venerdì 9 febbraio 2018 - Pressenza - International Press Agency

Richiedenti asilo e rifugiati: 10mila persone sono escluse dal sistema di accoglienza in Italia

di Medecins sans Frontieres

La mappa MSF di migranti e rifugiati esclusi dal sistema di accoglienza

“Accoglienza e integrazione per evitare vulnerabilità e marginalità sociale”

Roma, 8 febbraio 2018 – Bloccati alle frontiere, negli spazi aperti e negli edifici occupati delle città, nei ghetti delle aree rurali, senza accesso ai beni essenziali e alle cure mediche di base, spesso costretti a condizioni di vita durissime. Vivono così migliaia di richiedenti asilo e rifugiati, che pur essendo regolarmente presenti sul territorio italiano, si trovano al di fuori di un sistema di accoglienza ancora ampiamente inadeguato.

Lo denuncia la seconda edizione del rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) Fuori campo, frutto di un lavoro di monitoraggio compiuto nel 2016-2017 in circa 50 insediamenti informali, per un totale di 10.000 persone, in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria.

MSF, che in diversi insediamenti informali ha avviato progetti di assistenza medica e servizi di orientamento socio-sanitario, chiede alle istituzioni competenti, nazionali e locali, di favorire concrete politiche di accoglienza e inclusione sociale per richiedenti asilo e rifugiati, e di assicurare l’accesso ai beni primari e alle cure mediche a tutti i migranti presenti in Italia, a prescindere dal loro status giuridico e per tutto il periodo della loro permanenza sul territorio italiano.

Dopo due anni, Fuori Campo si conferma una triste mappatura della vulnerabilità e dell’emarginazione sociale cui sono costrette migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali”, dichiara Giuseppe De Mola, advocacy officer MSF, curatore del rapporto Fuori Campo. Una situazione desolante, che non ha bisogno di strumentalizzazioni e inapplicabili slogan, ma di soluzioni reali, a partire da un più adeguato modello di accoglienza e da serie politiche di integrazione, a livello nazionale, regionale e locale”.

Rispetto al quadro delineato nella prima edizione del rapporto riferita al 2015, i recenti sgomberi forzati senza soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di piccoli gruppi di persone che vivono in luoghi sempre più marginali e che non riescono ad accedere non solo ai servizi socio-sanitari territoriali, ma anche ai beni più elementari come l’acqua, il cibo, l’elettricità. Tra loro ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni siti, ci sono anche italiani a condividere le condizioni dei migranti.

In molti casi l’assistenza a migranti e rifugiati esclusi dall’accoglienza viene garantita da gruppi di volontari locali, che spesso per questo motivo subiscono forti pressioni, talvolta culminate in procedimenti giudiziari nei loro confronti. 

Nell’ambito della propria analisi sui migranti in Italia, MSF dedica un’indagine specifica, Mal di Frontiera”, al caso Ventimiglia. Qui i respingimenti dalla Francia continuano nonostante gli accordi di Schengen sulla libera circolazione siano ancora formalmente in vigore, e quasi 1 migrante su 4 tra quelli intervistati da MSF ha dichiarato di avere subito violenze, in molti casi commesse da uomini in uniforme di nazionalità italiana o francese. A causa della chiusura delle frontiere da parte di Francia, Austria e Svizzera, più di 20 persone negli ultimi due anni sono morte nel tentativo di attraversare i confini e cresce ovunque il numero di migranti, anche minori non accompagnati, bloccati nelle aree di frontiera, che vivono in insediamenti informali, spesso all’aperto, nei parchi cittadini, lungo le rive dei fiumi, presso le stazioni ferroviarie, con un accesso limitato ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria.

In alcune città le istituzioni locali hanno cercato di superare la condizione di marginalità di alcuni insediamenti informali, anche all’interno di edifici occupati, rifuggendo dalla logica degli sgomberi forzati (come a Torino, Padova, Cosenza); alcune Aziende Sanitarie Locali hanno promosso l’inclusione degli abitanti di insediamenti informali nel servizio sanitario pubblico, anche in collaborazione con MSF (Torino e Roma). Tutte esperienze concrete, che vanno nella direzione dell’integrazione sociale di uomini, donne e bambini che si trovano comunque a vivere in una condizione di vulnerabilità estrema.

Molte delle attuali politiche locali, nazionali ed europee per la gestione della migrazione sono totalmente incentrate sul controllo dei flussi e la chiusura delle frontiere, alla proclamata ricerca di sicurezza, ma hanno come risultato diretto la creazione di vulnerabilità e marginalità sociale”, dichiara Tommaso Fabbri, capo dei programmi MSF in Italia. “È ora di invertire la rotta e dare vita a politiche di accoglienza e integrazione strutturali e più umane: ne beneficerebbero, oltre che migranti e rifugiati, anche le comunità locali.”

Nel 2016 e nel 2017, MSF ha rafforzato il proprio impegno a supporto dei migranti negli insediamenti informali. A Como e Ventimiglia è stato realizzato un programma di primo soccorso psicologico per le popolazioni in transito, integrato nella città ligure da un intervento sulla salute della donna. A Roma è stata avviata un’attività di salute primaria e supporto psicologico all’interno di edifici abbandonati dove uomini, donne e bambini vivono in condizioni indegne. A Bari e Torino MSF ha avviato un programma di orientamento socio-sanitario all’interno di edifici occupati, per superare la marginalità dei residenti facilitando il loro accesso alle strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, nelle città di frontiera, attraverso la collaborazione con gruppi di volontari locali, MSF ha reso possibile la distribuzione di generi di prima necessità, come coperte, sacchi a pelo, kit igienici.

LINK E MULTIMEDIA

Rapporto Fuori Campo: http://fuoricampo.medicisenzafrontiere.it/Fuoricampo2018.pdf

Rapporto Mal di Frontiera: http://archivio.medicisenzafrontiere.it/pdf/Mal_di_Frontiera_DEF.pdf

Video Youtube: https://youtu.be/0v399wRulYw

Fotogallery e B-ROLL per le TV: https://mega.nz/#F!xw1ABRAR!MFTmrXuJL2eCevigPl_2YQ

Materiali in inglese: https://mega.nz/#F!10cXzZCb!lDmDL91iq-5J-hAUL9XydA

 

– SCHEDA DI APPROFONDIMENTO –

Da Torino, Milano, Firenze, Roma, Foggia, passando per città di frontiera come Ventimiglia, Como, Gorizia e Bolzano, sono circa 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, incontrate da MSF nei circa 50 insediamenti informali visitati per il rapporto Fuori Campo in tutta Italia.

Chi sono: Si tratta di richiedenti asilo a cui non viene concesso un posto in accoglienza come prevede la legge, o a cui viene revocata sommariamente, e rifugiati in uscita dai centri governativi al termine della procedura di asilo, ma che di fatto non hanno ricevuto adeguati strumenti per integrarsi nella società.

Come vivono: Finiscono così a vivere in insediamenti informali, all’aperto o in palazzi occupati nelle città, in autentiche baraccopoli nelle aree rurali, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali (un tetto dignitoso, cibo sufficiente, acqua ed elettricità) e ai servizi socio-sanitari territoriali. Soprattutto nelle città, a seguito delle recenti misure sulla sicurezza e il decoro urbano, gli sgomberi forzati in assenza di soluzioni abitative alternative stannodeterminando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di nuclei ristretti di migranti che vivono in luoghi sempre più marginali. Talvolta, all’interno degli insediamenti informali e nelle occupazioni più strutturate, insieme ai migranti vivono anche cittadini italiani, che condividono le medesime condizioni di marginalità.

La mappa degli insediamenti informali visitati da MSF

  • 47 luoghi informali in 12 regioni: Trentino Alto Adige (1), Calabria (5), Campania (2), Emilia Romagna (1), Friuli Venezia Giulia (4), Lazio (11), Liguria (1), Lombardia (3), Piemonte (5), Puglia (7), Sicilia (6), Toscana (1).
  • Tipologia: i siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53%), luoghi all’aperto (28%), tende (9%), baracche (4%), casolari (4%), container (2%).
  • Servizi: il 45% degli insediamenti ha accesso all’acqua e all’elettricità, il 55% no
  • Composizione: il 53% degli insediamenti è abitato soltanto da uomini adulti, 13% da uomini e donne adulti, il 34% da adulti con minori. In 17 su 47 insediamenti informali è stata riscontrata la presenza di minori al di sotto dei 5 anni.
  • Nazionalità: ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni insediamenti informali si riscontra anche la presenza di cittadini italiani che condividono con richiedenti asilo e rifugiati le medesime condizioni di marginalità e vulnerabilità.

Ventimiglia: la frontiera che uccide

Dalla fine del 2016, più di 20 persone sono morte nel tentativo di lasciare l’Italia. Quindici solo al confine con la Francia. Molti hanno perduto la vita sulle montagne, lungo il cosiddetto “passo della morte”, usato nel passato da ebrei in fuga, partigiani e contrabbandieri.

Dei 287 adulti intervistati da MSF a Ventimiglia tra il 28 agosto e il 14 settembre 2017, 131 hanno dichiarato di aver provato ad attraversare il confine con la Francia, dei quali 90 tra 1 e 3 volte, 25 tra 4 e 7 volte e ben 8 persone per più di 12 volte. Il 23,6% di chi ha tentato il passaggio del confine ha dichiarato, inoltre, di aver subito almeno un atto di violenza da parte di uomini in uniforme, italiani o francesi.

Integrazione possibile

In alcune città le istituzioni locali hanno cercato di superare la condizione di marginalità di insediamenti informali, anche all’interno di edifici occupati, rifuggendo dalla logica degli sgomberi forzati.

Torino un edificio di proprietà dei Missionari della Madonna de la Salette, inizialmente occupato da una ottantina di rifugiati, è stato ristrutturato con fondi privati e con il coinvolgimento attivo degli stessi rifugiati, ed è diventato un modello di housing sociale autogestito, specificatamente rivolto a persone in situazione di vulnerabilità.

Padova i rifugiati di una palazzina occupata nel 2013 sono stati ricollocati in altre strutture e inseriti in programmi di formazione professionale e ricollocamento lavorativo: il tutto con il concorso di istituzioni e soggetti del privato sociale.

Cosenza le occupazioni di due stabili da parte di italiani insieme a migranti e rifugiati, un edificio religioso e una scuola in disuso di proprietà del Comune, sono state regolarizzate: nella vecchia scuola sarà realizzato un progetto di auto-recupero che vedrà coinvolti gli stessi residenti.

L’Azienda Sanitaria Locale Città di Torino ha sottoscritto un protocollo di intesa con MSF per facilitare l’accesso ai servizi sanitari pubblici delle più di mille persone che vivono nelle palazzine occupate dell’ex MOI: il protocollo prevede tra le altre attività l’impiego di alcuni residenti del MOI, opportunamente formati, presso gli sportelli della ASL in qualità di facilitatori linguistici e mediatori culturali.

L’Azienda Sanitaria Locale Roma 2 da anni ha attivato programmi di medicina generale e di orientamento socio-sanitario, attraverso unità mobili, presso alcuni degli insediamenti informali di rifugiati con il maggior numero di residenti nella capitale.

Queste iniziative vanno tutte nella direzione dell’inclusione sociale di uomini, donne e minori che si trovano ai margini della società e in una condizione di vulnerabilità estrema.

Attività di MSF negli insediamenti informali

  • Torino, ex MOI occupato: orientamento e accompagnamento a servizi sanitari territoriali, accordo con ASL Città di Torino che prevede l’impiego strutturato di facilitatori linguistici e mediatori culturali presso i servizi della ASL che registrano il maggior afflusso di persone provenienti dal MOI.
  • Como: primo soccorso psicologico, distribuzione di kit igienici, coperte, sacchi a pelo, anche attraverso volontari locali.
  • Bolzano: distribuzione di kit igienici, coperte, sacchi a pelo, anche attraverso volontari locali
  • Udine, Gorizia e Pordenone: distribuzione di kit igienici, coperte, sacchi a pelo, anche attraverso volontari locali, installazione tenda riscaldata a Gorizia
  • Ventimiglia: primo soccorso psicologico, salute della donna, distribuzione di kit igienici, coperte, sacchi a pelo, anche attraverso volontari locali
  • Roma: medicina generale (clinica mobile), primo soccorso psicologico, distribuzione di kit igienici
  • Bari: orientamento e accompagnamento a servizi sanitari territoriali
  • Campobello di Mazara: promozione di salute, distribuzione di kit igienici.

MSF richiede alle autorità competenti di:

Riformare il sistema d’accoglienza: Unificare il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati – inclusi i minori stranieri non accompagnati – superando i CAS e attribuendo agli enti locali il compito di attivare e gestire strutture di accoglienza di tipo ordinario attualmente nella rete SPRAR e, in prospettiva, nell’ambito dei servizi socio-assistenziali dei rispettivi territori, sulla base della programmazione di quote fissate a livello nazionale e regionale.

Favorire autonomia e integrazione: Prevedere all’uscita dal sistema di accoglienza programmi di supporto all’inserimento lavorativo e abitativo, finalizzati a sostenere il percorso di inclusione sociale del titolare di protezione fino all’effettiva autonomia. Approntare soluzioni abitative per i lavoratori agricoli stagionali, prevedendo interventi di accoglienza diffusa e agevolando l’accesso alle abitazioni ordinarie disponibili sul territorio, superando la logica dei campi temporanei di grosse dimensioni.

No agli sgomberi senza soluzioni abitative alternative: Evitare la rimozione di insediamenti informali attraverso il ricorso a sgomberi forzati in assenza di soluzioni abitative alternative, finalizzate a un inserimento sociale stabile. In assenza di soluzioni alternative e laddove possibile, utilizzare le medesime strutture degli insediamenti informali, sanando eventuali irregolarità amministrative, procedendo alle necessarie opere di riqualificazione, anche attraverso forme di auto-recupero, e puntando su forme rilevanti di autogestione. In nessun caso la rimozione degli insediamenti informali può giustificare il ricorso alla violenza.

Rafforzare gli interventi umanitari nei confronti dei migranti “in transito”: Rafforzare gli interventi umanitari nei confronti dei migranti cd “in transito” alle frontiere e garantire un effettivo ricorso alle opzioni previste dalle normative vigenti che possono consentire un transito legale verso altri Paesi. In nessun caso il transito irregolare delle frontiere può giustificare il ricorso a violenze come quelle documentate da MSF a Ventimiglia.

Favorire l’accesso al sistema sanitario: Eliminare le barriere burocratico-amministrative che ostacolano l’iscrizione e il rinnovo di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, prevedere per richiedenti asilo e rifugiati modalità di iscrizione svincolate dalla residenza anagrafica e legate esclusivamente al luogo di effettiva dimora, dichiarato anche tramite autocertificazione, a prescindere dalla natura e dal carattere temporaneo di tale luogo. Prevedere la presenza strutturata di mediatori linguistico-culturali nei servizi con accessi più elevati di migranti e rifugiati e presso i servizi ad accesso diretto (ambulatori di medicina generale dedicati, consultori familiari, presidi ospedalieri di pronto soccorso, centri di salute mentale).

Servizi per i migranti in transito: Promuovere l’accesso al SSN per i migranti in transito verso altri Stati UE (es. nelle aree di frontiera), in regime di STP se privi di titolo di soggiorno, con priorità per i servizi di medicina generale, salute della donna e dei minori, salute mentale. Per le prestazioni di secondo livello, introdurre protocolli di presa in carico e follow-up che tengano in considerazione il periodo di tempo limitato di permanenza sul territorio da parte dei migranti.

Monitorare gli insediamenti informali: Attivare programmi integrati di prossimità da parte dei servizi sociali dei Comuni e delle Aziende sanitarie locali anche tramite l’utilizzo di unità di strada presso gli insediamenti informali, con l’obiettivo di orientare la popolazione residente ai servizi territoriali e di individuare e prendere in carico i casi più vulnerabili con particolare riferimento a minori, donne incinte, persone affette da gravi patologie fisiche o disturbi mentali, vittime di tortura o altre forme gravi di violenza fisica o psicologica.

Fermare la criminalizzazione della solidarietà: Garantire piena applicazione alla esimente umanitaria che esclude esplicitamente le attività di soccorso e assistenza umanitaria dal reato di favoreggiamento sia dell’ingresso e del transito che della permanenza di migranti in condizione di irregolarità amministrativa. Nell’interpretazione di questa clausola deve essere ricompreso non solo il salvataggio delle persone, ma anche il sostegno nell’accesso ai beni primari (tetto, cibo, acqua) e alle cure mediche.




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