venerdì 7 gennaio 2011 - Pablo Aiello

Questione Meridionale e ’ndrangheta vanno affrontate insieme

Sul blog calabrese dedicato alla ’ndrangheta, dopo la raccolta di articoli sull’aumento dei tumori nel Meridione e sui suoi legami con lo sversamento dei rifiuti tossici e radioattivi, uno studio sulla Questione Meridionale e la criminalità organizzata.

«L'unità d'Italia è stata e sarà - ne ho fede invitta - la nostra redenzione morale. Ma è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, il 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali. »

(Giustino Fortunato 2 settembre 1899, lettera a Pasquale Villari)

Questione Meridionale e ‘ndrangheta camminano di pari passo. E non solo perché oggi è alla ribalta nazionale l’emigrazione delle cosche calabresi che vanno a colonizzare la Lombardia. Il nostro blog, di successo possiamo ormai dire in quanto letto quotidianamente in tutto il mondo, ha ritenuto opportuno non approfondire a livello storico i problemi derivati dall’Unità d’Italia, nell’anno delle mille celebrazioni. Lo faremo adesso, con un percorso parallelo. E’ nota la nostra posizione meridionalista, antiberlusconiana ed antileghista, la si può scorgere già nell’indirizzo web. Non siamo secessionisti, o meglio, non ci auguriamo di esserlo. Ma le cose devono cambiare.

La rabbia proviene, infatti, dalla consapevolezza che lo Stato Unitario ha avuto ed ha bisogno che il Meridione resti nella sua condizione subalterna, a livello industriale e culturale, quindi economico. Questo, allo scopo di non portarsi addosso il fardello della disoccupazione, per avere il controllo elettorale dei meridionali e per poter all’occorrenza corrompere la classe politica meridionale. Classe politica che è rimasta ad un concetto medievale del rapporto con i suoi elettori, per questo spesso parliamo di neofeudalesimo. Così in Calabria ci sono pochi potenti in giacca e cravatta che coi loro amici affossano le casse dei Comuni, delle Province, della Regione e intanto il popolo muore per malasanità negli ospedali oppure sulle strade o sul lavoro, fa il bagno nella fogna, beve acqua inquinata, mangia prodotti coltivati su fiumi di rifiuti tossici venuti dal Nord e muore di tumore.

Così, ai meridionali, il più delle volte, da 150 anni a questa parte, per campare non resta che scegliere tra l’emigrazione, l’affiliazione e la rassegnazione. In tutti e tre i casi, si ingrassa l’economia settentrionale (banche, assicurazioni, operatori agricoli, industriali, e-commerce, ecc. sono tutti del Nord) e si rinvia il problema della Questione Meridionale. Noi diciamo semplicemente che l’Unità andava fatta, ma non in questo modo. Gaetano Cingari scrisse: «Il ritardo del Mezzogiorno sulla via dello sviluppo, nonostante gli innegabili progressi, è in ogni caso più drammatico oggi che nel passato. D’altra parte, come non prendere atto della volontà, in vario modo espressa dalle popolazioni meridionali, di non abbandonare vaste zone del nostro Paese, ricche di valori ed importanza determinante per la società italiana, e di non lasciare decadere i centri di vita che il sud possiede? Come non respingere, per questi centri, la condanna ad una decadenza che sarebbe sicura e definitiva, se si venissero a perdere la base di ogni fioritura di vita civile ed economica, cioè l’uomo? ». Era il 1977. Dal 2006 in poi, però, l’emigrazione verso il settentrione, specialmente quella giovanile, ha ripreso ad aumentare vertiginosamente. Pertanto ci sembra di poter dire che nulla è cambiato.

Lo Stato, in sostanza, in 150 anni, al Sud ha riservato solo assistenzialismo e soprattutto non si è mai seriamente impegnato per sconfiggere le mafie. La ‘ndrangheta frena, oggi più che mai, lo sviluppo della Calabria, ponendosi tra Stato e cittadini, e impedisce l’affermarsi della cultura della legalità. Molto è cambiato dal 1860 ad oggi. Non possiamo negare l’omertosa collaborazione che molti calabresi diedero ai briganti nell’ottocento e che si è riprodotta nel novecento per le ‘ndrine. Non possiamo negare l’infiltrazione della criminalità organizzata nelle Istituzioni, laddove esse sono deboli e facilmente corruttibili. Non possiamo far finta di niente. Questo per onestà intellettuale, che non manca a noi meridionali, anche se non siamo tutti uguali. Non siamo tutti onesti, così come non siamo tutti mafiosi.

Poi ci sono i nostri politici, vittime e carnefici allo stesso tempo. Vittime di Roma, carnefici del Sud. Perché i casi sono tre: o la maggioranza dei politici calabresi negli ultimi 40 anni è stata ed è stupida (difficile che sia così) perché non riesce a tener testa ale spinte nordiste; oppure ha preferito intascare denari e regalìe varie in cambio del silenzio sulle scellerate strategie politico-economiche-sociali sul Mezzogiorno da parte dei Governi succedutisi a Roma.

Studiare a fondo la vicenda del V Polo Siderurgico italiano, che doveva nascere a Gioia Tauro negli anni ’70, serve proprio a questo. Il “Pacchetto Colombo” servì ad industriali del Nord al fine di intascare miliardi e miliardi di lire, per poi dileguarsi; per il Sud si ebbe invece la distruzione di coltivazioni e spiagge, col danneggiamento di paesaggi turistici di estrema bellezza. Nel 2000 la storia si è ripetuta, con il passaggio di elettrodotti, l’installazione di impianti eolici, le molte truffe perpetrate all’UE al Sud da imprenditori settentrionali, la chiusura delle fabbriche e più recentemente il furto dei fondi FAS. Serve andare a fondo in queste tematiche, per capire che il Sud è per l’Italia solo un territorio da sfruttare e consumare. Senza andare a scomodare i lager di Fenestrelle, basta riportare le parole di Emanuele Filiberto di Savoia: “L’Italia? E’ un carciofo di cui i Savoia mangeranno una foglia alla volta”. Purtroppo, però, l'informazione di sistema tace su queste tematiche.

Ecco perché da decenni si parla a livello nazionale dei problemi del Sud solo per fare spot ma senza alcuna risoluzione. Questo, a causa delle spinte industriali nordiste e di quelle meridionali della ‘ndrangheta e della politica collusa che attanagliano le Istituzioni e la parte onesta del tessuto sociale calabrese. Questo denunciamo da anni. Questo è il vero cancro della nostra Regione. Per sconfiggerlo, come già affermato più volte, serve gente come Gratteri, Pignatone, Ingroia, Giordano, De Magistris, Boccassini. Ma non solo. Serve che lo Stato sia presente e servono leggi nuove, con modifiche al codice di procedura penale, sequestri e confische ai patrimoni delle cosche, possibilità di aggredire i patrimoni dei c.d. prestanome, nuove leggi in materia di appalti, nuovi criteri di controllo degli uffici degli enti pubblici più a rischio, nuove procedure per il controllo delle erogazioni dei fondi strutturali.

Inoltre, una “stretta” a livello delle Camere di Commercio e delle associazioni industriali, più associazioni antiracket, un grande processo di sensibilizzazione nelle scuole e una maggiore presenza dello Stato. Perché se i cittadini capiscono che lo Stato è presente e che è per colpa della ‘ndrangheta che essi sono più poveri e si ammalano più facilmente, soltanto questa nuova consapevolezza sarà la prima battaglia vinta contro le ‘ndrine. La guerra, invece, la vinceranno le generazioni che verranno.

“E torniamo a toccare ancora una volta il tasto doloroso... Veramente qualcuno per amore del quieto vivere, vorrebbe che di mafia, di delinquenza organizzata non si parlasse pubblicamente: altri per un verso o un altro interessati allo status quo, vorrebbero sull’argomento il più prudente silenzio. E tutti dicono che bisogna tacere... per amore di patria... 

Io non debbo descrivere nei brevi termini di un articolo la genesi e lo sviluppo storico di questa forma di delinquenza tipica che è la mafia; a me basta dire quel che essa è nel momento attuale in Calabria ed in particolare in questi paesi di montagna segregati dal consorzio umano per la mancanza di una strada, che li metta in comunicazione con il resto del mondo; a me basta notare la grande influenza nell’ambiente del contagio psicologico della malavita e mostrare quanta colpa abbiano i reggitori della cosa pubblica i quali non sanno o non vogliono adottare i rimedi che potrebbero sradicare dalle nostre regioni la vecchia cancrena della delinquenza organizzata. La cerchia dei simpatizzanti poi è tutta altra cosa. Essi sono come certe donne, fisicamente oneste ma prostitute nell’anima che amano e si inebriano del vizio pur senza penetrarvi. I simpatizzanti non figurano, si intende, nei ruoli della mafia con cui hanno semplicemente una affinità psicologica, ma fanno i galantuomini, e come tali sono gli indispensabili testimoni che garantiscono l’onestà degli amici dinanzi alla giustizia ufficiale e ne hanno per ricompensa dell’onorata società speciali riguardi e speciali favori. Che canaglia la gente onesta! direbbe Emilio ZOLA.

Se si aggiunge a tutto questo la rete intricatissima dei legami di parentela e degli interessi elettorali attorno alla malavita si comprende come essa viva, cresca e prosperi indisturbata perché la simpatia degli amici, la paura dei timidi le relazioni di interesse e di parentela le formano un vero e proprio argine contro i possibili assalti della giustizia ufficiale. La quale, a dir vero, non si affanna troppo per scavare e punire le associazioni a delinquere, né, riuscendovi, potrà mai estirpare la mala pianta con la reclusione. I nostri sistemi penitenziari, irrazionali e barbari, non sono per i mafiosi che una scuola di perfezionamento dalla quale escono più corrotti e più terribili di prima”. (Antonino FILASTÒ, articolo pubblicato sulla “Gazzetta di Messina” il12 ottobre 1906)

(Fine prima parte, continua)

Per approfondimenti su ‘ndrangheta, navi dei veleni, Questione Meridionale visita il nostro blog http://atavicarabbiabruzia.splinder.com/




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