martedì 8 settembre 2020 - Phastidio

Recovery Fund: il gatto, la volpe, il Conte e il keynesismo lafferiano

Dalla curva di Laffer al moltiplicatore keynesiano, sino al pozzo del deficit a cui "attingere", la politica (non solo italiana) ha scoperto come combattere entropia, trade-off e problemi di copertura finanziaria. Ma poi arrivò Conte...

Da sempre il concetto di moto perpetuo esercita una profonda fascinazione sul genere umano. Poter superare d’incanto i limiti fisici, e produrre sistemi in equilibrio perfetto senza necessità di applicare energia esterna al sistema è un indicatore del desiderio mortale a riprodurre la divinità. Figuratevi se il moto perpetuo non entra nelle relazioni economiche, che non sono rette dalla fisica e di conseguenza dovrebbero essere più facilmente gestibili ed addomesticabili. Soprattutto in Italia, l’espressione geografica che ha prodotto Carlo Collodi ed il suo Campo dei Miracoli. Che non è moto perpetuo ma di più, perché non preserva il sistema ma lo accresce.

Oggi su Repubblicaun editoriale di Tito Boeri e Roberto Perotti ci ricorda che l’ambizione di domare l’entropia, oltre che di sopprimere i trade-off, continua ad essere patrimonio della cultura politica italiana. Tutta, senza eccezioni.

Obiettivo dei progetti del Recovery Fund deve essere quello di avviare circoli virtuosi di modernizzazione produttiva e tecnologica ma tali, a regime, da non aumentare l’incidenza della spesa pubblica sul reddito nazionale. Anche le razionalizzazioni di istituti di welfare, che hanno la perniciosa tendenza a sovrapporsi e proliferare, deve produrre tali risparmi accrescendone l’efficacia.

Ecco quindi che, attendendo il Recovery Plan tricolore, si moltiplicano proposte di “grande unificazione”. Che poi, è una forma di lotta all’entropia. L’assegno unico per i figli; la cassa integrazione unificata, che in realtà è un espediente per protrarre il più possibile quella in deroga; la riforma fiscale con la fascinazione della curva Irpef continua, “alla tedesca”, e così via. Tutto molto bello ma come pagare questi interventi strutturali, cioè permanenti? E qui corre in soccorso quello che potremmo definire il lafferismo di sinistra, che poi è anche della cosiddetta destra sociale. Spiegano Boeri e Perotti:

La riforma fiscale verrebbe finanziata dalla riduzione dell’evasione e quella degli ammortizzatori sociali dalla salvaguardia dei livelli occupazionali. Anche se pochi se ne rendono conto, e nessuno vuole usare un termine screditato, sono tutte variazioni sul tema della vecchia “curva di Laffer”, quel sogno di ogni politico per cui i tagli alle aliquote delle tasse o gli aumenti di spesa si autofinanziano perché generano entrate fiscali più alte grazie ai miracolosi effetti espansivi sull’economia. Cosa si può volere di più? Abbassiamo le tasse, aumentiamo la spesa pubblica, e riusciamo persino a ridurre il disavanzo. Cominciò Reagan, e da allora vi hanno attinto in tantissimi.

Lo vedete, il moto perpetuo? È l’immagine speculare, vista da sinistra, della curva di Laffer, il taglio di imposte che si ripagava aumentando l’offerta, e la cui aritmetica è stata sconfessata da un economista non esattamente marxista, Greg Mankiw.

Ma l’aspirazione a togliere le angustie dal mondo eliminando ogni tipo di entropia è assai diffusa. In Italia, ad esempio, abbiamo la flat tax della destra, che si ripaga; a sinistra, il moltiplicatore di spesa pubblica, che non solo si ripaga ma produce anche un avanzo per andarci a cena.

Tutto si ripaga, la copertura è inerente alla misura. E poi ci sono i “post-politici” come i grillini, quelli che “attingono al deficit” per fare spesa e tagliare le tasse. Loro, come noto, non sono di destra né di sinistra, quindi prendono il “meglio” di entrambe le fiabe. E dopo la povertà, abbiamo sconfitto l’entropia ed i tradeoff, i maggiori nemici del popolo, non solo italiano.

Per fortuna, in questa rincorsa onirica ieri il nostro premier, Giuseppe Conte, ha suonato una inusitata sveglia di realtà, anche se probabilmente non sapeva di cosa stesse parlando. Obiettivo era lo stucchevole e farsesco veto contro il MES, imposto dall’analfabetismo funzionale dei grillini, a cui l’altro grande statista italiano, Matteo Salvini, alita sul collo zaffate di demagogia frammista a nutella e salame.

Conte, dicevamo, durante l’incontro alla tradizionale festa di fine estate dell’house organ di premier e stellati, ha così motivato il niet al MES:

Quindi, se faremo nuova spesa per investimenti, verremo ammazzati dalle spese correnti di funzionamento degli investimenti medesimi, cioè dall’entropia. Eureka! Si potrebbe rispondere a Conte che, se facessimo investimenti di ammodernamento e non di ampliamento, abbatteremmo i costi di funzionamento (si auspica), e di conseguenza ridurremmo la spesa corrente in modo strutturale.

Ora, io non vorrei sopravvalutare le abilità logiche del premier, che pure ha formazione giuridica e quindi dovrebbe -forse- padroneggiarle. Ma se siamo arrivati al punto da gridare all’entropia di spesa pubblica per non utilizzare fondi a costo agevolato, significa che forse questo paese ha drammatici problemi di logica elementare che spiegano tutto il resto, incluso il deficit che si ripaga. Pertanto, plauso a Conte che ha capito come affabulare un popolo di somari.

Vale tutto: l’entropia è morta, i tradeoff non esistono, la terra è piatta ed anche l’elettroencefalogramma del paese non si sente troppo bene.

 

 




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