martedì 20 settembre 2016 - Damiano Mazzotti

Plender e la verità sulle bolle del capitalismo

John Plender è un giornalista britannico che ha scritto un ottimo libro sulla storia del capitalismo moderno: “La verità sul capitalismo. Denaro, morale e mercato” (2016, Bollati Boringhieri, 270 pagine, euro 23).

John Plender riesce a scrivere di economia e finanza con un approccio molto realista e umanista, depurato da ogni forma di razionalismo acritico. Plender prende in esame lo sviluppo delle bolle finanziarie mantenendo sempre una posizione fenomenologica priva di tecnicismi, basata sulla storia e sugli studi della psicologia economica.

In psicologia si può descrivere una bolla in questo modo: è “una situazione in cui la notizia di un incremento di prezzo stimola l’entusiasmo degli investitori, che si diffonde per contagio psicologico di persona in persona, ingigantendo storie capaci di giustificare l’incremento di prezzo”. Questo fenomeno attira “un ventaglio sempre più ampio di investitori che, pur nutrendo dubbi sul valore reale dell’investimento, ne sono ugualmente attratti in parte per invidia del successo altrui e in parte per il brivido dell’azzardo” (Robert Schiller, premio Nobel, citato a p. 95, per visionare un approfondimento recente).

Di solito le grandi bolle speculative sono percepite più facilmente dalle menti più intelligenti che hanno lavorato per almeno un paio di decenni nei mercati finanziari, mentre gli accademici e i banchieri centrali sono troppo teorici o troppo indottrinati dalla teoria dei mercati efficienti. Per questo motivo i gestori di fondi più prudenti sono quasi sempre licenziati, come è accaduto con Tony Dye della banca svizzera UBS e Jeffrey Vinik del fondo Fidelity Magellan statunitense.

In effetti è impossibile prevedere l’entità della bolla e “prevedere quando scoppierà. Per questo i gestori prescienti dei fondi sono sempre a rischio di vendere troppo presto nel periodo di euforia, mentre i giornalisti vengono accusati di urlare al lupo e sono costantemente contattati… da investitori e trader che li rimproverano di “non avere fede” – un’espressione che svela il gioco dei mercati efficienti, dato che la fede appartiene al regno della religione, non dell’economia” (p. 105).

In effetti la differenza tra speculazione e investimento è molto opinabile. Fred Schwed, un esperto di Wall Street ha usato queste parole: “La speculazione è un tentativo, probabilmente fallito, di trasformare pochi soldi in una montagna di denaro. L’investimento è il tentativo, che dovrebbe riuscire, di evitare che una montagna di denaro si riduca a pochi spiccioli” (in Devil Take the Hindmost, di Edward Chancellor, Macmillan, London, 1999). Comunque “gli argomenti a favore della speculazione poggiano soprattutto sul fatto che gli speculatori si assumono i rischi rifiutati dagli altri. Senza di loro, gli investitori convenzionali non sarebbero in grado di coprirsi o di vendere così in fretta, quindi fanno funzionare i mercati in modo più efficiente” (p. 139).

La speculazione buona si basa sull’analisi approfondita dei fondamentali economici, mentre la speculazione cattiva “deriva dall’effetto gregge, dove gli speculatori seguono semplicemente un trend. In questo modo possono contribuire a una bolla in cui i prezzi scindono una società quotata dalla realtà economica” (p. 143). In effetti nella maggior parte dei casi la “speculazione è solo una parola che nasconde il guadagno tratto dalla manipolazione dei prezzi, invece che dalla fornitura di beni e servizi” (Henry Ford). Ma a volte può succedere che “Senza lo speculatore, l’aumento dei prezzi sarebbe anche più accentuato perché ci sarebbe minore offerta”. Lo speculatore può diventare l’operatore più informato sul futuro di una azienda o sulle tendenze di un mercato.

Comunque gli economisti moderni hanno voluto addottorare la loro disciplina con “lo status di scienza fisica”, con il risultato di svuotarla di ogni contenuto morale, ma “gli economisti classici, a cominciare da Adam Smit, non vedevano l’economia come una scienza dal valore neutro e neppure come una disciplina autonoma. Tutti loro capivano che la scienza economica era un sottocampo dell’economia politica e morale” (Michael Sandel, p. 108, www.justiceharvard.org).

In ultima analisi si può definire il capitalismo finanziario come l’illusione perfetta e il capitalismo come “la peggior forma di gestione economica, a parte tutte le altre sperimentate finora” (p. 245).

 

John Plender è un editorialista del Financial Times che ha lavorato come editor per la finanza dell’Economist. Presiede l’Official Monetary and Financial Institutions Forum (www.omfif.org). La verità sul capitalismo è il suo primo libro tradotto in italiano.

Per visionare alcuni approfondimenti brevi e non: http://www.ft.com/companies/john-plender, www.youtube.com/watch?v=i3vLTFatrMg, www.youtube.com/watch?v=FGg6SivOppg.

 

Nota sugli azionisti – “Gli azionisti sono stupidi e impertinenti – stupidi perché danno i loro soldi a qualcun altro senza avere un controllo effettivo su cosa faccia questa persona, e impertinenti perché chiedono un dividendo come ricompensa per la loro stupidità” (banchiere che operava nei primi anni del Novecento, citato a p. 236). In effetti i manager “possono tagliare le spese per la ricerca e lo sviluppo o l’investimento di capitale per avere un aumento a breve termine degli utili. Oppure possono ricomprare le azioni stesse della società, riducendo così il numero di azioni in emissione e aumentare gli utili per azione” (p. 236).

Nota sull’oro – “L’oro non è un investimento. Siccome non dà dividendi né interessi è una speculazione… Sacrificare il proprio reddito per questo metallo prezioso è come pagare una premio assicurativo contro l’inflazione futura… Le figure determinanti per creare inflazione sono i banchieri centrali. Dal 2010, i loro gestori delle riserve ufficiali comprano oro a profusione. Questo fatto eloquente, insieme alla storica incapacità dei banchieri centrali di mantenere il valore della valuta, è un argomento convincente per farsi un’assicurazione contro l’inflazione. L’unica questione è se il prezzo in un dato momento sia quello giusto” (p. 186).

Nota sui beni artistici – “Come l’oro, anche l’arte è un investimento speculativo. Il suo prezzo è influenzato più dalla moda che dal calcolo finanziario”. In caso di inflazione alta i beni artistici possono risultare più solidi di molti altri investimenti (ad esempio i quadri).

Nota keynesiana – John Maynard Keynes amava definire il capitalismo come “la stupefacente convinzione che i moventi peggiori degli uomini peggiori chissà come operino per i migliori risultati nel migliore dei mondi possibili” (p. 238).

Nota sulle tasse – “Quando un governo tratta ingiustamente il popolo in ambito fiscale, ecco che tra i due si crea un problema importante. È stata la causa di quasi tutte le rivoluzioni avvenute in questo paese” (Richard Cobden, politico britannico e pensatore liberale dell’Ottocento). Quando un governo funziona molto bene il cittadino medio può arrivare a pensare questo: “Mi piace pagare le tasse. Con le tasse compro la civiltà” (Oliver Wendell Homes, giudice americano morto nel 1894).

Nota aforistica – “Ogni banca d’America costituisce un’enorme tassa sul popolo per il profitto di pochi” (Jefferson).




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