mercoledì 21 dicembre 2022 - mario rossi

Reddito di cittadinanza, cosa resterà della misura di welfare durante il governo Meloni?

 

C’è chi la ritiene una misura di fondamentale utilità, e chi invece lo considera uno strumento nocivo tanto per lo sblocco del tasso occupazionale quanto per la stabilità economica del paese. A ergersi in prima linea in qualità di paladini “anti-reddito” sono, da sempre, i rappresentanti delle fazioni di destra. Non c’è da stupirsi, dunque, se con la formazione del nuovo esecutivo a maggioranza Fratelli D’Italia una delle prime misure promosse con grande fervore è stata proprio la revisione del Reddito di cittadinanza.

Secondo la leader del partito Giorgia Meloni, la misura non farebbe altro che incentivare gli inoccupati all’immobilismo, destinando denaro che viene utilizzato dai percettori in piattaforme di gioco online come i visa casinos. La segretaria di Fratelli D’Italia, piuttosto, rilancia proponendo una ricetta che faciliti le assunzioni veicolando lo slogan “Il reddito ti lascia dove sei, il lavoro ti porta ovunque”.

Con una manovra preliminare il governo, infatti, ha tagliato circa un miliardo su 8 che ogni anno vengono destinati al mantenimento della misura di welfare. Il risultato è che poco meno del 40% dei nuclei che ad oggi ricevono il sussidio, potrebbero perderlo entro agosto 2023. Eppure non è ancora chiaro quali saranno le prossime mosse attuate dal governo Meloni per arginare la povertà e la disoccupazione nello stivale.

Se è vero, come afferma la leader Meloni, che uno Stato che si rispetti dovrebbe creare le condizioni per permettere a tutti i cittadini un lavoro, è anche vero che in assenza di tali condizioni alcune manovre di welfare sono assolutamente necessarie. Secondo il parere dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, sarebbe a questo punto sembrato maggiormente opportuno eliminare il Reddito di cittadinanza e introdurre una nuova e più efficace misura di sostegno ai ceti meno abbienti.

Le ipotesi che si fanno strada in questo momento sono le più svariate. Quella più accreditata tra queste, secondo i commentatori di politica, sarebbe quella di un ritorno al reddito di inclusione (REI), la misura di welfare introdotta nel 2017 durante il governo Gentiloni. Questo ritorno alle origini consentirebbe di mantenere una misura di sostegno con una copertura decisamente meno estesa e molto meno esosa rispetto al Reddito di cittadinanza. Ma quali sono le principali differenze tra il REI e il Reddito di cittadinanza?

 

REI e Rdc, le differenze sostanziali

Come già accennato, il REI (o reddito di inclusione) prevede un numero di percettori inferiore e destina agli aventi diritto una quota notevolmente più ridotta rispetto a quella erogata dal Reddito di Cittadinanza. Per quanto le due misure mirino allo stesso scopo, infatti, queste presentano delle differenze notevoli. Il Reddito di inclusione (REI), nella formula che abbiamo già avuto modo di conoscere nel biennio 2017-208, viene erogato ai cittadini residenti da almeno 24 mesi in Italia o a quelli in possesso di un regolare permesso di soggiorno.

Al percettore è richiesto un ISEE annuo inferiore al valore di 6.000€ e un patrimonio immobiliare inferiore ai 20.000€. Il cittadino può ottenere un massimo di 187,50€ se preso singolarmente, mentre un nucleo di almeno 4 componenti può ricevere la quota massima di 461,30€. Come il Reddito di cittadinanza, anche il REI viene distribuito attraverso un’apposita carta di pagamento abilitata al prelievo contante.

Il Reddito di cittadinanza, invece, richiede requisiti leggermente differenti e amplia notevolmente gli importi erogati e la platea degli aventi diritto. La manovra anti-povertà promossa dal Movimento 5 Stelle offre un sussidio a tutti i cittadini residenti da almeno 10 anni sul territorio italiano. Il requisito fondamentale è, dunque, quello di essere un cittadino italiano o a lungo soggiornante. Il percettore del Rdc deve essere in possesso di un ISEE inferiore ai 9.360€, titolare di un patrimonio immobiliare netto inferiore ai 30.000€.

Il calcolo del patrimonio non tiene conto del possesso della prima casa di abitazione. Al singolo cittadino che ne fa richiesta spetta un sussidio di 780€, mentre un nucleo di 4 persone può arrivare ad ottenere fino a 1.330€. Insieme al Reddito di cittadinanza fu approvata, durante il primo governo Conte, la misura aggiuntiva denominata “Pensione di cittadinanza”. Questa corrisponde un sussidio integrativo a tutti i titolari di una pensione di valore inferiore ai 780€.

 

Il RDC e il lavoro

Abbiamo visto quali sono le differenze tecniche che distinguono il Reddito di Cittadinanza dal Reddito di inclusione. Tuttavia esiste un’ulteriore differenza che rende le due misure totalmente diverse. La principale caratteristica del Reddito di Cittadinanza, infatti, è proprio quella di trasportare i percettori all’interno del mondo del lavoro. Contestualmente all’approvazione della manovra contenente il Rdc, il governo aveva a suo tempo annunciato una riforma dei centri per l’impiego che avrebbe risolto gradualmente il gravoso problema dell’occupazione nel nostro paese.

La riforma, nonostante gli sforzi e le promesse dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico Luigi di Maio, sfortunatamente non ha mai avuto luogo. Il Reddito di Cittadinanza, infatti, doveva essere erogato ai cittadini in attesa che questi venissero contattati da un centro per l’impiego per ricevere un’offerta di lavoro. I cittadini con il Reddito di Cittadinanza avrebbero potuto rifiutare soltanto 3 proposte di lavoro, oltre le quali avrebbero perso diritto al sussidio. In assenza di opportunità lavorative, i percettori sarebbero stati impiegati dai propri comuni di residenza per svolgere lavori di pubblica utilità.

A farsi da tramite tra i centri per l’impiego e gli inoccupati, ci sarebbero dovuti essere i famigerati “navigator”. Queste figure professionali avrebbero avuto il compito fondamentale di seguire passo dopo passo i percettori fino ad un’ eventuale assunzione. Nel momento in cui il cittadino avesse accettato una proposta di lavoro da parte di un’azienda, alla stessa azienda sarebbe stato corrisposto mensilmente il quantitativo di denaro inizialmente percepito dall’individuo inoccupato.

Per quanto vituperata e ostacolata, in effetti, la misura del Reddito di Cittadinanza si presenta piuttosto valida e ben ragionata. Un paradigma molto semplice, e un’assegnazione di sussidi in cui tutti avrebbero avuto benefici. Sfortunatamente non tutte le regioni italiane hanno visto di buon occhio la manovra, con il risultato che raramente si sono visti attivare lavori di pubblica utilità per i percettori e che i navigator non sempre hanno avuto la possibilità di svolgere il proprio lavoro.

Un caso eloquente riguarda la Campania, in cui 220 cittadini che hanno regolarmente vinto il concorso per diventare navigator sono stati consapevolmente ignorati dall’amministrazione regionale. Così anche la Lombardia, il Veneto e l’Umbria hanno sistematicamente rifiutato la possibilità di utilizzare i navigator per semplificare la ricerca del lavoro dei percettori del Reddito di Cittadinanza. Il risultato è che, come comprensibile, la misura non funziona in maniera olistica in tutto lo stivale, creando spaccature e divisioni all’interno del paese. Le stesse ragioni sono da ritenere alla base del fallimento della riforma dei centri per l’impiego.

 

 

Cosa cambierà con il nuovo esecutivo?

La manovra targata Meloni intende mettere al centro del proprio operato il lavoro. Proprio per questo motivo il Reddito di Cittadinanza verrà molto probabilmente gradualmente abolito, verranno favorite misure di decontribuzione e sgravi fiscali nei confronti di aziende e ditte in grado di assumere nuovi lavoratori. Se Fratelli D’Italia aveva in mente un accantonamento immediato e radicale del Reddito di Cittadinanza, il compromesso con le altre due forze di governo ha portato alla scelta di una soluzione meno drastica.

Secondo il piano dell’esecutivo il 2023 fungerà da cuscinetto, da considerare come l’anno in cui la misura verrà sempre più indebolita. A partire da gennaio 2024, quindi, il sussidio verrà abolito integralmente e sostituito da una misura alternativa. Come abbiamo visto, è abbastanza scontato che si stia pensando ad un ritorno del REI, ma è possibile aspettarsi anche misure innovative e di più ampio respiro. Per il 2023 il Reddito di Cittadinanza continuerà ad esistere, ma verrà parzialmente modificato in alcuni suoi aspetti.

Il sussidio, infatti, verrà concesso soltanto per 8 mesi e potrà essere sottratto ai cittadini dopo che questi avranno rifiutato anche soltanto la prima offerta di lavoro proposta. Questo significa che gran parte dei percettori del Reddito di Cittadinanza dovranno necessariamente dire addio alla misura entro il prossimo mese di agosto. Secondo le stime degli organi parlamentari preposti, queste modifiche consentiranno un risparmio annuo di circa 734 milioni di euro.

La manovra del nuovo esecutivo prevede, inoltre, altre misure che sono state sbandierate e promesse ai cittadini durante il corso dell’intensa campagna elettorale degli scorsi mesi. Tra queste misure, emergono quelle destinate ai pensionati del nostro paese. Le pensioni minime verranno, infatti, portate a 600€. Per il 2023 è stata introdotta “Quota 23”, che verrà poi sostituita da una nuova manovra nell’anno successivo. Questa misura consentirà ai cittadini di approdare alla meritata pensione accumulando 62 anni di età e almeno 41 anni lavorativi e contributivi.

 

La Flat Tax è, invece, uno dei provvedimenti richiesti dalla Lega di Salvini e consiste nell’introduzione di un’aliquota unica al 15% per i redditi fino a 85 mila euro annui. L’imposta sul valore aggiunto verrà fissata al 5% per quanto riguarda i prodotti di prima necessità. Una delle missioni del governo resta il taglio del cuneo fiscale. L’obiettivo, secondo il nuovo esecutivo, è quello di effettuare una variazione da 25mila a 45 mila euro per i redditi tra i 15mila e i 30 mila euro annuali.

 

 

Una ricetta che può funzionare?

Non è possibile sapere se le manovre programmate dal nuovo esecutivo consentiranno di risolvere le problematiche economiche del nostro paese. Dal momento che il governo Meloni ha annunciato con grande entusiasmo l’abolizione del Reddito di Cittadinanza, sarebbe quantomeno opportuno che rivelasse quale dovrebbe essere la manovra con cui sostituirà un sussidio che ha consentito a milioni di nuclei in difficoltà di sopravvivere.

Al momento, tuttavia, non ci è dato sapere quali saranno gli sviluppi in materia di welfare e supporto agli indigenti. La Flat Tax, invece, rappresenta una manovra che il Carroccio chiede insistentemente da anni e finalmente si avrà la possibilità di comprendere quanto sarà utile per risollevare le sorti dei piccoli imprenditori e dei titolari di partite IVA. Da questo punto di vista, ormai siamo tutti incuriositi e speriamo che si riveli essere la formula giusta per alleviare il gravoso carico fiscale che pesa sulle spalle dei liberi professionisti del nostro paese.

Ci pare abbastanza sensata la manovra legata al taglio del cuneo fiscale, che idealmente dovrebbe consentire ai lavoratori appartenenti alla classe media (se così può definirsi) di ottenere buste paga con importi leggermente più elevati. Occorre, tuttavia, che il governo intervenga al più presto sull’emergenza legata al caro energia e ai costi esorbitanti delle bollette. Già da mesi è richiesto l’intervento del governo affinché vengano fissati margini specifici al costo delle bollette dell’energia.

La campagna elettorale, le consultazioni al Colle che hanno preceduto l’insediamento del nuovo governo e la ripartizione dei ministeri, ha infatti sottratto una grande quantità di tempo prezioso che doveva essere destinato alla risoluzione di questa emergenza. Ci auguriamo che adesso, finalmente, l’esecutivo possa discutere all’interno del Parlamento Europeo per realizzare un disegno di legge che fissi il prezzo delle bollette ad un limite ben definito e abbordabile da parte dei contribuenti italiani.

 

Il Rdc è destinato a scomparire?

Secondo quanto programmato dal nuovo esecutivo, il Reddito di Cittadinanza è destinato ad essere definitivamente abolito a partire da gennaio 2024. La manovra andava revisionata e migliorata, certo, eppure ha svolto un ruolo fondamentale negli ultimi anni. Il sussidio ha consentito a tantissimi cittadini di trovare un nuovo lavoro o, nel caso di inoccupati, di avere una somma di denaro per poter arrivare alla fine del mese in maniera dignitosa.

Ora che questo strumento verrà spazzato via, ci sarà da capire come farà il governo a prendersi cura dei milioni di italiani che vivono in condizioni di indigenza. Ci auguriamo, infatti, che l’interesse del nuovo esecutivo non sia rivolto soltanto ai liberi professionisti e ai possessori di grandi capitali, ma anche alle persone che necessitano di un reale sostegno economico.

 

 

 




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