di contattare il sindaco per una riunione con lui e con l’Assessore Gaeta. L’Amministrazione è stata chiara: avete ragione, ma noi non siamo psichiatri e non sappiamo farne uno migliore; fatelo voi un testo che Tribunale e Vigili possano firmare. Si è scelto di fare così. Il Comitato si è impegnato, nessuno ha fatto obiezioni, nessuno ha contestato, ma nessuno ha riscritto il protocollo.

Purtroppo la contraddizione non si risolve: o stai fuori delle Istituzioni – e sai di non poterlo fare – o stai dentro e fai un lavoro politico, come hai concordato. Tertium non datur. Viene la volta nella vita che devi decidere cosa vuoi fare da grande. Poiché la contraddizione è di quelle paralizzanti, tutto si è fermato. Questo comportamento irresponsabile avrà una sola conseguenza: il protocollo passerà com’è e i pazienti pagheranno i capricci di un Comitato che non sa cosa vuole. Da un po’ i colpevoli di questo immobilismo sono stati individuati: siamo due, chi scrive e Raffaele Di Francia, i «complici» di De Magistris.

Credo che ora tu possa capire il senso delle lettere che potrai leggere nel mio blog, dopo questa premessa. La prima è di Adriano Coluccia che se la prende con chi non va più al Comitato, poi ce n’è una di De Notaris che è lunghissima. Ne ho estratto il cuore fangoso. Il resto è degno di un rivoluzionario universitario che non vuole avere a che fare con nessuna Istituzione, tranne l’università. Quella più istituzionalizzante. Se vuoi, la trovi cliccando su un link in coda a questa lettera. Io lo ringrazio per l’inatteso regalo: non mi considera “compagno”. Mi preoccuperei del contrario e poiché mi chiede di uscire da un’ombra che lui solo conosce, porto all’unica luce possibile ciò che finora è stato chiuso in un circuito chiuso.

Ognuno ha la sua storia. La mia la tengo per me, ma per quanto riguarda il presente, che manda su tutte le furie un rivoluzionario da operetta che mi definisce “agente del partito De Magistris”, dico solo che ho rifiutato candidature e un ruolo. Era presente Michele Franco e può confermare. Da due anni non ho tempo per me stesso; di tempo me ne resta poco e non riesco a terminare un libro che sto scrivendo. Credo che Napoli sia di fronte a un’occasione storica di cambiamento e ho fatto quanto potevo per aprire un dialogo tra sindaco e movimenti, ma ho agito alla luce del sole. Se ho sbagliato, sarò il primo a dolermene, ma non ho chiesto nulla a nessuno, come sempre nella mia vita.
Ora sì, ora puoi leggere le lettere che seguono. Poiché tieni alla dignità, capirai di che si parla.
Un abbraccio.

Geppino Aragno




Lasciare un commento