mercoledì 8 maggio 2013 - UAAR - A ragion veduta

Quelli che si battono per la “vita”, ma non per quella di alcune donne

Che l’aborto continui a essere uno dei temi laici più “caldi” non è una sorpresa per nessuno. Anche perché, a fronteggiare i clericali, non ci sono solo i movimenti laici, ma anche quelli che si battono per i diritti delle donne. Non sono in gioco soltanto i diritti riproduttivi, ma anche quello a ricevere trattamenti che consentano loro di restare in vita. Ne abbiamo scritto recentemente, a proposito di due casi, chiedendoci se era giusto morire per un aborto negato. Rilevando come, in entrambi i casi, sia la dottrina cattolica a porre ostacoli alla salvezza della donna. Gli sviluppi stanno confermando le nostre impressioni.

Nello stato americano di El Salvador una giovane donna di nome Beatriz, gravemente ammalata, rischia la vita perché non può ottenere un aborto terapeutico, in un paese fortemente condizionato dalle gerarchie ecclesiastiche, l’interruzione di gravidanza è illegale in qualunque circostanza. Il caso sta mobilitando gli attivisti per i diritti umani in tutto il mondo ed è stata lanciata una petizione per solidarizzare con la donna, che invitiamo a firmare. I vescovi sono scesi in campo a fianco delle organizzazioni no-choice per impedire qualsiasi apertura all’aborto, ribadendo che la vita va difesa fin dal concepimento, di fatto mettendo in secondo pianoe la sopravvivenza della madre.

In Irlanda la tragica morte di Savita Halappanavar, donna di origine indiana cui è stato rifiutato un aborto terapeutico, e che è deceduta per setticemia a causa del ritardo nell’intervento dei medici obiettori, ha riaperto il dibattito sulla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza anche in quel paese di tradizione cattolica. Proprio in queste settimane il governo di Enda Kenny sta mettendo a punto un disegno di legge per consentire l’aborto solo in caso di rischio per la salute della donna o di possibilità di suicidio, che dovrebbe essere approvato nelle prossime settimane. Non viene contemplata la possibilità di interrompere la gravidanza in caso di stupro, incesto o malformazioni del feto e viene permessa l’obiezione di coscienza dei medici. Per consentire l’aborto occorre il consenso dei medici, che valutano il rischio della salute per la donna: basta un dottore se si tratta di una emergenza, due in caso di malattia grave; in particolare per coloro che hanno tendenze suicide serve il parere di due psichiatri e un ostetrico (per alcuni ciò è una forma di veto implicito).

La proposta, come si vede, pone limiti assai rigidi, ed è stata contestata da pro-choice e femministe. Anche la Chiesa cattolica è intervenuta pesantemente contro, ovviamente per ragioni diametralmente opposte. Gli integralisti cattolici si sono mobilitati con veglie di preghiera, forti dell’appoggio del cardinale Sean Brady. Al momento la Chiesa irlandese ancora non si è pronunciata ufficialmente per una scomunica dei parlamentari — soluzione che potrebbe rivelarsi un boomerang — puntando piuttosto alla chiamata a raccolta per forme di protesta e pressione verso i politici e ribadendo il paragone tra aborto e omicidio. Anche in questo caso la Chiesa sembra incapace di ammettere l’aborto quando è a rischio la vita della donna. Il taoiseach ha comunque intenzione di andare avanti, nonostante le pressioni della Chiesa. Pure gli attivisti laici si stanno mobilitando con una campagna virale di distribuzione di volantini pro-choice nei locali pubblici, come pub, palestre e bagni pubblici. Rischiano fino a 14 anni di prigione, visto che questo tipo di propaganda è illegale in Irlanda.

Dal Seicento in poi vi è stata una progressiva accettazione del battesimo in utero e di quello degli aborti, nonché del taglio cesareo per battezzare il bambino. La dottrina cattolica si è mantenuta sempre ambigua, in merito, in quanto le gerarchie ecclesiastiche sono consapevoli dell’impopolarità di tali tesi. Alla prova dei fatti, tuttavia, tale ambiguità crolla: non vi è alcuna azione, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, volta a preferire la salvezza della donna a quella del feto. Si vedono invece iniziative di segno contrario. Una prassi corroborata da scelte ideologiche ben precise, come la canonizzazione di donne, come Gianna Beretta Molla, che hanno preferito continuare la gravidanza, pur sapendo di andare incontro a morte pressoché sicura.

Sono i comportamenti pratici quelli che fanno la differenza. L’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche è, piaccia o no l’aggettivo, squallido. Perché è squallido voler anteporre la propria dottrina alla vita delle donne. Plotoni di opinionisti ritengono politicamente scorretto l’uso di certi termini. Sono gli stessi che, di fatti del genere, preferiscono evitare di scrivere.




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