venerdì 11 aprile - La bottega del Barbieri

Saharawi: l’esilio dimenticato

La frenesia della comunicazione a ciclo continuo, lo abbiamo imparato con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina, è un sistema che preferisce dedicarsi in modo ossessivo a poche notizie. Temi e angoli del mondo spariscono dalle attenzioni facilmente. Chi sa ad esempio cosa accade oggi alle comunità saharawi? Senza considerare che tanti non sanno nulla della loro storia di autodeterminazione.

di Valentina Roversi (*)

La Rete Saharawi, che coordina le attività di solidarietà di molte associazioni impegnate a supporto della popolazione saharawi, ha organizzato nelle scorse settimane un viaggio – insieme ad alcuni enti locali gemellati con le province (wilaya) – in alcuni campi profughi in Algeria. Questo articolo e le straordinarie fotografie tratte dal libro di Giulio Di Meo, «Il deserto intorno», provano ad aprire una finestra su questo pezzo di mondo

Una storia di dolore, di profughi, di tenacia di chi resiste all’occupazione. I saharawi hanno una dignità che include qualcosa di metafisico. Una storia di impegno, di cittadinanza, per tenere aperta la via al vento e alle stelle, di questa patria che un poco è anche nostra. Se abbiamo il senso dei diritti e della solidarietà” (Tom Benetollo)

Il popolo saharawi, originario del Sahara Occidentale, è impegnato da decenni in una lotta per l’autodeterminazione e l’indipendenza.

Questa regione desertica è ricca di risorse naturali. Nel 1974, la Banca Mondiale ha definito il Sahara Occidentale come il territorio più ricco della regione del Maghreb, grazie alle sue risorse, tra cui pesca, fosfati e un ambiente adatto per l’energia eolica e potenzialità agricole.

Fino al 1975 il Sahara Occidentale è stata una colonia spagnola. Dopo il ritiro della Spagna, il Marocco ha occupato il territorio, scatenando un conflitto con il Fronte Polisario, il movimento di liberazione saharawi.

Da quasi cinquant’anni, centinaia di migliaia di saharawi, soprattutto donne e bambini, hanno trovato rifugio a Tindouf, città a sud-ovest dell’Algeria, dove è stato creato uno Stato in esilio. La Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) ha una struttura governativa ben definita con ministeri che gestiscono diverse aree di competenza (Difesa, Affari Esteri, Salute, Istruzione, Acqua e Ambiente).

 


Sono stati costruiti ospedali e scuole e, grazie agli sforzi continui per garantire l’accesso all’istruzione, si stima che il tasso di alfabetizzazione tra i saharawi sia intorno all’85 per cento. Anche la rappresentanza femminile nel parlamento saharawi è significativa, con le donne che occupano circa un terzo dei seggi e numerose sono le donne impegnate a livello locale, dati che rappresentano l’inclusione delle donne nei processi decisionali e nella politica.

Nonostante un cessate il fuoco mediato dall’Onu nel 1991, la questione del Sahara Occidentale rimane irrisolta. Il referendum per l’autodeterminazione, promesso dall’Onu, non è mai stato realizzato a causa delle divergenze tra le parti. Nel frattempo, i saharawi continuano a vivere in condizioni difficili nei campi profughi, mantenendo la speranza di un ritorno alla loro terra natale, divisa in due da un muro (Berm) costruito dal Marocco all’inizio degli anni Ottanta, lungo più di 2.700 chilometri.

Questo muro di separazione e di confronto militare attivo è il più lungo al mondo e, con le mine – molte di produzione italiana – posizionate dal Marocco, lo rende uno dei territori più minati al mondo (si stima ci siano tra i 7 e 10 milioni di mine antiuomo e anticarro).

Dall’altro lato del muro, occupato dal Marocco, i diritti fondamentali di questa popolazione sono calpestati quotidianamente attraverso abusi sistematici. Decine di saharawi sono ancora rinchiusi nelle carceri marocchine, dove le condizioni di detenzione sono terribili e disumane. Insieme alla violazione dei diritti umani, si assiste al continuo saccheggio di risorse ittiche e minerarie del Sahara Occidentale, in violazione delle norme internazionali.

Lo sfruttamento illegale delle ricchezze naturali è stato denunciato dal Fronte Polisario davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). Recentemente, nell’ottobre 2024, la CGUE ha annullato gli accordi commerciali tra UE e Marocco per i prodotti di origine saharawi.


 


Dalla fine del 2020, abbiamo assistito al ritorno degli scontri a fuoco dopo la violazione del cessate il fuoco da parte del Marocco, che ha inviato le forze armate in una zona cuscinetto al confine con la Mauritania.

Il Sahara Occidentale è l’ultima colonia africana e, nonostante l’inerzia delle Nazioni Unite, l’appoggio della Francia e della Spagna nei confronti del Marocco e il silenzio della comunità internazionale, resta e diventa sempre più importante impegnarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione del Sahara Occidentale e riaffermare il diritto all’autodeterminazione di questo popolo.

Tra le numerose iniziative portate avanti a livello territoriale e nazionale, uno dei progetti più significativi è “Piccoli Ambasciatori di Pace”. Dal 1982, oltre ventimila bambini e bambine saharawi hanno raggiunto l’Italia nei mesi estivi, confrontandosi con una realtà diversa rispetto a quella dei campi profughi. Trascorrere l’estate in Italia rappresenta un’importante opportunità per allontanarsi dalle condizioni ambientali estreme e accedere a visite mediche essenziali per la loro salute, organizzando momenti di incontro e sensibilizzazione.


Per maggiori informazioni sul progetto scrivere a: [email protected].

È possibile leggere un suo studio sulle origini della “gente del deserto”, scritto per l’università di Peace University Di Bedford, (Uk) nel 2004, sul sito: paceinmovimento.it


(*) Tutte le foto sono tratte dal libro di Giulio Di Meo «Il deserto intorno».E su comune-info (da lì abbiamo ripreso questo articolo) trovate un’ampia galleria delle sue fotografie.




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