sabato 17 ottobre 2015 - Emiliano Di Marco

Quando il boss Giuseppe Setola "mangiava" a due passi dalla Sinagoga

Il boss dell'ala stragista dei casalesi, Giuseppe Setola, era nei fatti proprietario di un ristorante a vicolo Santa Maria Cappella Vecchia, una delle zone più presidiate di Napoli.

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Vicolo Santa Maria Cappella Vecchia, nel cuore del quartiere di Chiaia, a Napoli, alle spalle della prestigiosa piazza dei Martiri, nel cui palazzo Partanna ha sede l’Unione degli Industriali, è una tra le zone di Napoli più presidiate dagli apparati di pubblica sicurezza italiani (e non solo), in quanto possibile obiettivo sensibile di eventuali attacchi terroristici, o di spregevoli azioni vandalistiche, ospitando l’unica Sinagoga di Napoli, a palazzo Sessa.

La Sinagoga di Napoli è di rito Spagnolo, un rito ortodosso, anche se è fortemente legata alla Sinagoga di Roma, che per anni ha fornito i sacerdoti alla comunità napoletana, e fu istituita nel periodo postunitario, nel 1864, grazie all’interessamento diretto di Adolph Carl von Rothschild, figlio di Calmann (Carl) Mayer von Rotschild, che aveva fatto trasferire anche nella capitale del Regno delle Due Sicilie un ramo del suo nascente impero economico, attraverso il rampollo, a partire dal 1821, e di Samuele Salomone Weil. La rifiorita, anche se poco numerosa, comunità ebraica napoletana, era composta in gran parte di cittadini della diaspora sefardita emigrati dalla Grecia e da ashkenaziti del Nord Europa, emigrati a Napoli già nei decenni che precedettero l'Unità d'Italia, molti dei quali diventarono presto protagonisti della vita economica e politica cittadina, portando in poco tempo la comunità ebraica a superare il migliaio di unità. 

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Città che anticamente aveva avuto diverse "giudecche" i cui membri erano ben integrati nel mondo delle arti, dei mestieri e delle professioni, tra le più antiche dell'intero mondo occidentale, costrette all’esilio o alla conversione forzata in due momenti storici distinti, dall’editto di re Ferdinando il Cattolico, applicato nel Regno di Napoli a partire dalla metà del 1500, e successivamente da re Carlo di Borbone nel 1746; con la realizzazione del tempio ebraico, il primo a Napoli a partire dal XVI secolo, venne parzialmente rimarginata la ferita della sparizione nel nulla delle antiche comunità, dei luoghi di culto e dei cimiteri ebraici durante il periodo spagnolo, su cui si registra ancora oggi una carenza di documentazione storiografica ed un colpevole silenzio. A partire dal 1938, con le leggi razziali, e con le successive deportazioni nazifasciste, la comunità ebraica napoletana fu colpita da una nuova sciagura che, nel periodo della seconda guerra mondiale ha ridotto prima della metà (534 membri) fino agli attuali 200 componenti il numero dei cittadini napoletani di credo ebraico, alcuni dei quali emigrati a Napoli dal Nordafrica nel corso della seconda metà dello scorso secolo. 

A vicolo Santa Maria Cappella Vecchia, che non è un "ghetto", si accede e si esce passando per una sola entrata, eppure, nel 2010, complice evidentemente la clamorosa distrazione di chi doveva occuparsi della sicurezza dell’area, con la Guardia di Finanza che ha l’incarico di sorvegliare l’ingresso della Sinagoga, notte e giorno, emerse, in seguito ad una indagine della Dia, che un ristorante al secondo piano di uno degli edifici di S.M. Cappella Vecchia, La Locanda del Giullare, intestato ad un cittadino americano, Loran John Perham, era in verità di proprietà del boss Giuseppe Setola, all’epoca capo dell’ala militare dei “casalesi”.

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Loran John Perham (Larry), all’epoca 35enne, è figlio di un ufficiale statunitense della Nato, e di madre originaria della provincia di Caserta, ed è cognato dei fratelli Luigi e Nando Russo, quest’ultimo proprietario del locale Blue Moon di Lago Patria, a due passi dalla base Nato di Licola, usato più volte come covo dal boss Giuseppe Setola. Sua sorella, Margaret Florence Perham, compagna di Luigi Russo, risultò nelle indagini essere al 50% proprietaria della discoteca El Divino di Agnano, famosa per le feste con la partecipazione di Lele Mora.

Proprio seguendo i movimento di Larry Perham i carabinieri riuscirono ad arrestare Giuseppe Setola che, nei suoi spostamenti a Napoli, dormiva a casa dell’italoamericano a via Manzoni, sulla collina di Posillipo, dove avrebbe organizzato anche dei summit con esponenti della criminalità napoletana. I sospetti della Direzione Distrettuale Antimafia su Larry Perham, uno dei fedelissimi di Setola, al punto di essere arrestato con lui a Mignano Montelungo, ultimo rifugio da latitante del boss braccato, riguardarono anche lo strano affare delle ville affittate ai militari della Nato, decine delle quali, per importi di fitto che variavano dai 1500 fino ai 3000 euro, risultarono intestate a prestanomi del clan dei casalesi. Tra queste, anche una villa intestata alla madre del boss Antonio Iovine risultò occupata da ufficiali di rango della Nato. Secondo un’indagine a riscuotere i fitti di quattro villette a schiere situate a Casal di Principe era proprio la moglie di Giuseppe Setola.

Degli strani movimenti di Larry e di “‘o Cecato” a Santa Maria a Cappella Vecchia però non si era mai accorto nessuno. Fortunamente a mettere una pezza a quella che avrebbe potuto essere considerata una clamorosa defaillance dell’Antiterrorismo ci ha pensato l’Antimafia, arrestando tutta l’ala facente capo a Setola. E’ invece del 2012 un’operazione congiunta tra gli israeliani e gli italiani che ha portato al sequestro di un container carico di armi nel porto di Napoli. Le armi erano destinate ad un porto egiziano.




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