mercoledì 21 novembre 2012 - UAAR - A ragion veduta

Ricorso su fecondazione, mancano pochi giorni al termine e il governo tace

Stanno quasi per scadere i tre mesi dalla sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo che il 28 agosto ha bocciato di fatto la legge 40 sulla fecondazione assistita. Ovvero il termine che il governo ha per presentare ricorso contro la decisione della Corte di Strasburgo. La Cedu aveva infatti ribadito come fosse ”incoerente” consentire l’aborto terapeutico, grazie alla legge 194, ma allo stesso tempo vietare la diagnosi preimpianto nei casi di patologie genetiche. Le donne italiane, quindi, non dovevano essere più obbligate a subire l’impianto di embrioni gravemente malati.

La sentenza riguardava il caso di una coppia portatrice sana di fibrosi cistica, quindi con altissima probabilità di generare figli malati, che intendeva accedere alla diagnosi prima dell’impianto degli embrioni. L’Italia era stata quindi condannata per “violazione del rispetto della vita privata e familiare”, nonché a versare 15.000 euro per danni morali e 2.500 per spese legali alla coppia. La tegola europea è arrivata dopo mesi di sentenze italiane che hanno di fatto smantellato i punti critici della normativa fortemente voluta dalla Chiesa, rivelandone l’inadeguatezza.

Il rischio è che il governo ‘tecnico’ di Mario Monti faccia comunque ricorso presso la Cedu. Ufficialmente non ha ancora deciso, ma la Chiesa sta facendo forti pressioni. In particolare il ministro per la Salute Renato Balduzzi, noto esponente del mondo cattolico e già presidente del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), pare ormai intenzionato ad attivarsi per ripristinare l’obbligo di subire l’impianto di embrioni gravemente malati per le donne che accedono alla fecondazione assistita.

Intervistato da Avvenire il 19 ottobre, aveva dichiarato che la sentenza Cedu “è andata oltre le sue competenze e ha travisato la situazione normativa in Italia, creando un problema di sovrapposizione tra giurisdizione nazionale ed europea e, in generale, tra giustizia e politica”. Un parere sinistramente simile a quello espresso all’indomani del pronunciamento europeo dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale. Quando, come giustamente ricordato da Carlo Flamigni, per certe tematiche servono esperti, non devoti.

Non contento, il ministro ha sostenuto che la Corte Costituzionale “ha conservato a più riprese l’impianto della legge 40″ e ha “contribuito ad affermare nel Paese il dato culturale più importante: l’embrione ha una soggettività, non è un grumo di cellule”. Quindi Balduzzi ha assicurato la presentazione del ricorso, in uno dei successivi consigli dei ministri. Questo è quello che pensa il ministro di un governo che si dichiara ‘tecnico’. Ma che non tiene conto di come la legge continui a fare acqua da tutte le parti. Proprio qualche giorno fa, il tribunale di Cagliari ha emesso un’ordinanza per consentire ad una coppia infertile affetta da talassemia di ricorrere alla diagnosi preimpianto presso l’ospedale pubblico al quale si era rivolta.

Formalmente da Palazzo Chigi ancora non è arrivata una risposta chiara. “La problematica è ancora in fase di valutazione”, ha reso noto l’Ufficio contenzioso, per la consulenza giuridica e per i rapporti con la Corte europea dei diritti dell’uomo, interpellato venerdì scorso con una lettera dei promotori dell’appello contro il ricorso. E il capo del governo Mario Monti sarà impegnato nei prossimi giorni in visite ufficiali presso paesi arabi, quindi non sa se e quando sarà presa una decisione.

Per questo è importante sensibilizzare i cittadini sui problemi che può ancora causare e sulla negazione dei diritti che comporta una legge arretrata come quella sulla procreazione assistita. L’Uaar da tempo ha promosso una petizione che invita a firmare e diffondere quanto più possibile, dandone visibilità anche tramite blog e giornali. Mancano pochi giorni e occorre evitare che l’ennesimo colpo di mano ‘tecnico’ all’ultimo minuto volto a compiacere ancora una volta la Chiesa passi sotto silenzio, in spregio alla laicità e soprattutto sulla pelle delle donne.




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