sabato 10 aprile 2010 - Trilussa

RU486, la pillola dello scandalo

RU 486 sembra la sigla di un sommergibile, è invece un presidio moderno a vantaggio di tutte le donne.

RU486, la pillola dello scandalo

Di solito mi dichiaro agnostico ma comincio a ritenere che la mia sia una forma di comodo, quello cioè di chiamarsi estraneo o non interessato ad una religione, e forse dovrei dirmi ateo, cioè non credente che possa esistere una vita nell’Aldilà. Comunque è un argomento che non mi interessa, non mi affascina, non ci penso. Solo qualche volta mi si affaccia un piccolo dubbio, quello di rimanere fregato, ma poi mi dico che se veramente esistesse un dio questo non potrebbe che essere giusto ed in grado di valutare le persone per come si sono comportate nella loro vita sulla terra e non certo giudicarle in base al fatto se sono o meno andate alla messa la domenica.

Da questo punto di vista mi ritengo abbastanza tranquillo perché penso di non avere ecceduto in peccati, né in quelli tradizionali indicati nelle Tavole, né in quelli di tipo moderno riguardanti il comportamento nella società come l’onestà, l’educazione, il rispetto delle leggi dello Stato che sembrano peccati minori, poco chiesti dal confessore (ostinatamente orientato verso i peccati di natura sessuale), ma che sono invece molto significativi per gli effetti deleteri che comportano sulla parte più debole della popolazione in un tipo di società evoluta ma non ancora perfetta come la nostra.

Disonestà, evasione fiscale e contributiva, truffe, lavoro al nero, sfruttamento dei lavoratori, esportazione illecita di capitali non credo infatti siano argomenti troppo frequenti nel confessionale.

La mancanza del sentimento religioso comporta però un indubbio vantaggio sulla valutazione delle questioni riguardanti la vita civile dato che il ragionamento non è influenzato dalle posizioni dell’Autorità religiosa, posizioni che non possono essere che radicali e perentorie. E così questioni come il preservativo, la contraccezione, l’aborto e perfino il fine vita possono essere giudicate con il proprio cervello e sotto il profilo della laicità senza essere condizionati da una posizione preconcetta derivata dalla propria fede religiosa.

Fede religiosa, suoi rappresentanti e credenti di cui ho il massimo rispetto anche se negli ultimi tempi la Chiesa sembra mostrare una eccessiva ingerenza sulle decisioni politiche di esclusiva competenza del Parlamento e del Governo italiano.

D’altra parte il cristianesimo e l’islamismo sono le due religioni più aggressive, quelle cioè che contemplano il proselitismo per conquistare nuovi fedeli. Motivo frequente di forti contrasti e odi religiosi in molte parti del mondo con episodi talvolta di violenti scontri ed omicidi.

Contrapposizioni, anche violente, che ad una mente laica appaiono abbastanza assurde perché se un dio esiste non può che essere unico per tutti, cristiani e musulmani, induisti e per tutti gli altri isti esistenti sulla terra.

Ancora di più assurda la pretesa di tutti i credenti del mondo che il loro dio, e solo il loro, sia quello giusto, che gli altri siano miscredenti o infedeli e per questo debbano essere combattuti talvolta fino alle estreme conseguenze. Tutto ciò prende il nome di fanatismo religioso, deleterio per qualunque ragionamento logico e pericoloso per l’ intolleranza implicita nella sua posizione estremista.

Che questo credo religioso si trasferisca poi anche nella sfera politica lo considero perfettamente normale. Ogni rappresentante del popolo nella sua azione politica porta con sé il proprio vissuto e le proprie convinzioni. Il problema interviene solo dopo, quando questo soggetto politico vuole coinvolgere, vuole costringere anche gli altri, i diversi da lui, sulle sue posizioni imponendole per legge.

Questo lo ritengo inaccettabile e democraticamente scorretto.

Succede regolarmente quando in Parlamento si trattano problemi di natura etica ed oggi si sta riaffacciando con la pillola abortiva, un farmaco di recente introduzione in Italia non più come farmaco sperimentale ma come presidio di libera prescrizione ospedaliera.

Se una donna porta dentro di sé un ovulo fecondato (ho usato appositamente questo termine asettico) è solo lei che può e deve decidere cosa e come fare. Nessuna norma, nessuna legge gli può imporre se e come abortire se non la sua libera volontà. Caso mai lo sforzo dello Stato, e specialmente di chi è credente, dovrebbe svilupparsi sul versante della prevenzione, della informazione, della cultura della vita, della educazione (sessuale e non).

Voler imporre per legge un comportamento a tutti i cittadini secondo la propria concezione religiosa è profondamente sbagliato. Nessuno può imporre ad un cattolico di abortire secondo la propria volontà e credo religioso ma ugualmente nessuno dovrebbe impedire la libera scelta di chi invece è costretto a farlo e anche del metodo da usare per realizzarlo.

Entrano qui in gioco questioni di bioetica su cui ognuno ha, liberamente e democraticamente, la propria opinione senza che una riesca a prevalere scientificamente sull’altra. La difesa della vita propugnata dai cattolici assume in questo ambito particolare veemenza e intolleranza, al contrario dello stesso principio malamente applicato in molti altri casi.

Personalmente sono profondamente contrario che sia una legge dello Stato o un personaggio politico qualunque a decidere delle mie scelte di vita, e specialmente delle mie scelte di morte.

Riguardo alla famosa pillola abortiva, RU 486, questa non fa altro che sostituirsi all’intervento chirurgico per determinare l’aborto terapeutico. A me pare una vera sciocchezza parlarne con i toni con cui è stata affrontata la questione perché il farmaco non cambia i termini del problema.

Chi decide di abortire lo decide prima, lo soffre prima, ci piange sopra prima. Quando arriva in ospedale la decisione è stata presa e non è certo una pillola o un piccolo intervento che può far decidere il da farsi mentre contemporaneamente appare giusto che l’atto sia compiuto con il minor rischio possibile per la donna.

Tirare in ballo altri concetti, appellarsi ad altri valori e oltretutto con la veemenza che traspare è solo pretestuoso e un retaggio di una concezione distorta del valore della vita e della religione.

Valore della vita che, ricordiamo, è un concetto universale e patrimonio di tutti, non esclusivo appannaggio solo di chi ha fede religiosa.

Ben altre sono le storture della nostra società dove la donna è considerata oramai come un semplice oggetto di consumo, per il sesso, per la pubblicità, per le trasmissioni televisive. E’ su questo versante che andrebbe combattuta la vera battaglia di civiltà, è su questo terreno che si dovrebbe combattere per la pari opportunità, per l’uguaglianza di tutti i cittadini, uomini o donne che siano.

Uguaglianza che vuol dire che ognuno ha il diritto di fare da solo le proprie scelte, di decidere da solo della propria vita e della propria morte senza che nessun altro debba farlo per lui, nessun altro si possa sostituire alla sua coscienza o, peggio, possa riuscire ad imporre quella che invece e la “sua” scelta con una legge dello Stato.




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