giovedì 18 giugno 2020 - Anna Maria Iozzi

Sabrina Giannini: tante battaglie a difesa dell’ambiente e del consumatore

Autrice della trasmissione di inchiesta sulla Rai, “Indovina chi viene a cena”, l’unica che tratta di tematiche ambientali, Sabrina Giannini è tra i giornalisti che, nel ’97, ha fondato Report. Ha firmato inchieste che hanno fatto la storia del programma, a partire dalla prima sconvolgente puntata sulla tossicità del mercurio nell'amalgama dentale.

Dopo aver realizzato alcune delle inchieste più iconiche di Report in 20 anni con Milena Gabanelli, ha lasciato la trasmissione di Rai 3 per continuare a realizzare le sue inchieste con il suo programma in onda da quattro anni sulla stessa rete, riscuotendo un grande riscontro di pubblico, frutto della sua inossidabile tenacia con cui fa tremare i polsi all’intero sistema.

Dalle quaranta inchieste, sono scaturiti scoop internazionali, ripresi da tv e stampa di diversi Paesi, tra cui lo scandalo degli «schiavi del lusso» cinesi, i maltrattamenti alle oche per produrre piumini e l'abuso di antibiotici nell'allevamento dei suini. Per il suo costante impegno in prima linea, ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali, tra cui il Banff Rockie Award e il Gran Prix Leonardo 2001.

Nel 2019, pubblica il libro “La rivoluzione nel piatto”, in cui analizza le verità nascoste dell’industria alimentare, ponendo grande attenzione alla consapevolezza e presa di coscienza che i consumatori devono avere su quello che gli viene offerto.

Gli spettatori vedono in Sabrina una giornalista che porta avanti in modo diretto le istanze ambientaliste e di sostenibilità. Questo è il motivo che attesta il successo della trasmissione, con un milione e mezzo di spettatori che l’hanno seguita con molta passione per queste sei puntate appena terminate. Non è detto che, a margine di questo esito, non ci possa essere la riconferma, per un’idea di giornalismo al fianco dei cittadini, sempre più smaniosi di verità e di certezze.

Ce ne parla in questa intervista.

Si è da poco conclusa la nuova edizione di “Indovina chi viene a cena”, che ha riscosso un notevole successo di pubblico. Questo testimonia che la gente ha voglia di conoscere meglio ciò che porta in tavola.

“Si, non solo, perché chiaramente la trasmissione tiene conto di alcuni fattori che sono, secondo me, legati, che è il senso del mio programma. Far capire che l’ambiente, la nostra salute e il benessere degli animali, sono una cosa unica. D’altro canto, questo virus, che noi abbiamo adesso, come ho dimostrato nella prima puntata di quest’anno, è la dimostrazione che è così. Il virus, a cui, nella prima puntata, ho dedicato il servizio “Il virus è un boomerang”, è probabilmente dovuto al salto di specie, dal pipistrello all’uomo. Questo è dovuto al fatto che hanno invaso gli spazi selvatici della fauna, da cui ne scaturiscono le vendite di queste specie nei mercati umidi, i wet market cinesi. Il senso del mio programma, da quando ho lasciato Report, è far capire la grave emergenza ambientale, che è collegata ai nostri consumi e alle nostre abitudini alimentari. Noi dobbiamo avere rispetto nella natura e negli animali”.

 

Com’è stato affrontare, nella prima puntata, un argomento delicato e scottante come il coronavirus, cercando di risalire a delle abitudini alimentari poco ortodosse?

“L’ho affrontato, partendo da quelle che sono le ipotesi più accreditate, quelle biologiche ed evoluzioniste. Affrontare questo tema del virus, per la prima volta in Rai e, forse, non solo in una tv italiana, in piena emergenza, non è stato semplice. Ricordiamo che era il 29 marzo. Abbiamo cercato di ricostruire tutti gli elementi che noi avevamo dal punto di vista scientifico. Quelle che sono le considerazioni degli scienziati su una grave problematica, come l’aumento esponenziale, negli ultimi anni, delle malattie che gli animali trasferiscono all’uomo, le cosiddette zoonosi. Perché c’è questo aumento esponenziale? Secondo l’Unep, il programma dell’ambiente delle Nazioni Unite, è dimostrato che l’invasione, il taglio delle foreste, la sempre più maggiore contiguità di animali selvatici ci espone, sempre di più, a virus nuovi, a cui non siamo immuni. Era talmente inevitabile che avvenisse. Alcuni scienziati lo avevano previsto da anni. Addirittura, l’Oms aveva già previsto e detto a tutti gli stati che ci saremmo dovuti preparare per un piano anti pandemia. Questo è accaduto quattro anni fa. Ho messo insieme tutti questi elementi. È quello che il giornalista deve fare. Un quadro scientificamente accreditato e probabile. Era accertato che ci fosse un pipistrello. Il genoma di questo virus è molto simile a un corona virus di un certo tipo di pipistrello. Ricordiamo che di pipistrelli ce ne sono di mille specie diverse. È impressionante quanto sia variegato questo mondo dei pipistrelli. Guarda caso è la zona più deforestata del mondo. Ci sono delle aree a rischio e, siccome, questa questione del virus era molto congruente alle tematiche che tratto io, non potevo non cogliere la frase di circostanza che obbligava, in quel momento, le persone di stare a casa. A parte, la sottoscritta, che andava tutti i giorni a lavorare con la mascherina”.

 

Nell’ottobre 2019, è uscito il tuo libro, “La rivoluzione nel piatto”, che racchiude parte delle inchieste condotte fin qui. Mi parli di questa esperienza?

“Il libro è una sintesi di alcune mie inchieste che ho fatto nei miei ventiquattro, venticinque anni a Report e a Indovina chi viene a cena, per lo più in quest’ultima. Vuole raccontare, in ogni capitolo, un sistema che parte dagli esperti del gusto che cercano di manipolarlo e di sedurlo, delle leggi europee sul non benessere animale, che chiamano benessere animale. Ogni capitolo non racconta una storia, ma un sistema. Io, parlando di aromi, del benessere degli animali, dell’ambiente, del gusto, del cibo spazzatura, dei fanghi in agricoltura, delle sementi che vengono gestite e brevettate dalle multinazionali, ognuno di questi capitoli ha un obiettivo, che è quello di raccontare un sistema e, che dietro a questi capitoli, c’è tanto lavoro e anche delle cause. Non le ho perse, per fortuna. Nonostante tutte le cause abbiano cercato di intimidirmi, nessuna ha portato al rinvio al giudizio o al risarcimento del danno. Il senso del libro era racchiudere tutta la mia esperienza lavorativa e tutte le mie inchieste e, soprattutto, di trovare, in un libro, la sintesi, in modo che ognuno, alla fine del libro, si rendesse conto dei comportamenti che un consumatore può avere per cercare di cambiare questo mondo. Ecco, perché l’ho voluto chiamare “La rivoluzione nel piatto”. Voglio che il consumatore si renda conto di quanto potere noi consumatori abbiamo e di quanto possiamo intervenire sulla sua salute, su quella dell’ambiente, che è un’emergenza, sulla sostenibilità e sul rispetto degli altri animali che noi alleviamo, senza avere occhi e senso di civiltà. Io ritengo che l’uomo debba fare un passo essenziale verso il rispetto dei più indifesi, dei poveri, oltre che dei bambini. Molto spesso, chi maltratta le persone indifese, non fa molta differenza tra le varie categorie che ho citato”.

 

Nei tuoi vent’anni di carriera, qual è stata l’inchiesta che ti ha colpito maggiormente?

“Più di una. Nella mia carriera, in generale, compresa quella precedente, che è la più lunga, dove ero autrice dei servizi, ma non del programma. In questo caso, sono l’una e l’altra. A Report, quella che a me ha fatto più impressione è stata quella sulla spiumatura illegale sulle oche vive per ottenere le piume, arrivando ai piumini, ricondotta a una marca molto famosa italiana. In generale, è un sistema europeo che non controlla questo tipo di spiumatura. In Ungheria, soprattutto, viene praticata la spiumatura. Quel servizio, che si intitolava, “siamo tutti oche”, fu uno dei miei reportage preferiti. Molti anni prima, ho fatto un servizio sulla carne in scatola di una nota marca che la vendevano ai paesi poveri. Si è arricchita su queste esportazioni. Era un reportage del 2005, che mi è rimasto molto impresso. Andai due volte a Cuba, per trovare le prove e, alla fine, le trovai. È una vera e propria frode comunitaria. Un’altra frode comunitaria che ho scoperto e, in parte, smantellato è quella sull’uso delle spadare, quando, nel 2008 e nel 2009, feci questo servizio, nonostante dieci anni prima ci fossero stati i fondi da dare ai pescatori, affinché eliminassero queste spadare, delle reti derivanti che venivano gettate in mare a migliaia di cetacei. Sono andata a dimostrare a Bagnara Calabra, a Scilla, in Sicilia, per vedere se avessero usato queste reti, uccidendo numerosi pesci spada in modo tremendo. Di fatto, fu sì la scoperta di una frode perpetua, dell’inattività, per non dire di peggio, il mancato controllo da parte della guardia costiera che fu il cardine del servizio. Bisogna ricordare che cerchiamo l’illegalità, perché i controllori non controllano”.

 

Per anni, sei stata tra il gruppo di fondatori di “Report”. Che ricordi hai di questa esperienza?

“È un’esperienza di aver fondato insieme ad altri, soprattutto nei primi anni molto difficili, in cui bisognava prodursi da soli, prendere soldi dai propri fidi bancari, perché si anticipavano di molti mesi i soldi per la produzione, dove quasi nessuno era disposto a lavorare per questi guadagni abbastanza bassi. Eravamo in quattro o cinque ad investire in questo progetto. Siamo andati in seconda serata nel 2013. Molti, quando la barca è vincente, cercano di salire sopra. Sono molto orgogliosa con i pochi colleghi che, con me, hanno avuto il coraggio e la forza di sostenere la Gabanelli in questa impresa”.

 

Nel 2016, lasci “Report” per ideare il nuovo programma “Indovina chi viene a cena”. Com’è maturata in te l’idea di dedicare un ampio spazio alle inchieste alimentari?

“Più che alimentari sono ambientali. Mi sono dedicata moltissimo a quelle ambientali. Questo programma è nato inizialmente nel 2016. Doveva anticipare il programma che, allora, era della Gabanelli. Doveva essere una striscia di venti minuti che precedesse Report. Il cibo, l’alimentazione e l’ambiente sono sempre stati nelle mie corde. Uno dei miei scoop internazionali più noti fu quello del lavoro in nero che i cinesi facevano in Italia nel 2009 per le più grandi marche del lusso. È la più nota e citata all’estero, così come un’altra sull’uso del tabacco associato a una grandissima ipocrisia europea italiana. Questa inchiesta mi ha valso un importante riconoscimento di giornalismo a livello internazionale. Stiamo parlando di vent’anni fa. L’idea di fare qualcosa sull’ambiente e sull’alimentazione nasceva dal fatto che l’alimentazione è alla base dei consumi, della quale l’uomo non può fare a meno. È chiaro che muova un po’ il mondo, l’economia, la necessità dell’uomo di muoversi, come pochi altri, con la differenza che il consumo immediato del cibo potrebbe modificare quelli che sono i pericoli ambientali. Faccio un esempio. La crescita del consumo di carne sta creando tantissimi problemi ambientali, perché, adesso, si sono associati anche cinesi e indiani, che sono tre miliardi. L’aumento del consumo di carne li impone ad un uso di soia e mais coltivati in zone come in Brasile. Tutte quelle zone che stanno cercando di deforestare sempre di più. Il cibo è correlato all’ambiente. I nostri consumi sono legati al cambiamento climatico. Mi sembrava un’emergenza quattro anni fa, molto prima che ci fosse l’ondata di Greta Thunberg, della quale sono felicissima. Evidentemente, avevo intercettato qualcosa che era già nell’aria. Io, allora, sapevo che quella doveva essere la sfida per il futuro e per la sopravvivenza del pianeta”.

 

Per chi, come te, ogni giorno, affronta, con un certo rischio, tematiche delicate, come fai a mantenere costante la tua determinazione nel perseguire, nel proprio intento, il racconto di verità nascoste che, spesso, si rivelano inquietanti?

“Premetto che quando ricevo una causa legale, una denuncia o una citazione in giudizio civile, anziché tenerla, non fanno altro che stimolare in me la voglia di approfondire ulteriormente la tematica, l’azienda e le pratiche dell’azienda che mi denuncia, per una semplice ragione. Credo che la denuncia sia una minaccia, finché non vada a mettere il naso nei loro affari. Non fanno che sortire l’effetto contrario ed è quello che vogliono. Io, invece, ci metto il naso, con più determinazione. Questo è possibile grazie a un’azienda come la Rai che mi ha sempre permesso una certa libertà nel farlo. Vi assicuro che non è facile, perché questo le tv commerciali non lo fanno. Succede sporadicamente. Io credo che sia l’unico programma in tutta Europa che si può prendere la libertà di trattare e di non avere comportamenti ossequiosi nei confronti di investitori pubblicitari. La Rai ha gli investitori pubblicitari, ma, dall’altra parte, l’aumento dei soldi di cui la Rai dispone viene pagato dai cittadini che pagano il canone. Questo deve assolvere agli obblighi di servizio pubblico. Io credo di far parte di questa importante fetta della Rai, che potrebbe tenere quello che faccio. Non dimentichiamo che la pubblicità è una parte. Finché c’è un grande editore che tutela un giornalista, in questo caso, una come me che non è contenta di quando arrivano le cause, è molto importante. Il fatto che, dietro, ci sia la Sperling e la Mondadori, per la pubblicazione del mio libro, mi sento più tutelata. È anche vero che i rischi che si corrono non sono da poco. Bisogna stare attenti, perché, alla fine, ci può essere qualche risvolto pesante. A me non piace dire che ci sono tipi di carriere molto più comode, più schierate. Ognuno di noi si sceglie il tipo di vita in base alle proprie passioni. A me, sinceramente, di fare la giornalista di regime che deve avere un ossequio, stare attenta a quello che dice, allora non avrei fatto la giornalista, ma l’ufficio stampa di qualche azienda. Molto spesso, c’è molta confusione. Un giornalista non dovrebbe guardare in faccia né al politico di turno né ai poteri. Non dimentichiamoci che, dietro ai consumi, ci sono dei grandissimi poteri, i veri padroni del mondo”.




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