giovedì 14 dicembre 2017 - Marina Serafini

Plageria

Ho ricevuto un'offesa. Qualcuno, in mia assenza, ha parlato ad altri di me. 

Quel qualcuno ha raccontato vicende e lamentato situazioni che nulla hanno a che fare con la mia persona.

Per tempi, per modi, per nulla.

Sono stata lo scudo e lo strumento per colpire altri, e nessuno me ne ha chiesto il consenso.

Strategia: ideare un programma di azione per raggiungere l'obbiettivo mirato.

Cosí una immagine, artificio infame sovrapposto ai miei modi, una veste falsa appositamente intessuta, mi ha avvolta come un mantello mimetico per eleggermi attrice in una battaglia tra estranei, uno scontro che non mi riguarda e non mi interessa. 

Un sequestro di vita: la causa di una indignazione sgradita.

Tempo fa ho letto qualcosa sul concetto di plagio, espressione oggi nota per condannare le deplorevoli azioni di chi, per scopi privati, si appropria dei beni di altri.

Un termine peró utilizzato in principio in maniera sottile, buono a chiarire davvero il perché della punizione sancita.

La gravità del reato era riferita all'abuso che tale azione aveva operato sull'identità del malcapitato di turno, e soltanto in un secondo momento sul bene in questione.

Il possesso di un bene implica sempre un trascorso di eventi che lo ha reso possibile. E questo trascorso appartiene alla vita di chi lo possiede: azioni, pensieri, emozioni, e via discorrendo.

Prendere qualcosa a qualcuno è soprattutto un furto di vita vissuta, un'azione terribile, che gli antichi romani destinavano solo a chi era tenuto davvero un nemico.

Alla morte di questi nessuno avrebbe piú saputo nulla di lui, niente sarebbe rimasto a ricordarne il passaggio terreno. Nemmeno un oggetto, nemmeno una scritta. Con la damnatio memoriae una intera esistenza subiva il sequestro più estremo, e veniva condannata all'oblio.

L'uccisione di un morto: il suo annullamento, nulla più che potesse ricordarne o ricostruire il pensiero. 

Nel mio caso, però, con me ancora in vita, una immagine falsa é stata sovrapposta alla mia, e diffusa illecitamente per scopi privati durante un mio periodo di assenza.

Informata dei fatti, ho aspettato. Ho atteso che la calma tornasse e che il momento opportuno guardasse alla porta.

Fingendomi ignara ho avvicinato singolarmente i colpevoli, e nel fare le dovute domande ho lasciato che gli uni accusassero gli altri davanti ad amici comuni.

E poi ho soffiato richiami nell'aria.

A quel punto sono uscita di scena, ed una nuova battaglia si é accesa, a disgregare il volano sgradito.

Un avatar può esser diffuso in maniera virale, ma in modo altrettanto veloce riceve smentita da chi ha in mira di farlo.

Il plagio è un'azione nefasta e indecente.... E dagli antichi latini ho imparato ad eliminare i residui.

 



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