lunedì 17 febbraio 2014 - paolo

Renzi lancia una sfida tutta a destra

Il nuovo governo di centrodestra che Matteo Renzi si avvia a formare, sarà una sfida al resuscitante Silvio Berlusconi e alle altre due destre populiste, ovvero M5S e Lega.

Con un atto degno del miglior novello Borgia, il rampante fiorentino, che si picca di essere uno dall'"ambizione sfrenata", ha liquidato in quattro e quattr'otto il governo del premier Enrico Letta. Esattamente cinque giorni dopo aver ripetuto al povero Enrico di "stare sereno" e dopo aver ripetutamente smentito pubblicamente la sua immediata voglia di premierato, ha assestato il colpo mortale a tradimento.

Una pugnalata alla schiena secca e precisa che non lascia dubbi sulla vera indole del novello "enfant prodige" della politica italiana, che si appresta a bruciare le tappe secondo un copione ampiamente prevedibile, se non proprio scontato. Per compiere il suo atto Matteo prima ha dovuto però incenerire le ultime sacche di sinistra all'interno del PD; perfino un protocomunista come l'amletico Gianni Cuperlo si è inchinato al volere di sua maestà.

Il solo Pippo Civati ha avuto l'orgoglio di prendere le distanze dall'ormai ex sindaco di Firenze, ma l'esito della votazione del congresso è stato impietoso, soltanto un manipolo di sedici dissidenti lo ha seguito, il resto è stato tutto un tripudio plebiscitario a favore di Matteo.

La prima considerazione di tipo politico è proprio intrinseca nella modalità adottata e chiarisce uno dei punti sui quali Matteo ha sempre battuto ferro per intortarsi: il valore politico della coerenza. E allora mettiamoci pure queste altre due perle: a fronte di sue sempiterne dichiarazioni sul fatto che un politico deve essere sempre legittimato dal voto popolare, ha di fatto zompato a piedi pari sull'altare in barba ai buoni propositi.

Sempre in tema di coerenza aveva sempre detto che con Berlusconi non si dovevano fare accordi e poi dal noto pregiudicato si è fatto perfino dettare la nuova legge elettorale e il programma di riforme istituzionali.

Quindi tre atti che danno l'esatta dimensione del fatto che si sta parlando di farisea coerenza democristiana, che appartiene ad un mondo parallello a quello della comune percezione ed è frutto di una cultura gesuita e con un trascorso da boy scout. Insomma buona scuola non mente.

Ma veniamo ad altre valutazioni politiche sullo stato dell'arte renziana.

È defunta definitivamente la sinistra italiana, non c'è più, è ormai ridotta ai numeri da prefisso telefonico di SEL e di qualche disgraziato nostalgico extraparlamentare seguace di Ferrero e Turigliatto. Perfino il sindacato di famiglia, ovvero la CGIL, è alle prese con lotte interne con la sua componente FIOM.

Ieri botte da orbi al Congresso CGIL, con schiaffi e spintoni a Giorgio Cremaschi, leader storico FIOM e tenuto fuori dai lavori, sotto gli occhi della Camusso che non ha fatto una piega. Insomma sinistra operaia in piena crisi di identità e PD che si è autoconsacrato come nuovo centrodestra. Si capisce come Angelino Alfano, che pensava di avere il copyright del nuovo centrodestra (NCD) sia apparso alquanto indispettito, indubbiamente l'iniziativa di Renzi lo spiazza non poco.

Quindi tutta la futura politica italiana si giocherà a destra, dove gli equilibri sono tutt'altro che scontati, così come non è detto che anche i piani renziani vadano a buon fine. Renzi ha abbozzato l'idea di un governo di legislatura, ovvero fino al 2018, e subito Alfano ha risposto che di governo politico neanche a parlarne, al massimo "governo di servizio" e a termine giusto per il tempo di fare le riforme.

Renzi ha chiosato un'apertura ad altri "contributi", in primis SEL e forse qualche transfuga grillino, e subito sia Alfano che Vendola si sono scambiati veti incrociati. Quindi se non cambierà la maggioranza che fu di Enrico Letta, l'unica cosa che possono cambiare sono i ministri, fermo restando il ruolo di vice premier di Alfano. L'unica dei "vecchi" che rimarrà sarà probabilmente la Bonino, sulla quale c'è la mano di Giorgio Napolitano, che non vede l'opportunità di un cambio di ministro degli esteri con in corso la crisi con l'India sui marò.

Ma perché Renzi si è catapultato in campo così, con il rischio concreto di bruciarsi? Ci sono più ragioni; probabilmente annusava che a maggio, nelle elezioni a nuovo sindaco di Firenze, le cose per lui non sarebbero finite bene e, in tale evenienza, anche la sua posizione come segretario del PD ne sarebbe risultata pregiudicata. Poi c'è il discorso delle elezioni europee, dove un PD a forte connotazione renziana può esercitare un "appeal" certamente superiore a quello di Letta, soprattutto nell'elettorato moderato.

Infine c'è il semestre di direzione italiana nella UE, che è una occasione per il passaggio da un ruolo nazionale a quello internazionale. Insomma Renzi gioca il tutto per tutto per diventare, nel giro di qualche mese, un vero e proprio statista. Se aspettava c'erano concreti rischi di essere risucchiato indietro, mentre giocandosi il tutto per tutto potrà entrare nel salotto di Obama, Merkel e via dicendo, dritto e filato per la retta via, senza aver dovuto fare la classica gavetta riservata agli altri umani.

Nella sua dichiarazione al congresso del PD, nella quale ha infilato due citazioni e otto metafore, ha poeticamente fatto riferimento "alla strada meno battuta" di Frost, alla "vita semplice di Wordsworth" e alla "palude" e al "bivio", in un discorso tutto a braccio con l'intento evidente di suggestionare la platea.

Perché Matteo è un grande istrione, padroneggia la platea forse come solo Silvio sa fare e ai suoi discorsi, sempre generici e fumosi, sa dare quel tocco di immagifico che fa presa anche sul più scettico o disilluso. Insomma è un maestro, la sua è arte gigionesca allo stato puro che si materializza anche nella gestualità. Resta da capire se è soltanto un capitan Fracassa o uno che crede e proverà a fare quello che dice.

E l'Italia?

Beh! l'Italia, che non è la parola sconcia che contiene la "i", come ironicamente detto da Crozza nella sua satira sulla FCA di Marchionne, aspetta che tutto l'armamentario immaginifico di Matteo si realizzi concretamente. Qualunque cosa verrà meno o non avverrà in tempi rapidi sarà ritenuta, a buona ragione, un fallimento e nessuno lo difenderebbe qualora accampasse scuse del tipo "siamo costretti dagli obblighi di stabilità", che sanno di vecchio politichese.

Quindi è condannato a dare risposte soddisfacenti e subito, altrimenti sarà soltanto l'ennesimo governo di centrodestra dopo quelli di Berlusconi, Monti e anche Letta, che si impantanerà alla prova dei fatti. Potrebbe essere il segnale definitivo che apre la strada alle peggiori spinte populistiche ed estremistiche del paese. In questo Matteo ha ragione nel ritenersi l'ultima risorsa e che se fallisce lui poi va tutto a puttane.

Resta da capire l'ultima risorsa per chiPer Silvio Berlusconi?

 

 

 

 




Lasciare un commento