venerdì 10 marzo 2023 - Phastidio

Risparmio, tra retrocessioni e predazioni

La commissaria Ue ai servizi finanziari ipotizza di abolire una importante fonte di ricavi per le banche e la loro "consulenza" ai risparmiatori. In Italia abbiamo un problema nel problema

 

Qualche settimana addietro, rispondendo a un europarlamentare tedesco, la commissaria Ue ai servizi finanziari, l’irlandese Mairead McGuinness, ha manifestato il suo sostegno ad abolire la cosiddetta retrocessione commissionale (inducement) nella consulenza finanziaria non indipendente. Di che si tratta, e perché è importante?

RETROCESSIONI VIETATE?

Gli inducement sono commissioni retrocesse, cioè girate, dalle società di gestione alle reti di distribuzione di prodotti finanziari con cui le prime (cosiddette “fabbriche prodotto”) hanno accordi commerciali. Prendiamo l’esempio di una banca, che distribuisce i fondi di una pluralità di società di gestione attraverso la cosiddetta “architettura aperta”.

In questi casi, la banca offre ai clienti una “consulenza”, dopo aver acquisito le informazioni di base su obiettivi, orizzonte temporale e alfabetizzazione finanziaria, a mezzo dei questionari regolati e strutturati dalle direttive Mifid. Per costruire il portafoglio consigliato, la banca sceglie i prodotti delle società di gestione che ritiene migliori. Quest’ultime retrocedono alla banca parte delle commissioni sui prodotti scelti.

Secondo la commissaria McGuinness, che cita uno studio europeo, se le retrocessioni commissionali fossero vietate, i risparmiatori beneficerebbero di oneri ridotti sino al 35% sui prodotti di investimento. McGuinness cita il caso dei due paesi dove le retrocessioni sono vietate, Olanda e Regno Unito, per affermare che i risparmiatori non paiono aver subito danni dalla misura ma solo benefici.

Contro la commissaria è immediatamente partita la levata di scudi, guidata dalle banche tedesche e inopinatamente ma non troppo dal loro ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner. Anche in Italia, dove vige il modello basato sulle retrocessioni, è iniziato il fuoco di sbarramento contro l’ipotesi, con mobilitazione anche di alcuni organi di stampa, a cui non sfugge che le banche sono tra i maggiori inserzionisti pubblicitari.

PROMUOVERE LA CONSULENZA INDIPENDENTE

Ma andiamo con ordine, per cercare di far capire i termini della questione e la posta in gioco. Che alternativa propone, la commissaria McGuinness? In essenza, quella di spingere la consulenza finanziaria indipendente, detta anche “a parcella”, che può anche prendere la forma -teoricamente low cost– del roboadvisor, cioè del modello di allocazione di portafoglio basato su algoritmi. Completa l’ecosistema la funzione di raccolta ordini, che ha ovviamente margini risicati.

Senza retrocessioni non c’è consulenza, è il grido di battaglia di banche e reti distributive. Non è esattamente così, anche ammesso di poter parlare nei fatti di “consulenza” e non di corsa a piazzare prodotti costosi per i risparmiatori e remunerativi per i collocatori. C’è tuttavia un rovescio della medaglia che potremmo definire comportamentale: quanta resistenza ci si può attendere dai risparmiatori, nel momento in cui i medesimi venissero chiamati a pagare per una parcella, cioè un costo emerso e visibile?

Questo è forse il maggiore limite alla diffusione della consulenza a parcella. Meglio (si fa per dire, ovviamente) avere un servizio “gratuito” che tale non è ma che si limita a non esplicitare tutti i costi, e trovarsi con ritorni sull’investimento falcidiati. Peraltro, la falcidie rischia di non essere neppure percepita, se il fondo che mi è stato venduto porta a casa un ritorno assoluto positivo. “Ehi, guardi qui: abbiamo guadagnato il 30% in due anni, non siamo dei grandi?”, è l’argomentazione delle reti distributive.

Solo che poi vai a vedere l’indice del mercato in cui quel fondo opera, e scopri che è salito del 40% e oltre. “Eh, ma noi non ci leghiamo a un benchmark: cerchiamo di cogliere opportunità e spaziare un po’ ovunque”, tende a essere la replica, che nel tempo ha costruito il conseguente prodotto attivo, definito “flessibile”. Salvo poi scoprire che pure quello prende gran randellate, di solito. Anzi, spesso ne prende più dei prodotti dotati di benchmark.

UN ECOSISTEMA DI SOLI ETF?

Giunti sin qui, ci sono altre domande a cui rispondere, e altri imbarazzi da disvelare. La commissaria McGuinness, nella sua proposta, sostiene un ecosistema di un certo tipo. E tale ecosistema pare non aver spazio per i fondi attivi ma solo per quelli passivi, gli Etf. Un ecosistema, quindi, imperniato sulla triade “consulenza indipendente (cioè a parcella) – raccolta ordini (banca o broker) – fondo passivo (Etf)”.

E badate: questa non è una mia inferenza ma proprio la posizione della commissaria:

[…] our impact assessment […] shows that retail investors are often advised to buy more expensive products, and/or products which are not always the most suitable for their needs.

Low-cost products, like Exchange Traded Funds, are hardly ever recommended.

And this impacts the net returns that consumers can expect.

Ecco, abbiamo messo in luce i termini della questione. E le vulnerabilità dello status quo basato sulla “consulenza” finto-gratuita, a mezzo retrocessioni. Ma anche i limiti “behaviouristici” (comportamentali) che ostacolano la consulenza indipendente a parcella, cioè a costi esplicitati e separati. Prima di ulteriori dettagli e commenti, una precisazione. Molti tra voi, leggendo sopra, avranno pensato “ma i costi del servizio sono esplicitati, lo richiede la Mifid!”. Verissimo. Se non fosse che le banche tendono a tenere queste esplicitazioni un filo fuori vista nella loro reportistica, per motivi che lascio a voi identificare.

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Altra obiezione che sono certo alcuni tra voi faranno: i fondi attivi non sono predestinati a prendere solo legnate dai passivi, a volte fanno molto meglio. Può essere ma non riusciamo a identificarli a priori, e fare cherry picking col passato non garantisce i ritorni futuri. “Sarà anche come dici ma, se vietassimo le retrocessioni, le banche abbandonerebbero l’architettura aperta, cioè smetterebbero di distribuire i prodotti di più società di gestione limitandosi ai propri (se ne hanno), e i clienti perderebbero il beneficio della scelta!”, è l’altra obiezione.

A cui si potrebbe rispondere agevolmente dicendo che non è scolpito nelle sacre scritture che il modello di distribuzione debba restare quello attuale. Pensate a un mondo in cui i fondi attivi vengono quotati come gli Etf. Se così fosse, l’ecosistema consulenza indipendente-raccolta ordini-prodotto quotato sarebbe preservato.

LA COSTOSA ITALIA E L’EDUCAZIONE FINANZIARIA

Sopra ogni altra cosa, per quanto riguarda l’Italia, sarebbe utile avere ben presente che il costo del nostro risparmio gestito è nettamente superiore alla media europea, ma con performance peggiori. Chissà come mai, forse perché i nostri prodotti attivi sono in media genuinamente esosi e spesso pure fintamente attivi? Ah, saperlo.

Va da sé che, se passasse l’idea di McGuinness, ampia parte delle reti di vendita finirebbero improvvisamente fuori mercato, e le banche perderebbero una robusta fonte di ricavi. A quel punto qualcuno direbbe che stiamo attentando a un grande motore di occupazione, eccetera eccetera. “La sinistra riparta dai promotori finanziari” è subito dietro l’angolo, assieme a “non disturbare chi vuol collocare” dal lato destro. Sono certo che anche le “peculiarità” italiane sarebbero evidenziate con enfasi.

A parte queste amenità locali, il tema è pesantissimo. Vi diranno che la prima preoccupazione è garantire la scelta dei risparmiatori, ovviamente. Qualcuno lo dirà con sincerità, altri assai meno. Non per partire dalle fondamenta ma tutto sarebbe più semplice se l’obiettivo di lungo termine fosse, prima di ogni altra cosa, quello di avere dei risparmiatori finanziariamente alfabetizzati. Lo so, resto un sognatore.

Foto di 3D Animation Production Company da Pixabay




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