lunedì 18 ottobre 2021 - UAAR - A ragion veduta

Politica reale (e clericale)

Che le tornate elettorali siano sempre più esasperate è sotto agli occhi di tutti. Questa in particolare, poi, è tra le più accese. Tant’è che insieme ai toni… finiscono accesi anche molti ceri alla Madonna: in un paese dove, dati alla mano, non credenti e dubbiosi sono sempre di più, la retorica identitaria e cristianista continua a godere di ottima salute. Anzi: è più forte di prima. 

Tra i candidati al ballottaggio, i già eletti e i trombati la fiera del baciapile quest’anno è un trionfo. Se dovessimo stilare un elenco completo delle performance clericali delle ultime settimane verrebbe fuori un papiro lungo quanto la lista dei debiti di Paperino. Procederemo dunque per menzioni d’onore – certi del fatto che, pur con le migliori intenzioni, non riusciremmo ad essere esaustivi.

Un po’ weak, ma pur sempre “baciapileggiante”, la performance di Matteo Lepore, vincitore a Bologna con ampio margine al primo turno. Vittoria che sarebbe – a detta sua- “la vittoria della città più progressista d’Italia”. Tra quelle con la cittadinanza più laica, senz’altro (e in merito l’Uaar avrà altro da aggiungere a breve). E dunque, per festeggiare Lepore si è subito recato in un luogo che è simbolo inequivocabile di progressismo: la cattedrale cittadina. Una foto lo immortala all’interno di San Petronio assieme all’arcivescovo Zuppi e all’ex sindaco Merola, che per l’occasione ha anche indossato una fascia tricolore: laicità e radici cristiane, del resto, sono la stessa cosa. Se non è zuppa (anzi, se non è Zuppi), è pan bagnato.

Ben più cattiva la performance di Vincenzo Zaccheo, candidato al ballottaggio per il centrodestra a Latina. L’ex missino, poi AN, e ora indipendente, ha diffuso un video promozionale sui suoi canali social in cui figurava un elenco con i suoi punti forti e i punti deboli del candidato del centrosinistra, Damiano Coletta. Fin qui nulla di strano. Tra i punti a vantaggio di Zaccheo c’era però il suo essere “cattolico”, ovviamente messo subito a contrasto con l’ateismo dell’avversario. Verrebbe da chiedersi per quale motivo un cattolico sia più adatto al ruolo di sindaco rispetto a un ateo. Domanda che, con ogni probabilità, non avrà risposta. A differenza invece della domanda sull’annosa questione degli arretrati fiscali del Vaticano, a cui ha risposto Enrico Michetti, in corsa per il Campidoglio.

Il “Cuppolone” (come viene chiamato nella capitale che – a suo vantaggio estetico e architettonico ma a suo svantaggio globale – lo ospita) figura infatti tra i maggiori proprietari immobiliari d’Italia, con un patrimonio di circa 4.000 immobili, il 90% dei quali si trova a Roma. Per intenderci, gli immobili di proprietà della Santa Sede a Roma superano di 6 volte il numero dei McDonald’s presenti in tutta Italia. Le quote di IMU e Tasi non versate sono stellari: parliamo di 620 milioni di euro ogni anno, ossia l’equivalente di 20 milioni di tessere UAAR (a proposito: il 2022 è alle porte, non fatevi cogliere sprovvisti). Alla domanda se abbia intenzione di riscuotere queste somme, il candidato della destra ha risposto con un lapidario “sono cristiano cattolico, a differenza di altri”. Ha dichiarato poi di essere “nato in oratorio” e di essere consapevole della grande “opera di carità” portata avanti dalla Chiesa. Il che non è un motivo giusto e necessario a non riscuotere le imposte: se tutti i politici si mettessero ad elargire esenzioni fiscali ai luoghi dove sono nati o ai gruppi sociali che gli suscitano simpatia le tasse non le pagherebbe nessuno. Più avanti nell’intervista Michetti è riuscito però a fare ancora di peggio, dichiarando che non ha intenzione di perseguire una politica “laica” nei confronti della Chiesa.

In realtà anche gli “altri” (la coalizione a sostegno del candidato del centrosinistra Gualtieri, ndr) non è che sprizzino proprio laicità da tutti i pori. A fare da capolista c’è Beatrice Lorenzin, transfuga del cattolicissimo Nuovo Centro Destra di Alfano poi folgorata sulla via di Damasco ed ora stabilitasi nel PD per cogliere le “opportunità” e le iniziative che il partito offre. Viene da chiedersi di quali opportunità ed iniziative parli, visto che alle (rare) iniziative laiche del suo partito si è però sempre opposta: nel 2016 espresse il suo sostegno al Family day e partorì l’aberrante iniziativa del Fertility Day. Si è ripetutamente dichiarata contraria al matrimonio egualitario e alle adozioni gay ma favorevole a rendere l’utero in affitto reato universale. Contraria ovviamente anche al testamento biologico e alla vendita di pillole abortive nelle farmacie.

Ma come richiedono i dettami dell’identity politics, il PD romano dà spazio anche alle minoranze. A rappresentare di fatto (anche se lei lo nega) il mondo islamico c’è Mariam Ali, studente di giurisprudenza e in corsa al ballottaggio per il consiglio comunale. Mariam è sorella della più famosa Tasnim, influencer molto in voga su TikTok, che a maggio sollevò molte polemiche per aver pubblicato un video in cui calpestava la bandiera di Israele. Mariam ha dichiarato che l’islam non ha nulla a che fare con la sua candidatura: in realtà il suo vistoso hijab , fatto passare per “simbolo femminista” e ostentato fieramente nei manifesti elettorali, ci dice il contrario. Anche se è specchietto per le allodole che inganna perfettamente i laici minimalisti, convinti che il confessionalismo cristiano della politica italiana possa essere vinto contrapponendo alle croci altrettanti hijab. In realtà quello che hanno in mente i laici minimalisti non è una politica laica, ma piuttosto una politica incentrata sulle identità. E benché siano in rima, laicismo e identitarismo non vanno d’accordo. E la politica, non conoscendo il significato del primo, ricorda e traduce in pratica solo il secondo.

Simone Morganti

 




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