martedì 11 agosto 2009 - Federico Formica

Rosita Torre, la vedova dimenticata dallo Stato

Quella di Rosita Torre è una storia di promesse a vuoto e di burocrazia ottusa. Una storia che comincia con un terremoto, che le ha portato via il marito e due suoceri. Oggi, dopo quattro mesi, quel terremoto non scuote più la terra ma la dignità e la stabilità economica di una famiglia.

Rosita Torre è la vedova di Emanuele Sidoni, l’unico residente a Roma tra le 306 vittime del sisma del 6 aprile. Emanuele aveva 60 anni ed è morto insieme ai genitori Emidio e Maria Fina nella casa di Castelnuovo, nel comune di San Pio delle Camere, a quasi 30 chilometri dall’Aquila. Oggi la vedova e i suoi figli non hanno diritto a niente.

Un caso “anomalo”. Così è stato definito Emanuele Sidoni dai funzionari della Protezione Civile e dai mille burocrati interpellati dalla moglie Rosita negli ultimi mesi. Tutto ruota intorno al concetto di residenza: escludendo gli studenti (i cui parenti dovrebbero ricevere i soldi dell’assicurazione) e i cittadini stranieri, Emanuele era l’unica vittima non residente “nei comuni interessati dagli eventi sismici”, per dirla con il decreto Abruzzo approvato dall’esecutivo. Nato a Castelnuovo ed emigrato a Roma da una vita, il 7 aprile avrebbe dovuto svolgere un lavoro straordinario alla caserma di Coppito. Era partito la domenica mattina per stare un po’ con i genitori e dargli una mano a spaccare la legna nella vecchia casa di famiglia. Per lo Stato, la presenza di Emanuele a Castelnuovo non era abbastanza giustificata.

Dal 7 aprile 2009 in casa Sidoni non entra più una busta paga. Emanuele, che di professione faceva l’attrezzista meccanico, era l’unico a lavorare. Rosita ha un’età in cui trovare un’occupazione è anche più difficile del normale. In più deve mantenere il figlio minore Emidio, che frequenta l’università a Roma. Per questa famiglia non c’è alcuna sospensione delle tasse universitarie, le bollette continuano ad arrivare puntualissime, l’autostrada Roma-L’Aquila è ancora a pagamento e così anche i treni. “Tutti i parenti delle vittime sono accomunati dalla stessa disgrazia, e nel dolore mi sento uguale agli altri – dice Rosita – La vita, però, è fatta anche di questioni pratiche: senza soldi non si va avanti, e sul piano economico mi sento discriminata”.

Le rovine di Castelnuovo

Le rovine di Castelnuovo

La regalìa del premier. Non si può certo dire che Rosita Torre non le abbia provate tutte per ottenere ciò che le spetta. Un mese dopo il terremoto, appena saputo dal telegiornale che Silvio Berlusconi stava per raggiungere Poggio Picenze, la vedova Sidoni si è messa in macchina per fiondarsi in Abruzzo. È riuscita a fermarlo e a parlarci. Gli ha raccontato del “caso anomalo” ma il premier, sulle prime molto stupefatto, le ha risposto che “il decreto parla chiaro, al di là della residenza tutte le vittime sono uguali e tutti i parenti devono usufruire degli aiuti. Chi glieli ha negati ha male interpretato lo spirito del decreto”.

Alla fine della visita alla tendopoli, però, Berlusconi deve aver avuto un ripensamento. Ed è tornato dalla signora Rosita per farle una promessa: “Se i soldi non le dovessero arrivare non si preoccupi, glieli darò di tasca mia”. Dopo aver declinato l’offerta, Rosita ha comunque lasciato i suoi recapiti alla segretaria personale del ministro Gelmini, anche lei in visita a Poggio Picenze e anche lei sconcertata e scandalizzata. L’entourage del ministro le aveva promesso aiuto e sostegno. Ma dalla casella e-mail non arrivano novità e il telefono tace.

Alla ricerca del contatore. Tra le disavventure della signora Rosita Torre c’è spazio anche per il surreale. Un episodio talmente assurdo che verrebbe da sorridere, se non fosse accaduto veramente. Lo racconta la stessa Rosita: “Passata qualche settimana dal terremoto mi hanno telefonato alcuni tecnici Enel. Erano venuti a Castelnuovo per recuperare il contatore della luce che avevano installato nella casa dei miei suoceri una settimana prima del 6 aprile”. Una ricerca impossibile: di casa Sidoni, che i paesani chiamavano “il castello”, è rimasto un cumulo di macerie sparse nel raggio di qualche centinaio di metri.

“Volevano che li aiutassi a trovare la casa, io gli ho spiegato che sotto quelle macerie erano morte tre persone e che non era il caso di insistere”. La risposta: “Ci dispiace, ma dovremo comunque addebitarle il costo del contatore”. Poco più di cinquanta euro. Eppure, poco dopo il 6 aprile, la vedova Sidoni aveva già chiamato l’Enel per far staccare le utenze alla casa distrutta di Castelnuovo.

Il dramma di Castelnuovo. Se mai verrà ricostruita, casa Sidoni sarà tra le ultime ad essere rimesse in piedi. Anche se per i genitori di Emanuele era l’abitazione principale, passando in eredità alla signora Rosita, il “castello” è considerato a tutti gli effetti una seconda casa. E verrà ricostruito a spese dello Stato solo se gli verrà riconosciuto “valore storico e artistico”, oppure “rilievo ambientale e paesaggistico, a giudizio del sindaco e della sovrintendenza”, come recita una nota della presidenza del Consiglio.

Un'auto schiacciata dalle macerie

Intanto per gli sfollati di Castelnuovo si prepara un autunno freddo e incerto
. La frazione si trova a 850 metri sul livello del mare e già a fine agosto il freddo comincia a farsi sentire. “A metà maggio dormivamo con la coperta di lana e il pigiama pesante, le lascio immaginare che temperature avremo a settembre” ci dice un volontario della Protezione civile Toscana, che gestisce la tendopoli di Castelnuovo.

Bertolaso e Berlusconi sono stati categorici: a settembre le tendopoli verranno smantellate. In alcuni paesi, come Villa Sant’Angelo, tutti gli sfollati dovrebbero riuscire a trasferirsi in tempo nelle nuove case di legno. Altre amministrazioni, come quella di San Pio delle Camere, sono in grave ritardo sulla tabella di marcia.

A Castelnuovo, di case di legno non c’è neanche l’accenno. Ancora devono essere posate le piattaforme sulle quali saranno montati i prefabbricati, donati dal comune di Segrate. Il sindaco Giovanni Costantini si lamenta: “Per questi lavori dovremo anticipare un milione e mezzo di euro, cifre molto distanti dalle nostre possibilità. Prima di tutto vorrei che la Protezione civile ci comunicasse quanti soldi ci verranno accreditati. Qui rischiamo la bancarotta”.

Intanto tra i castelnovesi c’è chi, a mezza bocca, vorrebbe le dimissioni del sindaco, accusato di immobilismo. L’unica cosa certa è che le famiglie di questa frazione sconvolta dal sisma – in gran parte formate da anziani – a settembre verranno trasferite da qualche altra parte. Magari in un albergo sulla costa. Una diaspora che, per Castelnuovo, potrebbe essere l’inizio della fine.




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