venerdì 2 ottobre 2020 - Phastidio

Ridurre le tasse agli italiani senza deficit: è possibile?

Ed anche quest'anno, come ogni anno, giunse il tempo del taglio di tasse per gli italiani. Immaginario, ovviamente. Perché un paese serio dovrebbe evitare di farlo in deficit, oggi più che mai

Come ogni benedetto o maledetto anno, tra fine settembre e inizio ottobre il governo pro tempore scrive la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF), sulla scorta della quale provvede a tratteggiare la legge di bilancio per l’anno successivo. Anche quest’anno, malgrado la pandemia (o forse a causa di essa), e un deficit da brivido ma necessario, siamo qui a dibattere sulle virtù taumaturgiche dell’ennesimo “taglio delle tasse”. Prima di sbadigliare, leggetevi lo stato dell’arte che vado ad illustrarvi.

Intanto, come saprete, quest’anno si parla di “riforma fiscale”, la cui finalità è quella di “mettere più soldi in tasca al ceto medio” (yawn), anche se questa leggendaria entità sociale resta priva di definizione quantitativa. Oltre a ciò, abbiamo l’ambizione del tutto legittima di unificare le erogazioni di welfare per i figli in un assegno unico. E qui iniziano i dolori, perché il noto principio che “nessuno deve perdere soldi dalle riforme”, porta rapidamente ad un bivio: o fantastiliardi di spese da coprire, oppure abbandono del progetto. Di solito, i governi trovano la “terza via” usando i pochi soldi già coperti e chiamando la manovra “primo modulo”, per esigenze di marketing elettorale.

Dovete sapere che il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, aveva un ambizioso sogno: fare la riforma fiscale a costo zero, cioè senza deficit aggiuntivo. Pura illusione, per il motivo detto sopra: se “nessuno deve stare peggio”, la redistribuzione non può avvenire, per definizione. La logica, questa misteriosa forza del Creato ed ancella della Realtà, che si frappone tra gli italiani e la felicità.

Obiettivo di Gualtieri, ed anche di tutte le persone dotate di raziocinio, è quello di evitare che la curva Irpef sia odiosamente ripida per chi guadagna sotto i 28 mila lordi annui. Sono anni che lo si chiede ma sinora abbiamo avuto solo martellate al margine, come gli 80 euro di Renzi, poi diventati 100 con Conte, ed altri cadeaux elettorali la cui funzione è solo quella di causare aliquote marginali effettive nei dintorni del 100% quando si guadagna sopra la soglia critica. Cioè disincentivare l’offerta di lavoro; o meglio, incentivare il sommerso.

Ecco quindi l’ideona: facciamo come i tedeschi! Vale a dire, applichiamo una curva Irpef continua e non a scaglioni, secondo una formula che tiene conto delle detrazioni. Così eviteremo i gradoni degli scaglioni, si ritiene. Bene, viva, bis, procediamo! E invece no: opposizione da parte di Italia Viva, che preferisce scaglioni semplificati, fors’anche per non vedere il bonus Renzi affogato nell’aliquota continua, e freddezza (dicono) dei 5S, forse perché congenitamente avversi alle formule matematiche. Attendiamo e vedremo che accadrà.

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Ho letto l’ipotesi secondo cui l’opposizione all’aliquota continua deriverebbe soprattutto dal fatto che, fatalmente, con essa ci sarebbero contribuenti che andrebbero a pagare di più rispetto al sistema a scaglioni (ma va?), e di conseguenza, in base al noto principio “nessuno deve stare peggio”, noto anche come “clausola di salvaguardia”, non si può fare perché altrimenti leggeremmo sui giornali titoli del tipo “stangano il ceto medio, maledetti”.

Ricordate la famosa riforma del catasto, promossa ed affondata da Renzi dopo aver scoperto che molti avrebbero pagato di più? Se vale la regola del “nessuno deve stare peggio”, l’unica strada per interventi fiscali di alleggerimento è maggior deficit, magari accompagnato dai soliti latrati contro l’austerità.

Riguardo all’assegno unico per i figli, dal settimo mese di gravidanza al ventunesimo compleanno, è ancora più dura. Mancano un sacco di soldi a copertura, come ho ricordato qui. E quindi? Due opzioni: o si fa più deficit, sommandolo a quello di matrice Covid (barista, metti in conto, il loro!), oppure si modificano i parametri di eleggibilità, oppure si lasciano questi ultimi invariati, si paga solo il famoso “primo modulo” e gli altri seguiranno, dopo le prossime elezioni. Certo, certo.

Personalmente, credo che in una situazione drammatica come l’attuale, una misura di serietà anche verso i nostri partner europei sarebbe stata proprio quella di fare una riforma fiscale interamente autofinanziata. Pensare ad “abbassare le tasse” con deficit aggiuntivo quando sei l’Italia, hai la corda attorno al collo e stai aspettando il “jackpot” di 209 miliardi di Recovery Fund (se arriverà), è il modo migliore per irritare i contribuenti degli altri paesi. “Gl italiani si riducono le tasse ed aumentano le vostre”, vedo già scritto sui giornali popolari tedeschi, austriaci, olandesi eccetera. La calunnia è un venticello.

Senza contare la persistenza della credenza secondo cui tagliare le tasse in deficit “si ripaga”. Comodo crederlo ma non è così, altrimenti avremmo inventato il moto perpetuo. Altro aspetto specularmente inquietante è l’apparente assenza di una indole anche solo vagamente “ricardiana” nei contribuenti italiani. Quella che dovrebbe condurli, in presenza di più deficit, a pensare a come, quando e da chi il medesimo verrà ripagato, e di conseguenza a risparmiare di più. Però, aspettate: il tasso di risparmio degli italiani è in effetti in aumento, in questi anni: hai visto mai che siamo diventati davvero ricardiani? No, vero?

Foto di hazelucyxuan da Pixabay




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