lunedì 31 ottobre 2011 - Fernando Bassoli

Roma – Milan 2 a 3. Il commento

Tre sconfitte nelle ultime quattro gare (guarda caso, tutte senza Capitan Totti) sono decisamente troppe per la pazienza di una tifoseria, quella romanista, che fin dal primo giorno di ritiro non ha fatto mancare il proprio sostegno al “Progetto Roma” accogliendo a braccia aperte l’uomo nuovo Luis Enrique, pescato – non si capisce perché – dal Barcellona B, quando forse la soluzione buona era già in casa e a buon prezzo, con la conferma dell’allenatore del momento, cioè quel Vincenzino Montella che, ironia della sorte, ha raccolto altri e più convinti applausi battendo 2 – 1 in rimonta il quotato Napoli col suo Catania, proprio mentre la Roma veniva letteralmente travolta all’Olimpico, ben oltre quel che dice il risultato, da un Milan che è parso già dopo una ventina di minuti di un’altra categoria tecnica, con calciatori-artisti quali Ibrahimovic e lo stesso Cassano, quando è entrato, che hanno sovrastato nell’uno contro uno i propri avversari.

L'INCERTO DOMANI - C’è da preoccuparsi? Sì, perché quando una compagine dalle dichiarate ambizioni, seppure a media-lunga scadenza, becca ben tre goal di testa nella stessa partita, per giunta in casa, non può essere un caso. La difesa ha lacune che a tratti sembrano non risolvibili, amplificate dal pessimo stato di forma del portiere olandese Stekelemburg, sul quale il preparatore dei portieri, l’amatissimo Franco Tancredi, dovrà lavorare moltissimo, cominciando a chiedergli conto della non parata sul terzo goal di Ibra (al centro della porta) che ha di fatto chiuso i giochi. Ma non è sul singolo che vogliamo concentrare le nostre critiche. E’ l’intera organizzazione di gioco (già, ma quale gioco?), quella che il mister chiama “proposta”, che non appare all’altezza delle legittime aspettative di società e tifosi. Oltre a migliorare in fretta il proprio italiano, Enrique deve capire che la Roma non è, per i romani e romanisti, una semplice squadra di calcio, ma qualcosa di più. Questo perché tra squadra e città esiste un saldissimo legame per così dire spirituale, una sorta di osmosi dei sentimenti che oscillano inquietanti tra l’eccesso d’amore e la rabbia malcelata davanti a certe umiliazioni sportive. Perché di questo si è trattato. Mai competitivo, in questo anticipo del sabato della decima di campionato, l’undici giallorosso ha fatto cascare le braccia già alla fine del primo tempo, quando francamente sarebbe servito avere Maradona, Zico e Beckenbauer in panchina per potere sperare di fare i cambi giusti e cambiare volto alla tenzone. La Roma, per chiamare le cose col proprio nome, ha fatto letteralmente schifo, tornando ai livelli di gioco vergognosi proposti nelle prime indegne esibizioni contro la Cenerentola Slovan Bratislava costate l’eliminazione dall’Europa League fin dal turno preliminare, con tutto ciò che ne consegue, mancati introiti inclusi.

IL MILAN - Sulla prestazione dei rossoneri, i quali, va detto, erano privi di Seedorf, Antonini, Pato, Gattuso e Mexes, non c’è molto da dire. Gli uomini di Allegri hanno fornito una prova convincente, ma non trascendentale, si sono limitati ad aspettare il momento buono per colpire con tagli e passaggi filtranti e quelli che un tempo si chiamavano traversoni, che hanno messo a nudo le magagne della balbettante difesa avversaria, spesso palesemente maldisposta in marcatura, perfino sui calci da fermo o sui corner come nel caso del secondo goal, quello di Nesta, che ha potuto colpire la palla di testa senza incontrare opposizione alcuna. Il centrocampo sembra avere metabolizzato la momentanea perdita di un uomo carismatico come Rino Gattuso, che deve superare un problema ad un occhio, e quando rientrerà Mexes anche la difesa potrà contare su alternative dello stesso livello dei Nesta e dei Thiago Silva, cioè di Top player. I rossoneri, anche visto il momento particolarmente buio attraversato dall’Inter, possono cominciare a sognare lo scudetto, Juve permettendo. Il Milan è una grande squadra, ma questo già si sapeva.




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