martedì 17 maggio 2022 - Aldo Funicelli

Report: l’importanze del Donbass, il soft power russo e la mancata transizione verde

Come mai Putin è così interessato al Donbass, tanto da scatenare la terza guerra mondiale? Cos'è il soft power russo? Come mai non abbiamo ancora imboccato con decisione la via delle rinnovabili? Nell'anteprima un servizio sul vetro che ci manca, per coprire il nostro fabbisogno.

UNA BOTTIGLIA È PER SEMPRE di Chiara De Luca

Produciamo bottiglie o recipienti di vetro per un giro d'affari da 2,5 miliardi di euro, siamo leader europei ma ne importiamo anche tanto di vetro, dalla Turchia e dai paesi dell'est, come l'Ucraina. A causa della guerra diversi forni sono stati chiusi: così le nostre vetrerie non riescono a soddisfare la domanda, anche perché è aumentato il costo del carburante.
Unionvini lancia l'allarme: manca il vetro, coi prezzi aumentati del 30%, costi che si ripercuotono anche sui consumatori.
Chi lo deve produrre il vino oggi è costretto a rimanere fermo, in attesa delle bottiglie – raccontano i produttori alla giornalista di Report.
Nonostante il prezzo fosse stato stabilito, sono previsti cause di forza maggiore che giustificano gli aumenti: alcuni hanno provato col tetrapak oppure col prodotto cinese che ha costi ancora maggiori. Nell'estate ci sarà il problema del pomodoro, con le conserve in vetro.

La soluzione? Riciclare il vetro, col sistema del deposito con cauzione, a beneficiarne sarebbe l'ambiente (tonnellate di bottiglie si disperdono) e anche i consumatori.
È un modello che si sta allargando in Europa, la Lituania è al primo posto per uso del deposito, con distributori che raccolgono le bottiglie, le separano per essere poi inviate alle aziende di riciclo.

Il governo ha solo definito il quadro giuridico, è compito dei produttori prendersi carico del riciclo delle bottiglie, questo in base alla legge europea: in questo modo la Lituania ha diminuito l'emissione di co2, mettendo d'accordo sia consumatori che produttori di cibo e bevande.

In Italia si è inserita una norma per il deposito cauzionale, ma manca un decreto attuativo per applicarlo: i 120 giorni per la sua emanazione sono scaduti, non c'è fretta in Italia per fare leggi a beneficio dell'ambiente.

BLOWING IN THE WIND di Giorgio Mottola

I nostri ministri stanno girando il mondo per trovare un'alternativa a Gazprom: per non dipendere dal gas russo, ci leghiamo a dittatori e democrazie fragili.

Un gruppo di imprenditori si è reso disposto ad investire nelle energie rinnovabili, chiedono solo al governo di sbloccare l'iter burocratico.
Perfino il presidente Draghi ha parlato di maggiori investimenti sulle energie rinnovabili per far fronte alla crisi energetica, specie dopo l’inizio della guerra in Ucraina e la necessità di rendersi indipendenti dal gas russo. Di fronte ai deputati ha spiegato di come il governo sia impegnato a diversificare le forniture, aumentare il contributo delle fonti rinnovabili, che “resta l’unica strategia fondamentale nel lungo periodo. Tutto quello che sperimentiamo finora è transizione.”

MA nonostante gli annunci la strategia si è concentrata solo sulla ricerca di altro gas a migliaia di km di distanza, eppure potrebbe esserci una soluzione a km zero, molto più economica e sostenibile, costruire nuovi impianti di energia rinnovabile come chiedono di fare dall'inizio della crisi in Ucraina gli imprenditori del settore.
Agostino Re Rebaudengo è presidente dell’associazione elettricità futura: “Noi chiediamo di poter fare 60 GW di nuovi impianti in questo modo potremmo le importazioni di gas russo.”

Sono 60 GW di energia verde che potrebbero partire subito da qui ai prossimi tre anni.

Oggi in Italia sono installati in totale impianti di rinnovabili per 58 GW, se il governo autorizzasse gli impianti pronti a partire si potrebbe in breve tempo raddoppiare la quota di energia verde prodotta in Italia e dimezzare le importazioni di gas russo.
Ma, a più di un mese dall’inizio della guerra non è stato alcun atto formale per lo sblocco di questi 60GW: gli imprenditori non chiedono soldi, sono pronti ad investire fino a 80 miliardi nei prossimi anni.
I contribuenti ci guadagnerebbero, gli imprenditori sostengono anche che le bollette scenderebbero: ma il governo come mai non si muove in questo senso?

Il ministro Cingolani da la colpa alla rete elettrica che non è pronta ad assorbire questa nuova energia, non abbiamo gli accumuli per i 60GW delle rinnovabili, non abbiamo le smart grid.
Ma è vero? Report lo ha chiesto a Enel: non abbiamo problemi di accumuli, perché la nostra rete è tra le più avanzate e su cui Enel investirà 10 miliardi nei prossimi anni, “ben vengano i 60GW di rinnovabili” spiega il direttore generale di Enel.

Chi vuole investire in rinnovabili deve fronteggiare tanti problemi autorizzativi: lo sanno alla European Energy Italia che stanno costruendo parchi solari in Sardegna, ma l'azienda danese sta aspettando il via per l'iter autorizzativo da tre anni e così hanno dovuto ripartire da zero.
In Danimarca fanno fatica a capire come mai in Italia si ostacola così la transizione ecologica: dovremmo abbattere i tempi di attesa, oggi in media a sette anni, come ci chiede l'Europa.
Ma adesso c'è una accelerazione alla mano, si difende Cingolani: ma sono accelerazioni che le aziende non percepiscono, servirebbe un commissario per prendere in mano queste autorizzazioni, come per il covid e per il ponte di Genova.
Ma per il ministro Cingolani quella delle rinnovabili non è una emergenza: lo stato fa lo stato, mentre gli imprenditori devono fare gli imprenditori. Eppure quando si tratta di stipulare i contratti per il gas non funziona così: assieme a Draghi e Di Maio viaggia l'AD di Eni, non Cingolani e alla fine non ci guadagna l'ambiente e nemmeno i contribuenti.

Chi fa la politica verde in Italia? Il governo ha un occhio di riguardo con le energie del settore del fossile, basta vedere come si è comportata l'Italia in Europa sulla legge della tassonomia.
I commissari europei hanno messo nella tassonomia verde anche gas e nucleare.

Sul come sia potuto succedere tutto questo, lo spiega a Report il vicepresidente della Commissione ambiente al parlamento europeo, Bas Eickhout, relatore della legge sulla tassonomia.

“Il ruolo sulla legge per la tassonomia lo ha avuto la Francia che ha dichiarato sin dall’inizio di volere il nucleare dentro la tassonomia, ma visto che era complicato lo ha legato al gas. Perché mettendo assieme nucleare e gas poteva creare una coalizione di paesi più larga.”
E qual è stato il comportamento del governo italiano?
“L’Italia non ha preso una posizione precisa, ma posso rilevarvi che Draghi dietro le quinte ha fatto pressioni per il gas, d’altronde il ministro dell’Ambiente italiano è un sostenitore del nucleare, e Draghi del gas, quindi questa tassonomia metteva tutti d’accordo. ”

Cosa risponde il ministro Cingolani a questa ricostruzione?
“Noi non abbiamo spinto per il gas, a noi è stato chiesto un parere da tecnico, il nostro parere è stato che non potevamo che accettare questo perché non c’è in questo momento un altro vettore di transizione.”
Non è paradossale che in una tassonomia verde ci sia anche il gas – ha chiesto Mottola? Visto che dovrebbe indirizzare gli investimenti verso le energie veramente verdi.


“Non lo è, ed è questo l’errore che fanno tutti quelli che vedono la parola verde: siccome tutta l’Europa va avanti a carbone qual è il modo migliore per accelerare l’uscita dal carbone? Passarlo al gas.. ”

In Italia c'è un esempio che contraddice il ministro: nel Sulcis Enel ha chiuso la centrale a Carbone e non l'ha convertita a gas, ma l'ha convertita in un sistema ad accumulo per le rinnovabili, le energie generate da sole e vento.

Tutta l'Europa sta guardando a quello che è successo a Portoscuso: ma il governo Conte e poi Draghi hanno deciso di costruire davanti al porto un rigassificatore, una scelta non condiviso dal sindaco. Un rigassificatore creato dalla Snam, l'azienda che assieme ad Eni ha più da guadagnare dal gas: guarda caso Snam ed Eni fanno parte della commissione che decide come spendere i soldi del PNRR sulla transizione ecologica.
Re Common parla della pressione di queste aziende sul governo: Cingolani ha spalancato le porte a queste lobby del fossile, con differenti incontri avvenuti nei mesi precedenti la presentazione del piano.
Contano i fatti, spiega Cingolani: ma con i fatti come si spiega che i fondi per l'idrogeno sono aumentati dopo gli incontri con Eni e Snam?
L'idrogeno prenderà 4 miliardi dal governo, dovrebbe rimpiazzare il fossile, ma per produrre l'idrogeno serve molta elettricità, un limite enorme per il nostro idrogeno verde.
Di fatto questo idrogeno non serve a niente: di fatto è una scappatoia per continuare ad usare la stessa rete del gas.
Eni e Snam stanno puntando sull'idrogeno blu, che non è quello verde: la commissione europea ha bocciato il piano iniziale che prevedeva l'idrogeno blu, il piano è passato solo dopo le raccomandazioni fatte all'Europa che avremmo fatto solo quello verde.
Che idrogeno avremo in Italia?

Il think thank Ecco ha valutato le azioni presenti nel nostro Recovery plan, giudicandole in buona parte inefficaci a combattere i cambiamenti climatici.
Basterebbe sbloccare la burocrazia per gli imprenditori che vogliono investire in rinnovabili, magari sfruttando le aree industriali abbandonate.

LA GUERRA DEL CARBONE – CASUS BELLI Di Manuele Bonaccorsi

Non manca solo il vetro e il gas, manca anche l'acciaio, che acquistiamo in buona parte dal Donbass, al centro della guerra in Ucraina.
In guerra il conflitto divide le famiglie, è una guerra civile, le bombe colpiscono le persone da una parte e dall'altra, in quartieri residenziali, lontano da obiettivi militari.
14Mila morti, 3000 civili: questo il costo della guerra in Donbass che dura da 8 anni e che ha causato la separazione dall'Ucraina delle due repubbliche autonome, di Donetsk e Lugansk.
Gli accordi di pace di Minsk sono rimasti lettera morta.
E oggi abbiamo una guerra locale che rischia di diventare una guerra mondiale: come mai?

Donetsk, era chiamata la capitale sovietica del carbone, diceva Lenin la cui statua campeggia in una piazza della città, che senza il Donbass il socialismo rimarrà solo un sogno: perché quel carbone vuol dire energia, elettricità, acciaio. Negli anni di Stalin migliaia di cittadini arrivavano qui ad estrarre carbone.
Secondo gli esponenti della repubblica separatista, quello successo nel 2014 è stato un colpo di stato che poi ha portato agli scontri tra gruppi filorussi e le milizie ucraine.
Ci sono due narrazioni opposte, oggi, in Donbass, tra i due gruppi che accollano agli altri le colpe della guerra e delle violenze.

Gli accordi di Minsk non sono mai stati applicati, sia da parte dell'Ucraina che da parte delle repubbliche separatiste: il Donbass vuole l'indipendenza non l'autonomia, mentre l'Ucraina non vuole riconoscere l'autonomia.
Nella guerra in Donbass sono morte così 14mila persone, hanno attirato milizie come il battaglione Azov, coi soldi degli oligarchi ucraini come Kolomoyskyy, amico del presidente Zelensky.

Report ha visitato le miniere in Ucraina: le condizioni di lavoro di chi estrae il carbone da sottoterra non siano cambiate dai tempi di Stalin. Una volta il carbone era in superficie, oggi si deve scendere a 750 metri di profondità per estrarlo, ma nel Donbass ce ne sono anche che superano i mille metri di profondità e ventilarle non è per niente facile – racconta uno dei responsabili al giornalista.
Il punto è che il carbone ucraino è un buon carbone, quando viene arricchito arriva all’80% di purezza.

Le migliori miniere sono di proprietà dei privati, come il proprietario dello stabilimento Azovstal Akhmetov, oggi circondato dalle truppe russe.
I rapporti tra Akhmetov e Zelensky non sono stati buoni nel passato, l'oligarca è stato accusato di tradimento, che è proprietario di diversi stabilimenti anche in Italia, oggi fermi perché non arriva l'acciaio.

Questo acciaio è strategico anche per l’Italia – racconta Gianni Venturi della Fiom CGIL – “la produzione dell’acciaio in Italia è particolarmente dipendente dall’Ucraina, rischiamo di avere ripercussioni particolarmente pesanti [sulla nostra industria]. Molto dell’acciaio arrivava da Azovstal e noi abbiamo una condizione che è determinata dal fatto che nel nostro paese di produzione di acciaio in un ciclo integrale ormai abbiamo solo lo stabilimento di Taranto e questo significa che non c’è ghisa disponibile nel nostro paese.”

Le aziende stanno provando a risolvere il problema importando la ghisa dal Brasile e dall’Indonesia ma i costi di trasporto sono destinati a salire di molto.

Continua il sindacalista “noi rischiamo di avere qualche decina di migliaia di lavoratori del settore siderurgico e nel settore degli utilizzatori finali in grave difficoltà. [..] Tutto questo si riversa sugli utilizzatori finali dell’acciaio in particolare per quanto riguarda il settore dell’automotive ma anche il settore dei semiconduttori perché non tutti sanno che nella produzione dell’acciaio da ciclo integrale si liberano dei gas particolarmente pregiati come il neon che vengono usati per la tracciamento dei semiconduttori.”

Il controllo delle risorse minerarie e della lavorazione dell'acciaio vale il 21% dell'export dell'Ucraina: Mariupol è diventata città martire per colpa dell'acciaio allora? Perché c'è l'acciaieria e per il porto così strategico?

Oggi siamo in un vicolo cieco: Putin le vuole tutte queste risorse mentre Zelensky non può rinunciarne, gli accordi di Minsk non bastano più alle repubbliche autonomiste.

E Putin ha condizionato la politica europea col suo soft power, su cui ha investito 240 ml di dollari, arrivando a stilare accordi con partiti europei, come la Lega di Salvini.

Il servizio di Emanuele Bonaccorsi - LA LISTA RUSSA - ha raccontato della rete di influenza russa, che ha attratto gruppi di estrema destra, gruppi ultra cattolici, gruppi di sinistra anti atlantici.

Rapporti intensi con la Germania, con la Turchia, la Francia e anche l'Italia.




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